lunedì 9 giugno 2014

La Coca Cola





La coca cola


Una notte, su una carrozza della Coca Cola carica di bottigliette a forma di ochette ripiene di bibita al caramello, dalle bollicine giallo cedro a forma di minuscolissimi limoni, Villa il nano arrivò a Siena per il Palio che vinto dal fantino Santini montando la cavalla chiamata Piumetta.
In quella occasione il fantino era vestito con una casacca color cavolo a strisce blu e arancioni con effigiato, sul retro della schiena, una lumaca che saliva sulle scale di una minuscola fortezza-convento.
Due secoli prima il trisavolo per parte materna di Rosario Villa, chiamato Gosinoni Rosannone, fermò una carrozza e vi salì sopra.
Sulla carrozza viaggiava un mercante chiamato di cognome Cavallimaterassi delle Sorelle (Pizzate Coperte) con ai piedi delle scarpette ginniche di lattice, per fantini del Palio di Siena, dalle marche: Supercacie, Gommarpecorelle, Calzaturificipecorini, Extraterrestrepecora che conservava in scatole con dipinti in stile pacchiano dei pali di Siena.
Siccome era notte, più scuro era il buio color carbone di un treno, più la mancanza di buio si addiceva alle consegne segrete, ai fantini delle scarpe con simboletti minuscoli di gomma a forma di cenci, di spicchi di pecorino, di cavalli, manzi, pecore stilizzati e di carrocci ufo.
In una notte ventosa infine Rosannone fu nelle campagne di Reggio in cui gli spifferoni dell'aria trasportavano il profumo di formaggio dei consorzi e dei fiori, chiamati Marchidee, a forma di forme di formaggio e profumati di questo. Sotto il ponte di Sant'Ilario, statuato di vescovi antichi scolpiti nel marmo, vide il pittore Sirocchi dal naso lungo come un formichiere che si fermava da Dio del Parmigiano-Reggiano a sniffare l'odorino piccantino nei vari caseifici. Sirocchi perciò voleva dire: Signor(Marchi) e Occhi con i puntini impressi con delle matrici infuocate sulle forme a comporvi i nomi dei consorzi di Parma e Reggio, e con lui vagabondavano nel centro di Reggio dai vari formaggiai, droghieri e pizzicagnoli i suoi allievi detti il Sotcalderacchia e Nastopone




Il combattimento tra galli


Nel 1870 Villa il nano, dopo una seratina passata con lo scrittore Isidore Ducasse, detto Lautreamont, in un grazioso ristorantino di Parigi, dove avevano mangiato tortelli parigini a forma minuscola di chiesa di Monmartre, all'alba riuscì ad entrare nell'atrio del palazzo dove viveva il poeta, sito in boulevard Saint Germain, nel cui giardino interno c'erano in bocciolo delle rose nere con ai bordi dei petali rossi sangue, ma una donna delle pulizie gli disse che il poeta si era suicidato e il cielo all'aurora era di color albume cotto, mentre il sole di tuorlo dell'uovo procreato da un gallo da combattimento.
A Isidore piaceva molto come spettacolo la zuffa tra galli-i quali per le continue beccate dell'avversario avevano perso il proprio sesso effeminandosi in gallina. Dall'alto della torre Eiffel Villa il nano vide lanciarsi degli omini travestiti da anatre con delle ali variopinte e lussereggianti con scarpe gommose a forma di zampe palmosi di germani.




La tabaccheria


Villa il nano negli anni sessanta, nella Pinetina dove si allenava il Milan calcio, da un bar sotterraneo percorreva un corridoio sotto il tappeto erboso del campo sportivo portando con sé un vassoio con sopra una tazzina piena di caffè e un cucchiaino a forma di minuscola madonnina del Duomo di Milano, poi usciva dal buco del dischetto del rigore, spostando un asse di legno posata e interrata nel terreno, poi una volta riemerso serviva l'espresso al Sior Rivera pronto a battere il penalty d'allenamento su suggerimento dell'allenatore Rocco.
Villa il nano un giorno alla settimana andava a caccia con questo Ct e il Sior Brera. Un pomeriggio di neve le campagne erano un tiramisù di panna bianca. Infine rincasando nella notte Villa il nano si fermò in una minuscolissima tabaccheria, gestita da un vecchino chiamato Nellino Tumorini, il cui tumore l'aveva reso nero in tutto il corpo, conquistando la pelle come la gramigna in un campo erboso, e vi comprava le sigarette nazionali senza filtro con il bollo del monopolio in cui era effigiato il volto della dea Minerva, marcate alle cartine dei nomi dei giocatori passati e presenti che avevano giocato nella nazionale italiana.





Le terme di Caracalla 


Una notte d'estate i nani Villa, Callorani e Tiepidari scavalcarono i cancelli e si trovarono dentro alle ruine delle terme di Caracalla. Nel buio luccicavano fosforescenti le pietruzze dei mosaici mutilati delle vasche e i tre fumarono qualche sigaretta sui bastioni degli edifici color cioccolata, infine uscirono dall'edificio degli antichi bagni romani a notte fonda e poi successe che due amanti litigarono e il marito se la prese tanto con la donna che scaricò, fermando la macchina, e scendendo da questa, lasciò una bottiglia di champagne in un viale, cosicché questo fece la gioia di un mendicante che passava di lì e la trovò.
Terminarono la notte in una trattoria di Trastevere a scolarsi fiaschette impagliate di vino Rufino e i bevitori parlavano tutti del calciatore della Roma chiamato Gigia (Ghiggia). Villa il nano chiamò un taxi che, guidato da un taxista chiamato Casino Casini, arrivò con due graziose entraneuse, profumate e polpacciute, e i tre faticarono a starci dentro, infine chiesero di farsi portare a Fregane. Il conducente tirò le tendine e partì. Infine le prostitute Fransesca e Isabeldor erano riuscite quasi a fare una sega a Villa il nano, ma il taxi-night nel frattempo era già giunto a Fregene e qui sulla spiaggia videro un pecoraio, stranamente vestito, di una giacchetta di pelle di bastardino con un gregge di pecore e al posto del cane-per comandarle aveva un asinello che le faceva stare tutte in fila.




Il pecorino
 
Il giorno seguente era San Giovanni dove si allestivano in tutto il centro di Roma tavolate, con mangiate di tortelli al pecorino e alla capra insieme a bevute di Frascati, il cui vino spillava anche dai fontanoni.
Villa il nano era seduto, intento a mangiare di fianco agli avvocati gobbi chiamati Domenichini e Raneo, il secondo biascicoso e con un neo come un minuscolo Colosseo sulla guancia. Mentre i festaioli sbevacchiavano e si abbuffavano passarono sgallonando la Francesca e la Isabeldoro dai polpacci e i coscioni gonfissimi perdentisi in un intrico di vicoli, forse risalenti il taxi-night guidato dal taxista Casino Casini.
Domenichini e Raneo che sembrava una rana gigante del Tevere color verde, malaticcio alla pelle, con il neo nero sulla faccia, in compagnia di Villa il nano, in macchina si lanciarono a Caprarola dove degli aerei militari, ciociari, avevano raccontato ai due avvocati che aerei avrebbero lanciato centinaia di spicchi di pecorino e capre con il paracadute per festeggiare la festività.
I tre arrivarono nel campo davanti al castello dove c'era un assembramento di pecorai tra i quali un certo Caravaggini, e quando si avverò il sogno e migliaia di spicchioni di pecorini e centinaia di pecore e capre piovvero dal cielo e dagli aerei, vi fu una gran mischia per appropriarsene e caricarli sui vetusti camioncini come in una furibonda orgia.
Villa il nano che guardava lo spettacolo con curiosità riuscì a raccogliere e a mangiare una sola fetta di formaggio. Sembrava che avessero fatto a spicchi la luna come un cacio gigantesco e giallo di pecorino per regalare tanto ben di Dio ai caprai.
I tre allungarono in macchina per il paese di Chia, vicino a Viterbo, dove sarebbero andati a trovare, in una torre a forma di cazzone gigante, lo scrittore Pasolini che si rifugiava lì a scrivere con il suo custode detto il Minchia, dal volto a forma di cane e tutto il corpo calloso. Sulla macchina i due con Rosario Villa il nano non avevano fatto che parlare dell'asso calciatore della Roma Giggiana(Ghiggia).





Gli aristogatti


Nel 1978 al cinema Ariston, sito nella bella via Petrarca a Parma, proiettavano il cartone animato intitolato gli Aristogatti, saga con protagonisti dei meravigliosi micioni dai collari trapuntati di pietre preziose. In quella occasione sedevano sulle poltroncine della sala del cinema i nani Villa, Lana, Salamaialabaganzala e la bambina bionda torrone Elois, maschietto con il pene, accompagnata dalle due genitrici: la mamma Ave Sirocchi, con il pene, dalla quale derivava il dna degli attributi e poi c'era il papà della ragazza Simona Besia.
Nella sala di proiezione era presente tutta la Parma dolce dei genitori e nonni affettuosi con bambini e bambine dagli occhi spugnosi di commozione per le immagini colorate che dei gatti emettevano chiazze di luce sugli spettatori. La Sirocchi Elois rincasò nella sua abitazione di Via Petrarca con le due signore, mamma e papà, ed entrò nell'immenso salone dove l'aspettava la nonna antica Sirocchi dal naso lunghissimo la quale, a furia di nasare scaglie di formaggio di Correggio, nella punta aveva preso la forma minuscola del volto del pittore Antonio Allegri detto il Correggio e aveva capelli biondi e peli della stessa tinta uscenti dal naso come virgole e fumava un pipone e chiese alla bambina se si era divertita al cinema. Il bisnonno Sirocchi invece sniffava con un nasone altrettanto bislungo formaggio grattugiato come cocaina e i topi vecchissimi e nasuti come pluti, nella sua casa umida ai quali rubava i tocchi di Parmigiano-Reggiano s'insolentivano ma nonostante ciò lui li amava molto.





Il terremoto

In Via dei Genovesi, l'attuale Via Farini, su una carrozza a forma di pantera, Ranuccio, regnante grassone Farnese, viaggiava con due sbirri e tre delinquenti, certi Pornografone, autore di un dizionario di parolacce sconce del seicento, e Parmaterremoto e Subbuglione, i quali erano stati arrestati perché avevano predetto una grossa scossa tellurica, la quale venne veramente a far tremare la calce sabbiosa impastata con l'acqua dei condotti farnesiani della quale erano fatti i palazzi del regno.
Tutti i galeotti delle carceri della città vennero fatti evacuare dalle celle e obbligati a uscire per strada. Don Poronga era anche lui detenuto lì perché aveva usato una fetta di prosciutto come profilattico per foderarsi il pene approfittando del culo di un pasticcere pasticcione.
Nel carcere a forma di candelone gigantesco e bianco come bugnettato ai muri di lacrime di moccoli tutti i carcerati vennero rimessi, dopodiché quando si fu acquietata la scossa, ma ne era fuggito uno, il nano pittore Imaggiggione, falsario di qualsiasi oggetto che dipingeva rendendoli reali, tanto da farli credere veri ed era fuggito, e con una pennellessa dipingeva nella notte la sua ombra sui muri dirigendosi nella parte opposta.
Imaggiggione fuggì salendo nel paese di Porporano su una carrozza a forma di rana color porpora sulla quale viaggiava anche il misterioso pittore del regno dei Farnese, Ilario Mercanti detto Sploverini, il quale era stato appena fermato dagli sbirri che gli avevano esaminato gli anellini a forma di minuscoli polli, per accertarsi che non ci fosse polverina da sniffare, questi donò una lente al fuggiasco che ingrandì la lontana torre di Sant'Antonio sulla quale, con il pittore nasone Sirocchi, c'erano i barbieri Ulcide Pidocchio, Pernacchiavecchia e Tolemico Tolette e stavano mangiando formaggio sulla cui crosta era stampato come marchio: Arma Scoreggiana. Il nonno nasone, pittore ridiscendendo gli scalini della torre, pernacchiava dall'orifizio della reggia del culo e poi supino sulle impalcature finiva di affrescare la chiesa spernnacchiando con il pennello qualche giallo.
Don Ermino Cipapussa presentava al nonno pittore Sirocchi altri preti, certi don Lateranizza, Untonaca, GigiogegiegeovaGigiogegiegeova e Lamabrusca. Poi venne tanto vento che un topo detto il Caprazucca, che assomigliava ad un coniglietto minuscolo bianco ed arancione fu catapultato dentro la torre a forma di nasone lunghissimo e gigante di Sirocchi in una delle sue due narici in muratura.




