Anticamente
Pontetaro o Pontegigia era una landa desolata di campi sperduti poco
lontano da Parma, nel silenzio interrotto dal tic e tac di gocce
d'acqua infradicenti macchie, da albero a terra, dove abitava una
topona pelosa e baffona di cui tanto aveva riso l'imperatrice
d'Austria quando era andata a perlustrare i luoghi e, fatto costruire
un casino grazioso e carino da caccia nelle ghiare di Noceto, l'aveva
rinchiusa lì tra utensili da giardinaggio: zappe da zappatori,
sprizzaverderame di contadini del Granducato asserviti a lei per la
quale lavoravano nei vivai profumati e l'andava a trovare ogni tanto.
E
Marialuigia che leggeva nel futuro le diceva: “sul ponte passerà
sulla sua topolino il gran signor ciclista Coppi” e la topa russona
esclamava: “lo punge una zanzara quello lì”. Poi Rosario
Villa per il carnevale si era travestito da vecchio, facendosi
tingere i capelli di bianco dal coiffeur Giorgio Gabbino per mezzo di
una pompetta sprizza tinta, ed era andato con mio nonno bambino a
bere l'amaretto nel castellino del feudatario di Pontetaro.
Villa
il nano domandava: “dov'è la topa” e il feudale gli
diceva: “quale topona?”. Quella topona che un bel giorno dal
casino da caccia fuggì nei giardini di Marialuigia nelle
campagne del paese curati a giardini.
Mio
nonno che all'età di quattro anni incominciò a comprare
il quotidiano trovandovi vere e proprie leccornie nella carta
stampate e che, in età avanzata, apprezzava il giornalista
toscano Indro Montanelli, nel 1920 fu con Rosario Villa sul
pontegigia ad aspettare una sfilata d'auto d'epoca su cui dovevano
passare gli scrittori Proust, Quenou, Radiguet e Cocteau.
Mio
nonno e il nano stettero nella notte per intere ore lì finché,
finalmente, fecero ingresso sul ponte le auto fanalute dai fanali
color aragoste luminose e i poeti lanciarono casse di fernet guarnite
di paglia artificiale e pacchini di stracchino, e Villani, il villano
che era lì con loro, disse: “vè Vito (mio nonno) se
sono amari valli a bere dai Mari (Famiglia di Pontetaro)”.
Il
Feudatario raccontava ai due che da bambino aveva visto da lontano,
nelle campagne l'imperatrice, piccolo punto blu perché vestita
di una palandrana color inchiostro dagli orli rossi e i pizzi a forma
di volto minuscolo del Naipper, suo amante, in prossimità del
casino delle Ghiare, giocare con la topona, lanciandogli un osso di
gatto che la topona, incitata in lingua francese pramzana, gli
portava indietro con delle corsette simpatiche.
“Dai
topogigia”, diceva lontano nell'aria il vecchio feudatario che
nelle campagne di Pontetaro c'era il palazzo della pipì, sorta
di palazzone imperiale o vaticano ricamato e settecentesco, adibito a
gabinetto pubblico e poi demolito nei primi anni del novecento e da
un buco, dove da un tubo sgocciolava urina color liquore strega o
limoncino, uscì la topona Gigia che scappò comicamente
da gente che la voleva bastonare e si rifugiò sotto i pilone
del ponte a forma di polpacci giganti di Marialuigia e mai più
si vide e trovò.
http://www.iraccontidifarfallina.altervista.org
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