Il manicomio


Villa il nano una sera di giugno del 1815 era a Colorno nel bar sotto i portici, davanti al Palazzo Ducale, intento a bere un'anisetta con tre mosche, tre chicchi di caffè a forma di tre volti di cardinali neri e doveva portare un canarino, che teneva su una spalla, a un matto internato nel manicomio del paese. Tre guardie di Mariagigia, certi Fiochidiburrifiche, Guastallieri e Lollobrigido, incontrati nel caffè, lo condussero nel sanatorio psichiatrico dove parlò con un ginecologo abortista matto, il quale gli fece vedere in una boccetta dei feti imbalsamati di neonati asportati dallo stesso nelle pance delle mamme.
Lì c’era un pittore schizofrenico, il Marioluigino, che dipingeva water, al quale donò il canarino. Il dottor mastodontico chiamato Armandone Armadione, con addosso un camice bianco, accolse affettuosamente Villa il nano ed allo psichiatra colavano delle gocce di sudore dai capelli riccioloni come da un barattolino farmaceutico gocce di un medicinale.
Uscito dal manicomio Villa il nano fu invitato da un cuoco napoletano chiamato Pidocchinella nella sua trattoria alle nozze del mago detto Buco Nero del culo con strumenti esoterici per misurare le coordinate dei pianeti.
Con la cartomante chiamata Galassia Lattealasagna, quasi nuda, calzante sandali infradito e dalla cordicella del perizoma ornante il taglio del sedere tonico e rotondo.
Gozzovigliarono fino all'alba-mangiando maccheroni a forma di leoni conditi alla napoletana alla pommarola e basilico. Nella cantina a forma di deretano Villa il nano ripartì e vide in un campo sbocciare dei minuscoli fiori azzurri detti Occhi di Madonne ripieni di lacrime di rugiada. 








sabato 31 maggio 2014

La cocaina






La cocaina


Villa il nano terminò la notte in un nightclub minuscolissimo con spettacolini di spogliarelli di donnine. Fra tutte le donne presenti scelse l'entraineuse chiamata Ines Grissinès, una donna di Torino dagli occhi color bagna cauda, dalle gambine sottili come grissini che si ricordò frequentare il suo medesimo callista detto la Furba Pernice, la quale portò in una stanzina il nano e lo riempì di mille bacini.
Villa il nano rivide la donna vecchia e rugosa, ma elegantemente ingioiellata da escort di alto bordo, con un signorile barboncino grigio in un hotel del centro di Torino che stava seduta a un tavolo intenta a giocare con il suo amante a Pinacola, specie di gioco torinese delle carte. Questo successe nel 1967, anno in cui il calciatore del Torino Gigi Meroni conviveva con una ragazza, incontrata in un luna park, la quale aveva la carnagione e il colore dei capelli color della luna, come se il suo corpo splendesse come un neon.
All'epoca Villa il nano andava a trovare in un palazzo dormitorio di Settimo Torinese un operaio calabrese della Fiat detto Anduia che gli preparava una cena a base di anduia spalmato su fette di pane e salame pizzicante e diavolo, poi viaggiavano nella notte attratti dal profumo delle panetterie e dei grissini che si sfornavano lì prima che facesse l'alba o con un ragazzino di Torino detto il Fantasma Asmatico, dagli abiti a pizzi e da poeta, debole di salute ma necroforo, dalla casa piena di talismani, il quale, dirò, evocava l'anima di Marcel Proust leggendo un libro illuminato con una torcia militare e con questi andava anche nella basilica di Superga a praticare sedute spiritiche sui giocatori del Torino, precipitati con il loro aereo contro di essa.
Villa il nano aveva soprannominato Gabetto il Bego, Mazzola Malacazzo e Bacigalupo Bacidalupo. Leggendo i nomi delle loro lapidi, e poi arrivava all'aereo della città la cocaina venezuelana confezionata appositamente per l'avvocato Gianni.
Il ragazzo era diventato una specie di asmatico sniffando anche lui con cannucce da bibite da bagnini sabbioni la polvere caina che invece Agnelli aveva soprannominato dama bianca, e il suo cucchiaino era l'unghia di un piccione morto in cui raccoglieva la polverina per tirarla su con il naso.
Villa il nano in quegli anni faceva il garzone coiffeur presso una barberia juventina detta Cavillar Perosa ed aveva imparato a tagliare i capelli da un amico barbiere, amico dell'Asmatico che gli faceva acconciare parrucche posate su calve di teschi.
Nelle sere calme in cui il Po era innevato, come di forfora o cocaina, Villa il nano andava mangiare le specialità torinesi nelle trattorie sui corsi che davano sul fiume frequentate dai giocatori del Torino anni sessanta dai basettoni o favoriti spessi e folti come se fossero ussari e frangette o frangione come se fossero fratini e abatini.




La Strepponi
 
L'abitazione dei cugini di mio nonno si trovava a Pontetaro e l'edificio che la ospitava dava sulla via Emilia. All'interno della casa, in un salotto pacchianamente liberty, stipato di spettatori curiosi, una ponghellina seduta sopra un organetto strimpellava arie di Verdi. All'altezza delle canne dell'organo minuscolissimo spiccava, lontano, l'angioletto sul Duomo di Parma e lungo la strada, dalla finestra, si vedevano in fila migliaia di prostitute nella bufera di neve di quella notte di Natale del 1919.
Bonifaccio Semortina, prete di Semoriva, paese vicino a Busseto, il quale con il vecchio Verdi aveva addomesticato la ponga musica che veniva da un fosso, l'aiutava a sfogliare gli spartiti con le note delle opere liriche. Poi mio nonno bambino, i cugini chiamati di cognome Amaridabar e Villa il nano, nella notte andavano a dire qualche preghierina nella cappellina della rocca di Noceto, dalla cupola a forma di cappuccetto di pene, con dipinte delle passerotte gonfioline e un presunto frate medievale che parlava con gli uccellini. Con la macchina utilitaria bianca e bombata a forma di oca Villa il nano tornò a casa nella notte con l'allegra brigata e l'ocone di metallo voltava e rivoltava le curve. Pescegatto, il vecchio custode di Pontetaro, aprì i cancelli dai quali erano chiuse le porte del paese e Villa il nano lasciò gli altri nelle rispettive abitazioni riprendendo la via per Parma.
Dopo quel Natale ponghellino morì e non suonò più Verdi a casa Amari, dal bel carellino-bar pieno di liquorini simbolo dipinto nella loro balzana dal quale i signori offrirono un fernet con la bottiglia, dall'etichetta unica ed originale, in cui era stampata a colori una tennista che scagliava con un racchetta, in un campo erboso verde color dell'amaro, una pallina che inciampava sul net passando nella metà campo dell'avversaria.
Si racconta che la ponghella musichella entrò nella casa di Verdi, ormai morto, piena di grammofoni a forma di verdure da lanciare dal loggione e suonò opere di Verdi con un piffero dalla forma allungata di volto del musicista e precisamente l'arietta di "si libiam" all'orecchio dell'amante del compositore lirico, chiamata Tripponi, dai baffoni bianchi e incollati di Giuseppe e poi la bestiolina ebbe una convulsione e morì tremando comicamente.






La squadra della Ternana


Villa il nano e i nani amici chiamati Zanzarabanana e Croccanzio Grassagra degli Infanziana facevano la fila davanti ad una biglietteria dello stadio di Terni per andare a vedere una partita della Ternana, squadra dal gagliardetto con un pianeta e una bambina nana.





I ragni


Villa il nano passava l'estate da lavatore di tazze di bagni di trattorie a Pisa, città dea della piscia e puliva ogni mattina, in un water a forma minuscola di Torre di Pisa, le feci d'oro del nano detto Pipìmiracoli, figlio del proprietario della trattoria dove era sito il gabinetto.
Di solito giungeva lì con un taxi guidato dal conducente chiamato di cognome Pineta, il quale gli raccontava che ragni vedove rosse che avevano riempito una chiesa di ragnatele rosso porpora come tessendo vere e proprie paratie al suo interno.





Il circolo del tennis
Quella notte, sotto la bufera di neve, Villa il nano arrivava dai borghi vestito con una pelliccia di lince azzurra e cucita bombata come un bocciolo di un fiorellino "Non ti scordar di me", il quale incontrò un vecchio mendicante in compagnia di un fanciullino chiamato Remino Cattonino, vestito di un velluto giallo malvasia, dai bordi color lambrusco, e una scimmietta che addomesticata aveva fatto ballare sui marciapiedi, sotto i portici di Via Farini e con le monete racimolate si stavano dirigendo in una trattoria a mangiare qualcosa.
All'Annunciata, chiesona a forma gigante in muratura di volto di Padre Lino, dall'intonaco color giallo anolino, un pretino biricchino dal cappello tricorno e il naso rosso rapa, chiamato Geovaffanculino, disse messa e poi, bevuti cinque o sei bruschi, serrò con un chiavistello la patta della serratura del refettorio dentro al quale erano rimasti il chierichetto nano Natalino, suor Orsa Sola, e il reverendo di nome di battesimo chiamato Enologore che cominciò, da pedofilo e stupratore, a fare carezze e punzecchiate i due mentre da uno scolo di una fogna entravano nella stanza toponi, Puzzolone e faine rossicce color bitter analcolico ed antico.
Villa il nano con l'amico chiamato Napopòlitano vedeva il prete aggirarsi nella chiesa dentro le sue finestre, seduto a un tavolino di una pizzeria, davanti al chiesone, e lì stavano mangiando una pizza a forma minuscola di stivale italiota, come la crosta terrestre della penisola italiana, e un calzone a forma di Sicilia. Nel locale non si faceva che parlare dell'omicidio di una tennista chiamata Ester Sigarettestere fatta a tranci con il pezzo della vulva infilzato a un vibratore da un certo Michelotti che poi era fuggito in Nepal portando seco i bulbi oculari:gli occhi come due Pietrangeli della donna che un chirurgo africano trapiantò su uno schiavo, il quale accoltellò ed uccise Michelotti come se la donna tennista dentro l'assassino Nepalese si fosse voluta vendicare del suo omicida.
Con il nano Nottombulo Villa il nano infine andò a trovare un malvivente detto Al Cappone nella sua casa dove c'era un affresco in cui era raffigurata Parma sovrastata dall'alto dal Dio parmigiano con il corpo di cappone gigantesco e la testa a forma di immenso anolino. In una clinica invece dove erano ricoverati solo preti Villa il nano era al capezzale del Don chiamato Ostiaccio Enzimatto dal pallore dell'internato del colore dell'ostia e le labbra della bocca colore viola, il quale con lui era andato a una partita della Lazio di Piola in compagnia del diacono chiamato Fallo Penalty.





Il falcone

Dio nel Big Ben parmigiano scaraventò tre avvocati di Parma quali Sozzi, Fontanabona ed Insalata dentro il tribunale di Parma e vi catapultò lì anche Tanzi e Silingardi, dentro tazze giganti piene di latte dai ricami della schiuma a forma di putti soffici.
I due erano pronti ad essere accusati per il crac Parmalat e, condannati agli arresti domiciliari, si diressero nei loro poderi dai fondi sterminati, pieni di selvaggina, dove andavano a caccia con un falcone dal piumaggio bianco latte, mascotte della ditta Parmalat. Villa il nano, infine, con Callo dagli antenati ciabattini e lattai e Lucianin in trampoli, su tacchi a spillo applicati a mocassini per tradire la bassa statura, partì in aereo con il Parma Calcio di cui Ciabattanzi era il presidente e Villa il nano era seduto di fianco ai calciatori Meli, Mignotti e Ozio.





I piloti
 
Il curatore dei conti della Parmalat il Lucianin Silingardi scendeva, popputo di un seno gonfio di latte, dalla scaletta dell'aereo appena atterrato insieme ai giocatori. Villa il nano era nella comitiva vestito da antico lattaio, infine il giorno seguente, tornato lì, beveva un caffè al bar Monaca in piazza Santa Croce chiacchierando con tifosi crociati della vittoria del Parma.
Villa il nano poi andava a dormire nella canonica della chiesa di Porporano da don Enore Vaccoli su un letto dalle lenzuola colore delle paratie porpora con stampati dei volti di cardinali neri dove si sognò in una trattoria, sita in una cantina sotterranea, in cui si sorbiva solo brodo e di cui se ne poteva servire con un mestolo, da una pentola gigante a forma di fonte battesimale, andava a giocare a zara con un dadino Star usato per insaporire le pietanze brodose in compagnia di uno scrittore dai romanzi sconci, per questo messo all'indice, chiamato Caztello.
In uno dei racconti narrava di ragazzotti e vecchini socialisti dal garofano all'occhiello che partecipavano a orge politiche organizzate dall'amante del fondatore del partito chiamata Anna Culisciov. Alcuni di questi avevano congegni applicati ai fiori di plastica inseriti nelle asole, i quali per mezzo di una pompetta sotto la camicia potevano se pigiata sparare gocce di piombo dai petali ai loro nemici di seggio.
Villa il nano agli inizi del novecento era stato invitato a Montecarlo a una festa su uno yacth dal quale si potevano seguire le macchine da corsa a forma di biscotti Plasmon guidate da Fango, Pericotti e Nembolari detto Nembo Kyd con gli occhialoni neri.
A notte fonda sul motoscafo avevano aperto un ostrica al cui interno c'era una perla azzurra e un dito tagliato ad una donna con infilato un diamante a forma di naso di Dante Alighieri che risultò essere quello di una principessa fatta a pezzettini dall'amante industriale di sigarette giorni prima, infine sul barcone suonò un gruppo rock con bassi a forma di lucertoloni metallici e vino e champagne colavano nelle coppe e Nembolari, il pilota invitato anche lui lì, brindava e beveva nell'incavo del volante della monoposto disapplicato dall'automobile dopo la corsa.




Gli sbirri
Il pescatore di frodo chiamato Comacio pettinava l'ondina dei suoi capelli bianchi specchiandosi nell'aletta di una zanzara e la vecchia moglie, detta l'Angiula Anguillona, lo aiutava a ordinarsi la chioma con un pettine a forma di lische di rombo.
Villa il nano partiva all'alba sul barcone del fiocinino per pescare le anguille in compagnia di un prete che gli diceva che il calcio derivasse dal Golgota e che su un incrocio dei pali di un campo sportivo era stato crocefisso un portiere che aveva venduto la partita prendendo tanti goal.
Girava per Comacchio un balilla vestito di pelle di anguilla nera e suo compare era un soldato avanguardista vestito di una divisa militare color lilla con una pistola a forma di anguilla. I due salivano insieme a Villa il nano su una battana remata dal barcarolo detto l'Angiulico e navigarono sotto una galleria dai soffitti a botte, illuminata da una lanterna, seguiti da una barca dove per carnevale invertito ladri dai baffini si erano travestiti da sbirri con dei fucili dalle canne d'argento a forma di bisce di mare, questi entrarono salendo tre scalini di marmo scolpiti a forma di anguille nella casa della signora detta La Ranocchia del Delta, dalla biblioteca piena di libri di favole sulle rane tra le quali la fiaba sulla rospa palestrata che, a furia di far pesi, si era gonfiata più di un toro ed infine era scoppiata. A Villa il nano che trovava poeticissima la notte fuori con le macchine dai fanali luminosi la signora esclamò che le automobili erano soltanto delle lamiere con delle lampadine.



Il riso

Nel lontano Ottocento arrivarono delle truppe soldatesche di zanzare con nella zampa la lancia pungiglione nel paese di Anita, vicino a Ferrara, e i nemici Zampirone e Ddt l'insetticida cercavano di sterminarle per difendere Giuseppe Garibaldi giunto lì perché ferito dalle loro punture. In quegli anni in una chiesa di Torino dai confessionali di cioccolato Villa il nano frociamente sposò Camillo Benso Conte di Cavour e sul sagrato della basilica, quando i due uscirono scortati da guardie sabaude, la folla accorsa al matrimonio lanciò riso delle risaie di Vercelli dai chicchi a forme minuscole di volti del re Vittorio Emanuele. I due fuggirono in carrozza per il loro viaggio di nozze e Cavour aveva favoriti tagliati dal rasoio a forma di due gianduiotti tinti come l'incarto di questi dorati e se il corpo tradiva una certa mollivia perché grassoccio e pingue, aveva occhi castani tondi e muscolosi. Erano diretti nelle Langhe nei cui tartufi giganteschi, affioranti dalla terra, si specchiava Torino con i suoi palazzi d'oro e con loro c'era il cardinale chiamato Piamonte che si spalmava, durante il viaggio, nutella-gianduia cremosa su fette di pane. Arrivarono a Canelli all'albergo della Posta o Albergo dell'Angelo dove un cameriere,terrazzano d'estate e servitore d'hotel d'inverno lì servì a tavola e infine i nembi, le nuvoline e i cirrini delle loro scopate riempivano l'ultima stanza del corridoio della locanda.





La cavia di Pavia


Villa il nano, il pittore Nasone, nonno del pittore Sirocchi e l'affrescatore detto il Bar, autore di quadri con interni di caffè, in compagnia del don chiamato Tossiscastello Catarrocchi, era sulla postazione della torre di Sant'Antonio, chiesa sita in Via della Repubblica e visitata da mosche a forma di tortelli ed anolini, in cui avevano apparecchiato una tavola e così questi mangiavano i preparati della rezdora bambina detta l'Uocona, serviti dal cameriere detto Gatto Felino dal corpetto della divisa di peli di gatto salente la scala della torre campanaria con i piatti.
Il Dio parmigiano con la testa a forma di anolino immenso e le dita a forma di tocchi infiniti di Parmigiano-Reggiano pisciava brodo su Parma e vedeva i cenatori sulla torre il pittore Sirocchi, dal naso lungo a forma di salame, il reverendo dai capelli color catarro, l'affrescatore detto il Bar con le orecchie a forma di tazzine e Villa il nano con un libro di favole del fiabista detto Esoparma, in due leggende del quale si raccontava di un caseificio castello, dove per frenare l'assalto dei nemici contro questi erano stati sparati formoni di formaggio e di un casaro che per trafugare il corpo di un neonato assassinato l'aveva messo nel caglio e poi era rimasto dentro nella forma di formaggio indurito e stagionato. Sirocchi parlava di un pittore barbiere detto il Cavilsetoledipennello e di Villa il nano a proposito di un viaggio su un taxi giallino color Grana Padanucolo a forma di forma gigante di questo formaggio guidato da una cavia gigante, addomesticata, chiamata Certosa che lo portava nella notte nel pavese.



I macellai

Villa il nano,vestito di un abito verde pistacchio con i pizzi rosati da buffone, che a suo tempo aveva indossato anche il cantante Claudio Villa al festival di San Remo, e che Perigilio, uno di Pontetaro aveva molto applaudito davanti alla tivù con i macellai chiamati Armacellone dei Sanguinari e Mammuccellino, andò a mangiare in una trattoria di Sanguinaro chiamata il Grugno del maiale e nell'osteria, dove c'era un quadretto di San Gennaro, i tre mangiarono piedini e sangue di maiale fritto con l'olio.
L'oste detto Sanguone pigiava i pulsanti di una televisione vetusta sui cui due unici canali trasmettevano notizie calcistiche. Villa il nano tifava per la "Signora", una baldracca che giocava nella Juventus e aveva segnato due goal al Milan.
Villa il nano e i due macellaioni una volta finito di mangiare entrarono nella chiesa del paese, affrescata con macchie di sangue, e con un dipinto che raffigurava un frate che elargiva ghiande a passerotti a forma di minuscoli porcellini, con le alette che norcini in agguato erano pronti a catturare. Villa il nano fumò lì una sigaretta all'incenso dalle volute voluttuose di fumo profumato di gommaresina. Nella notte passò il pullman del Sanguinaro Calcio nel cui gagliardetto era effigiata una scrofa sanguinante e Sanguinacci, uno dei giocatori seduti sulla corriera aveva sotto un braccio una vescica di maiale gonfiata per pallone ed Emoglobina, l'allenatore così chiamato esortava la sua ala destra a giocare le partite come il goleador detto Frutto di Bosco Bruno (Mora Bruno). Nella trattoria c'erano stanze ai piani di sopra a pagamento e Villa il nano vi dormì con i due frocioni e a notte fonda arrivarono a fare delle orge i nani chiamati (Por)Cella e Mammedesano, uno di Cella e uno di Medesano, i quali erano ricoperti di chiazze-voglie rosse alla pelle, ma cherubini grassoni ed impinguati di salame dagli occhi turchini e Sanguone dal piano di sotto sentiva i sessuomani urlare: "Dai, dai!" e pensava tifassero a una tappa del Giro d'Italia i ciclisti Mosceron e Ronni, infatti Villa il nano, impugnando con guanti d'oro vibratori a forma di salami, rivestiti di stoffa color budello sgargiante perché di raso, inculava gli altri.
Infine con una 127 bianca della Fiat a forma di cicogna, guidata da Villa il nano, all'alba andarono a Varano Marchesi nella tabaccheria aperta a quell'ora a comprare sigarette e passarono da Cella dove c'era la prigione-porcile delle scrofe con cui i Medesanesi producevano i loro salami.




Il burocrate

Ai tempi di Marialuigia dalle macellerie ducali ed equine fuggì un cavallo che corse impazzito per le strade di Parma. A quell'ora, nudo, Villa il nano fuggì dal carcere di San Francesco evitando gli sbirri in sentinella, con cappelli a forma di fossili vongole dello Stirone, e si diresse alla Steccata dove aprì la tomba del Naipper. Lì rubò i vestiti, abiti dell'impero austriaco che lo vestivano come una vestaglia pesante e gallonata di gradi e nella notte si diresse al palazzo ducale di Colorno, dalle scalinate interne grandiose di marmo, e un burocrate grassone, pieno di porri come ceci in volto, con i capelli canuti e riccioloni, chiamato Venecchioni, gli esaminò la carta d'identità con una lente a forma di anolino ingrandente, cosicché per convalidargli l'espatrio nel paese di Sacca pigiò su un bollo, con un marchio intriso di inchiostro, e vi applicò anche un francobollo a forma di tortello di zucca lievemente colorato color canarino, il ripieno, e lavorato ai lati di ricami bellissimi a forma di mani minuscole e affusolate di rezdora settecentesca.
Quindi arrivò a Sacca nella locanda dove alloggiò per diversi anni, qui incontrò il mastodontico disertore chiamato Coccone Cocconi con un volto da bambinone pupattolone e rimbamba, il quale portava calcato in testa un cappello rivestito di velluto a forma di vascello dallo scafo a forma di cocco. Questo copricapo era appartenuto ad antichi antenati del suo ramo genealogico. Nella trattoria-alberghetto i due mangiavano l'anitra ripiena con le arance delle quali l'oste si serviva nell'Aranciaia di Colorno.
Una notte Villa il nano tornò furtivamente a Parma per recuperare lo spazzolino e il dentifricio. Fece appostare la carrozza, nascosta in un borgo, e sbrigò, non visto, la faccenda in pochi minuti, poi ripartì sulla carrozza color lambrusco dalle tendine color malvasia. Fumava un sigaro nano, spesso e color fagiolo, e fece tappa a Colorno dove, sotto i portici, nella notte, in un bar mangiò un bignè a forma minuscola di putto glassato color giallo Parma, bevendoci dietro un bicchiere di Assenzio.
Nel caffè entrarono delle guardie che gli chiesero gli effetti personali e lo lasciarono andare perché sulla sua carta d'identità un falsario aveva scritto: cannoniere della squadra di Calcio del Sacca. Poi nel bar venne salutato da un barbiere di Colorno detto il Certosa e, ripartendo per fare ritorno a Sacca, rivide un suo compagno di cella quando era in galera, precisamente il bambino chiamato Gigiaio, il quale con lui aveva rubato una scatola di cioccolatini in un bar nel centro di Parma.
  





mercoledì 7 maggio 2014

La ponga musica





Il gorilla

Villa il nano dopo avere trascorso la mattinata e l'intero pomeriggio al lavoro come aiuto coiffeur da Baffici Barboboli, padrone della toeletteria di Via Farini, la sera faceva il lavatore di turche in stazione, mentre la notte faceva marchette insieme ai prostituti Timpalonio, Trotatroia e Cembaloni i quali si davano il rossetto sulle labbra e portavano parrucche alla Maria Luigia.
Con questi Villa il nano saliva sul taxi - tre in un'ora - guidati da taxisti chiamati Armegiano Crosta, Rezanaticula Anacaseo e Mario Luigio, e girava avanti ed indietro per la città, nei borghi dai palazzi marroncini, imbiancati di cacarelle dei piccioni e infine si fermavano alla trattoria "Corale Verdi", gestita dal trattore chiamato Scapino Scappini che pagava due camerieri, girovaganti tra i tavoli, chiamati Pranso Pramzan, ilare e dialettale, e Sbrisolone il Rettore rugoso, brutto ma buono come la torta sbrisolona.
Alcune volte Villa il nano andava ad assistere all'opera al teatro Regio e una volta era stato persino inseguito, in uno dei corridoi del loggione, dal Conte napoletano Antonio De Curtis detto Totò, che a sua volta era inseguito da un gorilla dai peli color rosso pommarola arrotolati, a forma di fusilli e spaghetti, con calcata in testa una tuba a forma di maccherone gigante.




I due marocchini
 
Era ancora notte quando suonarono al campanello della chiesa di San Vitalino due marocchini color caffellatte, dai piedi a forma di brioche con delle dita a forma di minuscoli bomboloni, i quali venivano da Schia e Pratospilla, località della neve e delle piste da sci. Con sé avevano dei sacchi pieni di burro-cacao e Fra Anolone gliene comprò uno.
Tutt'a un tratto, quest'ultimo, vide comparire nel gelo della notte i due marocchini e per burlarsi di loro il frate li pagò con uno spray di lacca per capelli, asserendo che conteneva dell'oro, cosicché i due neri rimbamba iniziarono a chimicare il sifone per dividere le sostanze, ma rimediarono dei grandi spruzzi accecanti sugli occhi. Così più furbamente, tastando gli effetti del flacone, si diressero dentro la chiesa di san Pietro e lo spruzzarono in faccia al prete chiamato don Acidio Aceto, in questo modo rubarono tutte le monetine dei banchi di candele e nella chiesa arrivarono Villa il nano e il don chiamato Salameblu ai quali, don Acidio, diceva che due parrucchieri o due pittoruncoli alla Laccabue Antonio, con un coso lo avevano accecato e rubato tutto.
Don Salameblu, don Acidio, Fra Anolone dal cilicio con nodi di corda a forma di anolini alla cintola e Villa il nano, per consolarsi, entrarono nel bar San Pietro dove videro il direttore d'orchestra Toscanini il quale, seduto ad un tavolino, stava fumando un toscano a forma di una sua bacchetta che muoveva nell'aria come per dirigere dei musici.
Villa il nano e i tre preti rividero i due ladruncoli nella calca per la corsa del Palio delle Giraffe, svoltosi in un percorso delle vie cittadine da un palazzo al cui interno la culturista detta la Pinzimonia aveva intinto l'alluce in un'anfora piena di unguento. Anni prima dagli addominali scolpiti nella carne dei bassorilievi della deposizione dell'Antelami si era sviluppato, gonfiato e a crescita ultimata, staccato dalla pancia, il signorino bambino Gesù e la Pinzimonia avevano chiamato il figlio Proscrofeta che era in loro compagnia a seguire la corsa.




I promessi sposi

Villa il nano dormendo in una chiesa sognò dei fatti orridi e terrorizzanti, più precisamente di essere Tramaglietta Inter in un libro dei Promessi sposi riscritto dall'amico poeta Jimenez e il nano cercava la sua futura sposa, la nana Lucicognola, che dei bravacci dai capelli tinti color banana con un ciuffone all'umbolabertola avevano rinchiuso in un baule poi buttato nella profondità del lago di Como blu, dove era riuscita a uscire e riemergere dal fondo come una bollicina di acqua minerale che sale in una bottiglia.
Villa il nano e la Lucicognola si erano dati appuntamento nello stadio di San Siro illuminato di mille luci, poi erano fuggiti da Milano su un taxi il cui taxista, baùscia, possedeva dei guanti di cotone gialli, impanati come cotolette alla milanese, e questi schiacciando un pulsante aveva fatto uscire dal cruscotto un braccio robot di un cameriere che aveva svitato il tappo alla bottiglia dell'amaro della Milano di notte: il Ramazzotti, e poi lo aveva versato automaticamente nel bicchiere a Villa il nano.
Il taxista raccontava burle che facevano sgargnaplare Villa il nano, tipo il soggiorno di Cavour nel lussuoso e sontuoso albergo "Grissinorina" a Torino, di fianco al quale era sita una ditta di gianduiotti dove le caldaie cuocevano la gianduia che le macchine colavano in appositi stampini.
I lingottini d'oro e il rumore dei pentoloni, accesi e bollenti, che producevano la merda dolce e saporita del toro, simbolo della balzana della città, impedivano al conte Camillo Benso di dormire. Qualche giorno prima l'albergatore, chiamato Gianni Duia, era stato ammazzato da brigantucci del Cialento tra i quali c'era quello chiamato Caciodiavolapuzzolona. In una sparatoria con le guardie sabaude il brigante era rimasto illeso perché delle caciotte stagionate, perciò durissime come una giacca antiproiettile, avevano fatto rimbalzare le pallottole sparate dalle pistole del regno piemontese.




La ponga musica

Nella torre nana adibita a scopate, in quel di Baganzola, Villa il nano aveva un carrellino porta bottiglie di amari che offriva ai vari clienti di sesso chiamati Gatti, Purèfecola, Del Donghi, Chiavoni, Fagiolotti, Serpipenti, Fane, Ranzani, Rambambino detto il culone culino dello Sperma, Flauto Flautolenza, Augurio Angurio, Peninetto Cazziolo e Pensierosi che, dopo le scopate, teneva uno spettacolino di burattini, a forma di farmacisti, che li anestetizzava iniettando un calmante con una siringa tenuta tra le manine di legno e questi dormivano fino alla mattina.
Dio dal lontanissimo e immenso regno dei cieli vedeva piccoli, piccoli i clienti arrivare in macchina con Villa il nano alla torre, e il nano vi portava in quel luogo anche dei culturisti dalle schiene di muscoli a forma di fossili scanalati dello Stirone.
Il vecchio Panzola era così chiamato dal panzone e per le dimensioni del corpo ciclotroniche. Quando Villa il nano li scopava andava a urlare davanti alla torre sgridandolo e con il vecchio per rabbonirselo Villa il nano e l'ospite uscivano e andavano nella notte al bar "La Cicogna", in centro a Baganzola a bere qualche amaro giallino o verdino o rossino.
I clienti del sesso al prostituto detto "La Melanzana alla Parmigiana” preferivano sempre Rosario Villa che con un vibratore a forma di lunghissima sigaretta stimolava loro gli ani.
L'avventura di quelle notti era pressappoco così: Villa il nano saliva sulla loro automobile, si faceva portare a Baganzola sino alla trattoria "L'Uccello Poiana", che a lui piaceva moltissimo perché a una parete era appeso un quadretto naif raffigurante un goal di Brugno Mora, il calciatore del Parma con indosso la maglia crociata. Un giorno era anche successo che nel dipinto Villa il nano si era riconosciuto pitturato minuscolo nella folla sulla gradinata.
Nella trattoria, avidi, mangiavano tortelli alla capra e al pecorino, infine il nano conduceva il suo cliente nella torre adibita a garçonnière, dal camino dal marmo di colonnata, località dell'omonimo lardo, e poi lo inculava o si faceva inculare sul letto a forma di cicogna.
Dopo la morte di Verdi nel 1902 nella garçonnière della torre di Rosario Villa il nano una ponga musica addomesticata, chiamata Spongata, color zucchero a velo del dolce natalizio, da cui prendeva il soprannome, veniva a suonare su una spinetta minuscola le arie delle opere di Verdi, e poi pigiava i tasti dell'organetto mignon con le zampe rosate come se bussasse a degli usci del paese di Busseto, con guanti di seta, allo stesso modo con cui Verdi toccava le note del pianoforte, e Villa il nano e i suoi clienti, tra i quali il nano chiamato Stronzio Scoreggeradioattive, Magatto Maialefici, e Febbraiocola Febbretto, applaudivano fumando pipe a forma di fagiani.



I venditori di muschio
Parmenio Caffebarboni poeta e Antoine Pecorile pittore vendevano muschio in gran abbondanza a Don Melevo che lo metteva nel presepio della sua chiesa. I due artisti lo asportavano tra i porfidi di Piazzale Barbieri a cui potevano accedere perché un custode, chiamato Bastardio, durante la notte apriva loro le porte della città e sempre a notte fonda passavano davanti a una fortezza, dal bersò di mimosa, dove abitava una ragazza dai polpacci grossi come cocomeri, solcati dai muscoli gemelli, e vedevano voli di pipistrelli e un giorno persino scorsero una civetta simile a una bambola che voleva catturare un topolino, ma atterrando dall'albero venne squartata da un ratto.
  


Lo spazzacamino


Villa il nano raccontava che da viandante errabondo, alla metà dell'ottocento, nel Cilento, causa una grandinata estiva, aveva trovato rifugio sotto una quercia secolare dove tre briganti, certi Mammafa, Granatino Limonio e Carafa, dai piedi scalzi e calluti e con pistoloni a forma di elefanti mosche, stavano mangiando degli spicchi di caci e con le palline della grandine, caduta oltre la chioma dell'albero che era a forma di zampone di scimmione, preparandosi una granatina ci versarono sopra dello sciroppo alla mentuccia.
Da un sacco tolsero tre pupi siciliani, rubati ad un burattinaio, artista di strada al quale avevano sottratto anche delle monetine guadagnate dagli spettacolini ambulanti, e con queste marionette meridionali, a forma l'una di regnante borbonico, l'altra di Garibaldi e ancora di barbiere, copiavano lo sketch del loro marionettaio che vedeva Garibaldi esortare il coiffeur a tagliare la barba al borbonico che a sua volta, colpito da sforbiciate, esclamava perché non se la tagliasse Peppino.
La località dove era sita la quercia era vicino a Teano dove Villa il nano, nelle selve, vide incontrarsi e stringersi la mano l'eroe dei due mondi e il re Vittorio Emanuele, entrambi in sella a due cavalli e imbizzarrito quello del Sabaudo.
Capitò a Villa il nano di vedere sui muri della chiesa dell'Annunziata una gara tra due lumache giganti, una a forma di culatello e l'altra a forma di prosciutto, che lasciavano schiuma di bava sui mattoni come due yacht spuma di onda nel mare.
Un giorno di giugno con il sole albino era andato sul terrazzo del chiosco-bar del giardino pubblico con lo scrittore Proust a bere uno sciroppo di ciliegia, marca "incudine dei Fabbri" e i raggi bianchi del sole era grossi e spessi come quelli di un proiettore del cinema e al riflesso dei quali brillavano le libellule. I due quella notte avevano dormito in un dependance di una macelleria da pesto di cavallo, sita nei borghi dell'Oltretorrente, sopra un letto a forma di cavallo gigante, stando sulla groppa, e con il deretano sostenuto da piedi di legno a forma di zampe equine, mentre lontano sentivano gli applausi e le risate dei bambini che provenivano dal teatrino dove si svolgeva lo spettacolino dei burattini dei Ferrari e Sauro, il cavallaro dai dentoni lunghi come uno stallone e nano come un pony, aveva trovare un quaderno di poesie del bambino poeta Bertolucci sul comodino con due bicchieri d'acqua e pastiglie vanesie alla valeriana.
Nella notte usciti nei borghi a fumare qualche sigaretta e, incontrato uno spazzacamino, che con una granatina andava a spazzolare il camino del don chiamato Bercalicionano, entrarono dal camino nella stanza del sonno del reverendo e parlarono con il prete che anni dopo, nel 1980, prima di spirare sputacchiando anolini in ospedale insieme a qualche suo dente marcio, urlava a Villa il nano, giunto al suo capezzale, che l'Italia l'avevano fatto Agnelli della Fiat, il ciclista Coppi, il cantante Modugno, Mike Buongiorno il presentatore e qualche altro poetuncolo.



La penna

Villa il nano era amico di un nano chiamato Novembrio Scrofo, una sorta di bambino somigliante a un porco mostruoso gonfio, grasso e sbodenfio, con cui correva per le strade della Bassa nelle notti nebbiose sulla automobile guidato dal taxista chiamato Messissia il quale, per mezzo di un pulsante, scapsulava un vassoio con su una torta alla mousse di fragola sulla quale il mastro pasticcere, per mezzo del sapore, aveva emulato con della crema rosa le sculture del bassorilievo dell'Antelami sistemate nel Duomo di Parma, in marmo rosa di Verona, dello stesso colore di quel dolciume. I due sgargnaplavano e ridevano come matti perché tra Sissa e Zibello c'erano delle maestà illuminate, di luce color, croco in cui posavano come messia buddhani grassi maialoni.
Per le vacanze di Natale Villa il nano offriva dei viaggi in taxi, in sua compagnia, ai nani chiamati Gratugianasi e Pollo di muffa del Duomo. Il taxista chiamato Parfum aveva una sportina della spesa donatagli da un erbivendolo dal quale aveva comprato melanzane, a forma di polpacci di Marialuigia, da cucinare alla parmigiana con il pomodoro e la mozzarella.
Una mattina di quei giorni, con Antoine Pecorile, pittore naif, Villa il nano scese dal taxi in piazza Garibaldi, scaldata da un sole pacchiano, provinciale e paesano, e si sedette a un tavolino di un bar dal nome omonimo della piazza, poi passò l'intero pomeriggio a fare dello shopping per il proprio corredo da puttano comprandosi palandrane di pelo di capretto e mutandoni pizzerrillati, con il buco davanti e dietro, per scopare senza smutandarsi. La notte era a bazzicare sui marciapiedi di marmo, color gorgonzola, perché con le striature verdine, tipiche di questo formaggio, con altri prostituti tra i quali quello detto Sigarettacazzioturchia.
Percorrendo il lungoparma più volte, seduto nel taxi, aveva visto camminare nel greto del torrente tre barboni detti il Cigno Mascalzone, con la barba color cigno bianco, il Caprone e il Barbonio che fumava una pipa di terra cotta, Villa il nano raccontava a Parfum, il taxista, fatti assurdi come quando aveva partecipato a un banchetto a base di pinzimonio, il cui olio per intingervi le verdure si versava da una oliera a forma di piede femmineo da culturista, dal cui alluce usciva lo zampillo, oppure quando in tempo di guerra a lui e mio nonno avevano regalato un bambolotto, con le fattezze di Hitler, dai fatidici baffetti quadrati che, se azionato, poteva distruggere un intero paese, così lo avevano occultato nelle acque del Taro disinnescandolo.
Insieme al taxista chiamato Lattanzi Villa il nano girava negli anni ottanta per Vigatto, vico abitato da moltissimi micioni e, lì passando, mentre si aspirava una sigaretta, questa sapeva di feci di gatto. Sceso in piazza Garibaldi vide dentro la vetrina del negozio 173bis, dove ragazzine graziose "sfittizie" e paninare compravano oggettini vari, una penna marca Pussicat dai pennini multipli che si potevano utilizzare singolarmente schiacciando una delle diverse plics del colore dell'inchiostro, rispettivamente agli agrumi e alla fragola, dei quali avevano anche il profumo, che comprò il giorno dopo non dormendo la notte tanto lo sgolosava e con quel modello di stilo la ragazzina Elois aveva scritto tutti i temi alle medie, alla scuola Pascoli, che Villa il nano entrato furtivamente nella notte nell'istituto con suora Lacialdila aveva letto tutti.
 


il drogato


Quando Pasolini fu spatassato dai pneumatici della sua Alfetta, guidata dall'assassino Pino Pelosi, e piena di modelli di piedi nudi maschili appartenenti a manichini di plastica, il giorno dopo fu riconosciuto dagli inquirenti e dall'amico Ninetto Davoli per un dente molare d'oro, a forma minuscola di falce e martello, e Villa il nano, che il poeta aveva soprannominato l'Uccellino e la Mammola di Dio.
Verso l'ora dell'assassinio era nelle vicinanze dell'Idroscalo e sentì le sirene della polizia con la voce disperata dell'amica Susanna, la madre dello scrittore, che solitamente apriva il gorgoglio d'acqua del bidè per lavargli il pene dalla sporcizia degli ani che scopava andando in quel luogo di notte.
Villa il nano da una cabina telefonica di un bagno balneare di Ostia Lido, chiamato l'Erculosseo, telefonò nella notte con un telefono a forma di carciofo alla comunità chiamata l'Ago di pino, piena di siringhe infette e profumata di lisoformio, precisamente a don Caciotti, il quale arrivò con un infermiera, addetta alla riabilitazione dei drogati tra i quali l'omicida detta Eroina la Gladiatrice, in compagnia del drogato deficentoide detto Abba l'Abbacchio e il cuoco della mensa del centro tossicodipendenti chiamato Pignatta. Ritornando in centro nell'Urbe di Roma, sotto una luna più friccicarella, di una stella, Villa il nano, incontrando Raffaella Carrà e l'amante Japino che uscivano a notte fonda da un ristorante, urlò che era morto Pasolini e i due esclamarono: "chi Paolo?".





I Cani bastardini

Come ospite del cardinale chiamato Tombolino, nella sua villa sulla Via Appia, Villa il nano dormendo nella casa sognò Roma in rovina dai palazzi e monumenti sparsi come ruine e il Colosseo come un dente gigantesco e cariato, e di essere nel settecento in un ristorante sotterraneo chiamato il Carciufo in compagnia di un barbiere detto il Carciuffo e del pittore ruinista Panini, intenti a mangiare l'abbacchio alla saffo, con erbe femministe ed oppiacee che se mangiate da donne le stimolavano a far l'amore con persone del proprio sesso.
Nel locale c'era un fontanone zampillante Frascati, dove i clienti potevano andarsi a riempire il bicchiere di tale vino, e il cuoco panzone discorreva con i clienti seduti ai tavoli dentro a dei grossi loculi di ciascun catacomba. A loro nominava le erbe lesbichina e saffincula profumate al rosmarino misto alla camomilla con cui cucinava l'irco. A un tavolo erano sedute una ballerina lesbica, dal nasone lunghissimo da pinocchia con larghe narici, somigliante a un pene, calva, dai bicipiti nodosi e collane cavigliere, chiamata Suspiriarnaldesia Ponteficata, e una ragazzina dai capelli arrotolati a forma di fettuccine la quale, con scarpe a forma di libri, faceva il piedino alla danzatrice d'Etoile, vestita di un velo trasparente in cui si vedevano dei piccoli seni flaccidi e con alle dita delle mani anelli a forma di volti minuscoli di poetesse e scrittrici omosessuali quali: Saffo, Aleramo, Woolfe e De Beavoir. Nella notte a Roma, città illuminata da carciofi incandescenti come torce, in un percorso cittadino c'era una gara di corsa di cani bastardini, vestiti da cardinali con abiti rosso porpora, organizzata dalla Città del Vaticano. Villa il nano sognava di essere in compagnia del pittore Panini a un lato di una strada fra una folla di curiosi a seguire i cani bastardi correre e lì vide, mano nella mano, la donna e la ragazzina allontanarsi e perdersi per sempre entrando in una casa a forma di caprone gigantesco, in vicolo Sisto Sesso, e sentì i risolini della ragazza-angelo sui discorsi della donna calva che raccontava in un balletto di aver sollevato più volte il ballerino. Alla corsa dei cani vinse quello detto Mammola Bastardillo, il cui allevatore era uno del Pincio chiamato Canilio dei Michelangeli, poi Villa il nano si svegliò.




Il topo-pipistrello
Un giorno iniziarono le peregrinazioni di Antoine Pecorile, Parmenio Caffebarboni e Villa il nano in giro nei paesi del parmense e così arrivarono a Zibello, paese il cui nome derivava dal termine gibbetto perché con una gobba di terra su cui era edificato la ricamata reggia dei Pallavicino, ovvero come una specie di culatello appeso con le corde alla cantina di Dio, sul cui salume erano state costruite le mura del paese. Seguirono nelle calca della piazzetta la corsa del Palio delle Scrofe vinto dalla maiala chiamata Magnaghianda, montata dal fantino detto Colaticcicciolo. Passarono la notte dei festeggiamenti in una trattoria del paese mangiando culatello e bevendo lambrusco insieme a un prete di Zibello chiamato Lombo Maialonza.
Nella notte ripartirono per un altro paese e giunsero nelle campagne di Fontanellato dove pernottarono dalla mezzadra chiamata Arambellaramba, donna muscolosissima. Nel buio della notte, prima che facesse l'alba, giunsero nella piazzetta della Rocca di Fontanellato e Villa il nano pipava. I tre incontrarono il nano Cullolucullio che, vedendo volare un topo con ali a forma di tortelli neri, esclamò: "Vè Jovannathan Livingsthon" e spiegò che il papà topo, sognando la libertà del figlio, si era arrampicato su un cornicione e aveva fornicato con una pipistrella generando con le alette quello.




Il mastrolindo
 
Una sera degli anni sessanta Villa il nano era a Milàn in un palazzone di un quartiere dormitorio per mangiare della pastasciutta, con l'oro rosso di Napoli, dalla famiglia di immigrati chiamata Merdionali essendo andato a trovare l'amico Molisio. Dopo la cena la mamma di quest'ultimo puliva i piatti nella cucina linda ma sciatta con il Mastrolindo, flacone con sull'etichetta un Rambo pelato dalla testa calva e lucida che simboleggiava la forza pulente del detersivo. Poi venne buio e dal capannone si vedeva lo stadio di San Siro a forma di panettone.
Nella notte Merdionali portò Villa il nano al bar Ramilanozzotti dove incontrarono i giocatori dell'Inter Facchetti e Suarez, nel mentre, la radio del bar trasmetteva una canzone di Celentano. Infine presero un tram con su la pubblicità dell'amaro Ramazzotti il quale a una fermata in piazza Duomo si fermò davanti all'abitazione dove, nel lontano ottocento, il poeta Rimbaud aveva pernottato da una vecchia e poi il terrone, vestito di una maglietta lisa con tante macchie di pomodoro e Villa il nano ritornavano nel quartiere vicino allo Stadio San Siro con all'orizzonte, sui palazzoni obbrobriosi di cemento, la bella Madonnina che brillava da lontano.





I baffi di Salvator Dalì

In una notte del 1923, con il poeta surrealista e francese Desnos, Villa il nano era riuscito a entrare furtivamente in un noto liceo di Parma intenzionato a leggere i temi di una certa Francesca Acquasanvitale che, su tre facce di ogni foglio protocollo, raccontava le sue avventure saffiche con le proprie fidanzate culturiste, profumiere e compagne di classe.
La ragazza, carina, graziosa e con gli occhi simili a due gocce gonfie e blu di inchiostro, frequentava un bar incastrato nei borghi di Parma dove anche il nano si dava appuntamento con il poeta, dal cappello a forma di flipper surreale, per leggere i suoi ossimori bevendo un espresso.
In un tardo pomeriggio serale Villa il nano, come fine e compimento della storia, scoprirono in una finestra del convento Santorsola che la Francesca si era fatta suora e ricordavano così le palestrate gonfissime di muscoli, le profumiere graziose che le vendevano come creme di defecazioni profumate di coccodrilli perché questi caimani si cibavano di fiori dolci all'olfatto, compagne di classe con cui si scambiava le mutande e il perizoma, alle quali dava un bacino ricambiato all'unisono da queste. A Parigi il nano e il poeta frequentavano un caffè letterario dove bevevano una limonata, marca Brunettolimonsodomita e una sera, tornando dal bar in albergo su un taxi, entravano nell'hotel da una porta girevole nella quale, una volta, Villa il nano aveva schiacciato i baffi lunghi come antenne per mettersi in contatto con l'aldilà col pittore Dalì, il Dio del surrealismo, che stava lì a soggiornare.





Il bosco di Fragole
 
In una abitazione immersa nei boschi di fragole dormivano, sopra un lettone matrimoniale, il nano chiamato Fragolaingord e un lupo dalla cuffietta da nonna, calcata sulla testa, e dai denti canini sporgenti come due zanne dalle fauci. I nani chiamati Papagorgialarda e Villa, in giro nella notte, bussarono alla porta della casa e il lupo chiese con la vocina flebile chi fossero. Ai due presentatisi fu aperto e offerto delle fraberry of ice cream. La mattina seguente si divertirono ad andare in altalena e a Fragolaingord là dove si era tolta la scarpina a forma di fragolina rosa.






Il fagiolone gigantesco

Che bello raccontare la fine degli anni novanta quando Villa il nano arrivò su un pullman del Milan calcio, rosso e nero fiammante, dal il gagliardetto stampato con disegnato sopra il diavolo Milanefistofile, in un casolare dove c'era un banchetto-maialata e a mangiare maiale c'erano Gullit, l'olandese con le treccioline a forma di tulipani, e il paron Berlusconi che aveva lanciato dall'elicottero su San Siro, nella curva degli ultras, migliaia di pacchetti gratuiti di sigarette. Nelle camere del casolare, finita l'abbuffata di piedini e costine di maiale, Villa il nano aveva inculato l'intera formazione del Milan e marescialli, più stupidi della merda dei carabinieri, giunti lì avevano analizzato gli ani dei giocatori ed infine avevano arrestato e inquisito il nano Villa che era stato ascoltato in commissariato e rilasciato dopo molte ore di interrogatorio in cui aveva raccontato che aveva molto goduto del culeador Maldera, vecchia gloria della squadra.
Villa il nano per giunta si era chiuso in una stanza e aveva fatto sesso anche con il cameriere del katering della maialata chiamato Parsùt Melòn, dai boccoloni color melone, e lo jabot della camicia rosata a forma di fette di prosciutto.
Esauriti i goldoni con cui aveva fatto sesso con un israeliano tifoso del Milan, che si chiamava Ficuccumerdu delle Cuccuredde Merdure e al nano Merdacciconia, Villa il nano salì in macchina, dalla carrozzeria a forma di pulcinone gigante d'oca, e andò nel centro di Sissa, nella farmacia del dottor Pillolon, a comprare altri profilattici, tornando un bel po' di tempo dopo nel casolare perché si era fermato a farsi sganciare un pacchetto da un distributore di sigarette, fece irruzione in una delle stanze e rifece sesso con il sommelier Er Colino Vinassanto, il quale divideva la stanza con un piacentino detto il Pisciarel che soleva girare nelle vie di Piacenza in compagnia del pittore Panini, dagli alamari della camicia a forma di calamari, su un carro carnevalesco che trasportava un fagiolone gigante come una torre campanaria di una delle chiese della città. Il faso doveva scoppiare emettendo una grossa scoreggia ariofagitica e ritornando all'orgia Villa il nano scopò anche il vecchio chiamato Goleada dalla barbetta gonfia e bombata a forma di minuscolo stadio Tardini, al quale andava a seguire da grande tifoso il Parma Calcio.
Nel lettone di una stanza del casolare dormiva un porcetto nano detto il Vermesalamemicettodelsalumefelino che, sudando per il caldo torrido della notte estiva, aveva lasciato una impronta sul lenzuolo come una sindone e i don chiamati Lambruscoldo Stappon e Travo Crunadellago, seduti alla tavolata sotto il portico, bevecchiavano i resti del vino mentre alcuni camerieri del katering, pagati dal ristorante chiamatola Porcellona per il quale servivano, sparecchiavano.



Topo Gigio

Dopo i tanti paesini visitati sul taxi color violetta guidato da una cavia di Pavia gigante, addomesticata, fiabesca e ghiotta di Grana Padano Pecorile, Caffebarboni e Villa il nano arrivarono in Via Vittorio Emanuele in occasione della ricorrenza del referendum monarchia e repubblica, mentre dei giovani monarchi lanciavano biscotti savoiardi a forma dei volti bislunghi dei regnanti sabaudi. Sulla via, in un fermento cittadino che aspettava il responso delle votazioni per esortare il governo a stare con la monarchia, Villa il nano passeggiava tra la folla fumando sigarette, marca regine umbertine, e abbandonò per qualche ora i due amici per raggiungere il frocio chiamato Fascisti. Sul letto della canonica della chiesa di Sant'Antonio lo accarezzava, lo pettinava e lo baciava come un omosessuale mentre fuori si sentiva un gran vociare e c'era un gran trambusto.
A notte fonda passò un carro allegorico che raffigurava il pupazzo del re impiccato e un grosso pube infiocchettato, simboli della sconfitta della monarchia e della vittoria della repubblica. I nostri tre risalirono sul taxi guidato dalla cavia bianca per intraprendere dei nuovi viaggi nei paesi del parmense Infine giunsero a Torre Chiara dove, al Castello, li attendeva un moscone a forma di diavolo con la proboscide a forma del suo nasone, i baffetti a spillo, le zampe sporche di vergogne di levrieri e la peluria rossa e nera dai colori metallizzati come di tafano, il quale aprendo una porta di un maschio li fece dormire. Non prima che il proprietario del castello, uno di Langhirano detto L'Ombo l'An Ghiro Dormiente Ano di Maiale, facesse vedere le cantine con appesi salami a forma di serpenti o vermi giganti a sua volta di gatti sottili e bislunghi in cui i fantasmi dei poeti Rimbaud e Verlaine, anch'essi in viaggio per i castelli del parmense, se ne tagliavano a fette uno e se le mangiavano ed era sorprendente vedere questi due spiriti bianchi che fumavano due pipe, una olandese l'altra francese, sostenute da una alone bianco all'altezza della bocca dentro il quale spariva nel nonnulla il salame come fosse liquefatto e digerito da una digestione da fantasmi.
Nel sotterraneo, tutte le notti, il diacono della cappella del castello, religioso chiamato Feudio faceva correre gare di corsa a toponi per i vari rioni. Quello detto del Malvasionde, la cui contrada nemica era il casato del Mare di Lambrusco, e quello della Pantera Violetta dell'Apocalisse, la cui opposta antagonista era la Pongona Maschiona, a letto i nostri sentirono la folata con annesso raspamento delle zampe dei topi all'ultimo dei quali un barbiere del castello detto Forforabucodelculo tagliava con una forbice la coda.
 


La malvasia
Dopo i tanti paesini visitati sul taxi color violetta guidato da una cavia di Pavia gigante, addomesticata, fiabesca e ghiotta di Grana Padano Pecorile, Caffebarboni e Villa il nano arrivarono in Via Vittorio Emanuele in occasione della ricorrenza del referendum monarchia e repubblica, mentre dei giovani monarchi lanciavano biscotti savoiardi a forma dei volti bislunghi dei regnanti sabaudi. Sulla via, in un fermento cittadino che aspettava il responso delle votazioni per esortare il governo a stare con la monarchia, Villa il nano passeggiava tra la folla fumando sigarette, marca regine umbertine, e abbandonò per qualche ora i due amici per raggiungere il frocio chiamato Fascisti. Sul letto della canonica della chiesa di Sant'Antonio lo accarezzava, lo pettinava e lo baciava come un omosessuale mentre fuori si sentiva un gran vociare e c'era un gran trambusto.
A notte fonda passò un carro allegorico che raffigurava il pupazzo del re impiccato e un grosso pube infiocchettato, simboli della sconfitta della monarchia e della vittoria della repubblica. I nostri tre risalirono sul taxi guidato dalla cavia bianca per intraprendere dei nuovi viaggi nei paesi del parmense Infine giunsero a Torre Chiara dove, al Castello, li attendeva un moscone a forma di diavolo con la proboscide a forma del suo nasone, i baffetti a spillo, le zampe sporche di vergogne di levrieri e la peluria rossa e nera dai colori metallizzati come di tafano, il quale aprendo una porta di un maschio li fece dormire. Non prima che il proprietario del castello, uno di Langhirano detto L'Ombo l'An Ghiro Dormiente Ano di Maiale, facesse vedere le cantine con appesi salami a forma di serpenti o vermi giganti a sua volta di gatti sottili e bislunghi in cui i fantasmi dei poeti Rimbaud e Verlaine, anch'essi in viaggio per i castelli del parmense, se ne tagliavano a fette uno e se le mangiavano ed era sorprendente vedere questi due spiriti bianchi che fumavano due pipe, una olandese l'altra francese, sostenute da una alone bianco all'altezza della bocca dentro il quale spariva nel nonnulla il salame come fosse liquefatto e digerito da una digestione da fantasmi.
Nel sotterraneo, tutte le notti, il diacono della cappella del castello, religioso chiamato Feudio faceva correre gare di corsa a toponi per i vari rioni. Quello detto del Malvasionde, la cui contrada nemica era il casato del Mare di Lambrusco, e quello della Pantera Violetta dell'Apocalisse, la cui opposta antagonista era la Pongona Maschiona, a letto i nostri sentirono la folata con annesso raspamento delle zampe dei topi all'ultimo dei quali un barbiere del castello detto Forforabucodelculo tagliava con una forbice la coda.




Il risotto al tartufo
 
In un antro con un buco sottoterra adibito a ovile e perciò pieno di pecore in cui un orco più peloso di un cinghiale ogni giorno ne sceglieva una da rosolare sullo spiedo del suo camino, il nano e piccolissimo chiamato Pollicilino, lì dentro sequestrato, fu sbattuto nel buco che sorprendentemente aveva una uscita sotterranea e arrivava fin dentro al Duomo di Orvieto dal reverendo chiamato don Orvietasega.
Le sculture del frontone della chiesa rappresentavano suore nude dai seni piccoli, sottili e bislunghi a forma di peni. Pollicilino facendo autostop con il pollicino a forma di minuscolissimo e gonfiolino pollo salì sulla macchina guidata da Villa il nano su cui viaggiava anche un altro passeggero, un archepopologo che chimicava la merda antica per datarne l'età in una fogna, forse etrusca, rinvenuta vicino alla città. Erano diretti a un convento di Gubbio dove sarebbero stati ospitati da suor Dubbio che preparò loro una specialità del loco, un ottimo risotto con gli ufo mostruosi e neri che nascono per opera della luna sotto terra, chiamati scorzoni. Con loro a mangiare c'era una suora senese, chiamata Mangiona, abile a raccontare che per fare la pista in piazza del campo si metteva il tufo, sorta di terra extraterrestre sul quale si correva il palio di Siena.
Villa il nano rideva come un matto, ricordandosi al palio del 1902, travestito da piccione e rannicchiato in una delle loggette di uno dei palazzi della piazza. Dopo il Palio era stato a una festa tra fantini leggendari di tutte le epoche che avevano fatto gli autografi, scrivendo da analfabeti, i loro nomi svolazzanti e riccioli come i peli della lana delle pecore e quell'anno la parata storica era stata interrotta per l'invasione di navicelle extraterrestri dalla forma di tivù, con le antenne a forma di nerbi o di pigiatori industriali, avvenieristici per quell'epoca e poi tutto era ritornato a sfilare, cavalli, bandiere e vessilli, dopo averli fatti volare via.





Il Rigoletto


Mio nonno, il giovane Achille, portò alla marchezana e a don Medezanella, la nobile e il prete di Varano Marchesi una radice a forma di prosciutto che, se affettato al palato, avevano il gusto crudiccio del salume di Parma e il tubero fu trovato e scoperto a Casafaggi sul monte Panegù, davanti alla casa del padre di mio padre, che lo mandò arrotolato a una cravatta del Vaticano, bianca e gialla, con stampato sulla stoffa un chiavone di San Pietro che il Papa la giudicò un rinvenimento prezioso perché anti macellazione dei maiali. Anni più tardi quel bambino di mio nonno, da parte materna, e Villa il nano andavano a Noceto a bere in un bar un nocino stranamente conservato dentro una botte-noce, nata spropositamente gigante su un noce servita a loro dal cameriere detto Bianconesio, uno di Bianconese che era arrivato al tavolo con un vassoio a forma di volto di Verdi, a sua volta a forma di cigno le cui ali erano i baffi del musicista sul quale erano posati i bicchierini pieni di infuso di noci.
Più indietro negli anni, la sera di Natale, dopo la cena, erano presenti tanti vecchi e nani tra i quale Fontemorto, uno di Fontevivo e i cugini di mio nonno chiamati di cognome Amarognoli: Renzo, Remo, Teresa e Livia sbocconcellante baci al cioccolato, cioccolatini a forma di labbroni di negra fatti arrivare apposta per lei da Alassio, una ponga dall'ormai morto Giuseppe Verdi, bianca color zucchero a velo fosforescente e detta Spongata, teneva un concertino suonando da musica sui tasti colore, a forma di canditi, di una spinetta minuscolissima a forma di gola di Verdi le arie delle opere liriche di questi e cantava con la vocina buffa: "Va cicogna,sulle ali dorate". Poi La Ponghella sparì dalla circolazione, forse morta, per cui mio nonno e Villa il nano erano andati a cercarle nelle canoniche dei paesi di Busseto e di Semoriva da un prete che diceva messa in tutte due le parrocchie, il quale disse che il "fenomeno" era scappato ma i due, entrando nel cimitero del paese di Semoriva, videro una lapide piccola come un dadino murata ad un piccolo avello in cui era scritto: "Qui giace Spongata", il ponghellino musico zigano, fenomenale esemplare addomesticato di panteganina dei baracconi, color spongata fantasma, e lussuosamente peloso colore dei baffi di Verdi la quale incantava suonando sulla spinette del gobbino Rigoletto sul suo spartito.
Ricorderò che l'ultimo Natale che la ponga suonò nell'abitazione degli Amarognoli, era il 1919, su Pontetaro c'era una bufera di neve e un lampo finito nel Taro, illuminandolo di giallo aveva ucciso centinaia di pescigatto che galleggiavano morti e in panciolle sull'acqua.




L'allevamento di colombe del Vaticano

Nei primi anni venti del Novecento, nel cortile della famiglia Savi, nella cui casa c'erano i cuscini dei letti foderati di penne di fagiani, si bruciavano il falò e lo spiazzo risuonava di grida argentine di bambini, tra i quali quello del mio futuro nonno Achille detto Keplero, di Faghiandini, il cui padre forniva di ghiande i maiali del porcile di Ettore Amarognoli, Zoppettini, Coperchiettini e Pizzapisciarotti, poi diventato l'edile nel Taro con grande risparmio perché si serviva della sabbia del fiume.
Un nano di Sanguinaro, siccome a carnevale ogni scherzo vale e di fianco a casa Savi c'era un macello della ditta paterna che vendeva carne all'ingrosso, aveva tagliato un dito a un macellaio e lo spacciava per un salamino.
Le vecchie erano in casa intente a recitare il salva regina e a inneggiare Papa Ratti, pontefice di quegli anni. A Villa il nano un altro bambino aveva buttato dentro il fuoco le sue figurine "Sandwichine" con stampati i busti degli assi del campionato di calcio di quell'anno e don Sborniatella, don Calisse e don Bruscoli dicevano che aveva fatto bene perché le decalcomanie sapevano di droga, anche se era solo l'odore della plastificazione. Poi l'Anna Savi diceva ai bambini di andare all'oratorio, asilo del paese, da suor Pontettatara, ottima cuoca polpettaia e confezionatrice di chiacchiere del carnevale, la quale esclamava che arrivava il diavolo e qui i pupattoli mangiarono gli sgonfietti della festa in maschera e giocarono a mosca cieca.
Villa il nano fece recitare il "Credo" a suor Pescegatta e all'Anna Savi, dopo questo fatto, esclamava che voleva sedersi di fianco al trono di Dio. La suora, ridendo con i denti ornati di una corona di rosario, diceva che la sua asserzione era una imprecisione di catechismo. Poi da una porticina faceva capolinea il giovane seminarista chiamato Merli Giovanni, alto, magrolino, allampanato, ma con i capelli già grigi e questi esortava i bambini nani a pregare i piedi verginei della Madonna per i loro cari morti, i quali sarebbero risorti e Villa il nano gli raccontava di essere stato con suo nonno Gosinoni a Tivoli nell'allevamento di colombe del Vaticano dove ogni domenica ne prelevava una perché il papa la liberasse e la facesse volare fuori dalla finestra in Piazza San Pietro, infine il nano raccontava che uno di Sanguinaro, un certo Colaticciocicciolo aveva tagliato un pollice a un grosso macellaio a casa Savi e lo spacciava per una luganiga e il futuro sacerdote quasi piangeva di dispiacere.
Il giorno dopo il carnevale Villa il nano entrò nella tabaccheria-giornaleria di Pontetaro da James a comprarsi delle figurine di calciatori e un vecchietto bisbetico diceva che erano della "Panini" e gli assi calciatori stampativi su erano i salami tra i quali Schiavio.
Villa il nano sognava gli stadi come fossero dei colossei di bomber, belve e felini, capaci di uccidere i portieri marcando in rete, e con mio nonno e Pitina negli anni trenta andò al Partenio ad un Napoli-Inter e nello stadio siffatto si fece pulire le scarpe da uno sciuscià e il bollitore della fuoco della lava del Vesuvio si confondeva agli schiamazzi dei tifosi e in tribuna erano di fianco a un conte napoletano con una bombetta bianca a forma di mozzarella gigante, poi un venditore ingenuo e povero passava con una pentola piena di spaghetti alla pommarola. Lo chiamarono e riversò tre buoni porzioni di fili rossi nei rispettivi piatti e loro li mangiarono ghiotti come perduti puntini nella città di Pulcinella e i napoletani piangevano perché perdeva la loro squadra.
A fine partita nel bar dello stadio si concessero anche il liquore del novantesimo minuto: lo Stock 84. Mentre una giornata degli anni sessanta d'inverno e di neve invece erano allo stadio Comunale a gremire una gradinata per seguire il barbuto asso-calciatore del Torino Gigi Meroni e gli spalatori a bordo del campo spalavano la neve e sull'ultimo anello di uno spalto, vicino ai cartelloni pubblicitari, dei vecchi avevano ombrellato una signorina torinese e lesbica detta la Valentin dalle gambe sottili come grissini, vestita di un tailleur grigio e con scarpine dai tacchi a forma di gianduiotti, la quale era tifosa di quell'ala destra e la epitaffiarono come puttanorina.






La gara dei mangiatori di anguria
In mezzo ad una folla di curiosi, tra i quali il vecchi Sissesso dalla bombetta a forma di panzona di porco calcata in testa, Villa il nano assisteva alla crocifissione di un maiale detto Lesusissine nella Piazza del paese di Sissa.
Villa il nano era giunto lì con il sarto Sisseta in macchina insieme al figlio nano di un mezzadro chiamato Spursisse. Nel paese c'era anche una gran festa e la gara dei mangiatori d'anguria. La madrina della manifestazione era una super maggiorata con tette grosse quanto dodici cocomeri. Il primo premio era una luna di miele e fu questa che vinse il figlio di un maialaro il quale ingurgitò tre chili di polpa del frutto della peponide. Nella notte Villa il nano uscì da Sissa sul pullman a tre piani a forma di cocomero gigante bianca, rossa e verde, della nazionale azzurra vincitrice al mondiale di Spagna ed era con il nano detto Mammacellaio di fianco al calciatore Bastardelli, altro padrino con Paolino Rossi e l'allenatore Bearzoticoni della sagra.
Sulla corriera c'erano anche dei marocchini, neri come semi d'anguria, i quali per qualche sparuto soldo servivano i giocatori e l'allenatore che tra tanti applausi aveva sollevato la coppa Rimet alla fiera. Anni dopo la Juventus aveva vinto lo scudetto e Villa il nano era nella Torino, dei palazzi sabaudi dorati e delle industrie del cioccolato dalle ciminiere dove si producevano i gianduiotti, a festeggiare il campionato vinto dalla squadra di Platini su una macchina utilitaria della Fiat a forma di agnolotto gigante, tra tanti caroselli di automobili ed era in compagnia di un callista detto Popino Moncallieri, vestito con una giacca dandy colore sedano appartenuta al poeta Gozzano.
Torino nella notte brillava come un lingotto d'oro e i tre andarono a terminare la nottata in un night chiamato Fiatunculo dove Villa il nano s'innamorò di una donnina vestita da bambolina Gianduia, con ai piedi scarpine d'oro a forma di gianduiotti, detta la Macaria. Villa il nano dormendo sulla macchina per tornare a casa si sognò a un banchetto dell'aldilà a una tavolata lunghissima, indetta dal Gianin presidente della Juventus, alla quale cena, a base di bagna cauda e vino nebbiolo, aveva invitato tutti gli operai della Fiat.
Lì agli operai meridionali chiamati Fiatschetta e Calabrello Villa il nano raccontava che nel 1949, quando faceva il coiffeur per un salone di barberia a Torino e l'inverno era caduta tanta forfora (la neve) sul Po, da una serratura di una stanza dell'hotel Roma spiò una sera lo scrittore pavese che, nudo, faceva il bagno e poi con questo e Fenoglio era andato a mangiare il tartufo bianco ad Alba.
 



Il treno deragliato

Alla stazione di Napoli deragliò un treno dal quale schizzò fuori un'antica baldracca napoletana chiamata Maradonna e sul colpo morta. Sul treno viaggiava anche il poeta Umberto Saba in compagnia del suo canarino che, per lo sconquassamento del vagone, sbattè sulla gabbietta a forma in miniatura di un palazzo antico di Trieste.
Dentro la parte di gabbietta, costruita a mo di suo abbaino, dove c'era la vaschetta del miglio, e così l'implumino color croco morì. Sul treno c'era anche Villa il nano Rosario che stava leggendo un libro horror avvincentissimo che sembrò scoppiare e rimbalzare sulle pareti dello scompartimento tanto era carico di fatti orridi, ma ciò in verità successe perché il treno si divelse dai binari.
Il romanzo dalla copertina colore sangue o colore pommarola raccontava in dialetto napoletano antico e maccheronico e scritto da una certa Nella Pulci di un sosia di Benito Mussolini, dalla testa macrocefale e calva, il quale a Napoli, vivendo con tre mogli, le aveva accoltellate tutte, sporcando di sangue le pentole piene di spaghetti e i lenzuoli dei letti fatti subitamente lavare dalla serva chiamata Napoli, che poi aveva steso il bucato su una terrazza abbarbicata in un complesso di abitazioni le une sulle altre, ma sbadatamente l'uomo non aveva lavato i pentoloni per cui i carabinieri, giunti lì con calcati in testa cappelli a forma di pomodoroni, l'avevano indiziato come primo responsabile e assassino dei tre omicidi.
In bilico sul treno, riverso nel quale da un buco del finestrino erano entrate frotte di gatti soriani, così nel buio illuminato dagli occhi fosforescenti di questi mici snelli ed atleti, in cerca di quale murice (topo in napoletano), anch'esso entrato sul treno, Villa il nano finì di leggere il romanzo che aveva tra le pagine uno spaghetto plastificato e rosso sugo a modi segnalibro, finché arrivarono delle autombulanze e crocerossini che disinfettarono le loro escoriazioni e li fecero salire su un altro treno che li portò alla stazione di Napoli Portici.
Dalle lancette dell'orologio a forma di due corni Villa il nano, dal bernoccolo a forma di pomodoro rosso, con tutti i passeggeri mangiò nel ristorante della stazione pasta come maccheroni a forma di volti minuscoli di Totò, marca Voiellatrice.
Erano le quattro di notte quando Villa il nano uscì dalla stazione e lì vicino inserì delle monetine in un vetusto distributore automatico di sigarette che gli sganciò un pacchetto di queste, marca Decurtisigarette le smorfie, infine si allontanò e la notte lo inghiottì.





I Caseifici

Villa il nano sul taxi del Taxista detto il Parmanandro, inoltrandosi nel reggiano, vide i due affrescatori, il nonno nasone del pittore Sirocchi e lo Sniffacaseo dai nasi lunghissimi ed antenne dell'aldilatte del formaggio parmigiano-reggiano che giravano nella notte nelle campagne reggiane, fermandosi nei vari consorzi per olfattare le forme come se fossero droga, disposte in fila sulle mensole. E percorrendo i lunghissimi corridoi all'interno di un caseificio di Calerno, esilarante fu per i due e il sorcio Rimbamba, vestito tutto di pizzi da cocotte con il reggicalze, leggeva i marchi parmigiano-reggiano ripetuti circolarmente su tutta la forma ed esclamava: "è una fiaba e il formaggio e il suo libro".





Il pignattolaio
 
Nel parco dell'Uccellina, in Maremma, un pignattolaio raccoglieva una grande quantità di pigne per estrarne i pinoli che, una volta venduti, erano la sua maggiore fonte di guadagno e in uno spiazzo, di una aerea di servizio vicino al bosco, arrivava un camper lucente di color libro giallo e lì veniva parcheggiato insieme alle altre macchine e roulotte.
Era la notte della finale della Coppa del Mondo di Calcio del 1982 vinta dalla nazionale azzurra. Il pignattolaio, mentre cercava le pigne, trovò un piede tagliato, calzante una calza azzurra, e una scarpa Adidas da calcio, la quale era sbavata di resti di sangue e sembrava l'arto di Paolo Rossi, il calciatore della Juventus e della Nazionale. Ma di quest'ultimo non poteva essere perché proprio in quell'istante il giocatore sollevava la coppa Rimet a forma di gamba d'oro terminante in una rotula, la quale, come un mappamondo, aveva sulla sua superficie sferica il rilievo della crosta terrestre.
Il Pignattolaio chiamò i carabinieri e subito arrivarono due marescialli di Pisa detti o chiamati il Pissano e Galileolo Miracoli che vollero subito ispezionare le sacche piene di pigne. Dentro vi trovarono tre alluci tagliati di donne dalle unghie laccate, attorcigliati ai quali c'erano delle catenine con delle medagliette della Madonna.
Il pignattolaio si salvò dall'essere indiziato per il fatto che raccoglieva pigne a mucchi. I sospetti finirono su due di Pisa detti il Piza e il Conte Ugolino, mostro e moderna incarnazione del personaggio dantesco, uno dei quali fu arrestato perché trovato con in tasca una figa, asportata dall'inguine di una donna. I tre pollicioni dovevano essere quelli di donne sparite nelle vicinanze durante quei giorni. A un'unghia di uno di quelle dita era applicata una microchip che i marescialli azionarono. Lì vi era registrato un messaggio satanico con la voce dell'omicida.
I due carabinieri ispezionarono anche l'ultima roulotte rimasta posteggiata nello spiazzo, nella quale la tv accesa parlava del goal di Villa il nano su cross di Zoff al mondiale, dove alloggiavano due ragazze americane grassone le quali stavano leggendo libri di Liana Negretti in arte Liala e Pissa. Il caramba, siccome una di queste era una traduttrice, lesse un passo dell'inferno di Dante trasformato in americano in cui era scritto: "I am the Pia Dei Tolomei, Siena me born, decay of my corp did Maremma" ma ciò che insospettì molto il caramba furono i sandali infradito da donne, di un solo piede, di cui uno aveva la linguetta a forma di minuscola torre di Pisa in plastica, ma le ragazze dissero che le calzavano loro e avevano perso di ognuna l'altro paio.
Villa il nano dopo il grande goal segnato per la nazionale azzurra che aveva fatto vincere il mondiale all'Italia tornò a casa sul pullman della squadra con la comitiva dei calciatori. Alcuni giorni dopo fu a Siena per il Palio dove la carica dei carabinieri sui cavalli, con la spada levata, tra i quali c'era il Pissa e Galileolo, aveva iniziato la parata storica del Palio del 2 luglio per la Madonna di Provenzano e nella notte, scortato da due guardie del Quirinale dall'elmo crestato di piumaggi color macedonia con le tinte dei vari frutti, girovagava nella profonda Siena piena di ombre col vinaccia fumando una pipa regalatagli dal presidente Pertini, anche lui nella comitiva della nazionale al mondiale che vide una ragazza angelica, dai grossi boccoli color crosta di pecorino, chiamata Francesca Finocchione con al guinzaglio un maialino della cinta senese finché giunse in un vinaio dove bevve un bicchiere di Chianti e mangiò una ciabatta farcita di salume alla finocchia.





I topi
 
Quando morì l'affrescatore nasone, nonno del pittore Sirocchi, la salma adagiata in una tomba a forma di spicchio gigante di formaggio era bianca come uno stracchino e il lungo nasone giallo come un formaggino "Mio".
Don Misogenino Tettematte celebrò la funzione religiosa raccontando che il nonno nasone era nato nella città fatta di formaggi, ormai introvabili, che aveva avuto la malattia dello sniffomane del formaggio parmigiano-reggiano e piangevano la sua morte Abele Bertozzi, un formaggiaio, il nano Villa, il chierichetto minuscolo chiamato Quarantatortelli Pecoretto dai capelli lanosi e bianchi come lana, pettinati lunghi alla Parmigianino e raccolti da una catenina da cui pendeva una medaglina con effigiato, in rilievo, un caseificio dell'apocalisse e il lillipuziano vestiva una giacchetta di pelo di cavret.
Il corteo funebre arrivò in villetta e il pittore fu tumulato in un avello a forma di caseificio ed era giunto anche il suo sorcione d'oro che piagnucolava ricotta. Il duca chiamato Crosta che gli dava le croste unte da sniffare e lui con il naso prosciugava del profumo, tanto che il suo corpo era diventato come le forme di tale formaggio a cui aveva rubato il pigmento giallo impregnando poi, come detto, la propria pelle come grassa e oliacea. Gli allievi pittori del liceo artistico Toschi e dei vecioni panzoni, bassotti, tra i quali il Gaibas, dai nasoni come grosse patate, vestiti con delle palandranone neri con colli di zibellino e scarpe da Pippo di lui dicevano che l'era toc e aveva sempre in test il formai, e c'era anche il suo barbiere chiamato di cognome Ormagginini specializzato a tagliargli i peli che gli uscivano dal naso folti come setole di pennellesse.
Il nonno nasone quando ronfava e russava, emettendo parole che raccontavano barzellette della Parma antica, era visitato da topi che gli entravano dal naso e giravano nei sentieri gastrici, numerosi come le piste di Indianapolis, sono piene di macchine da corsa e tutto ciò succedeva perché le minuscole arvicole erano attratte dal profumo di formaggio che aveva addosso.
L'altro prete chiamato don Rigido, con una vociona tonica ed evangelica, al microfono del pulpito diceva che era morto il pittore detto il Gratugiera, signore convenevolissimo che bande di ragazzi volevano con trappole dare la caccia al suo topo tinto d'oro, il quale, insieme a lui, aveva sbafato tanti tocchi di formaggio nei caseifici e si aggirava nelle cantine della chiesa di San Vitalino dove lui teneva le provviste di formaggio e mosche che, nauseate dal profumo caseario, si erano trasformate, secondo le leggi di Darwin, in veri e propri mosconi-topi con le ali e dalla proboscide muscide, fornita di dentini da roditori, che facevano buchi nei buchini impressi dalle matrice infuocate dei marchi con i quali erano composti i nome dei consorzi di Parma e Reggio, ed era giunto lì anche il suo sorcione d'oro che piagnucolava e tutto ciò successe nel 1967.
Appena finì il funerale Villa il nano andò a fare il cameriere in un night dove il calciatore Mora Bruno contrasse il tumore ai testicoli facendo sesso con una geisha, culturista dalla carnagione gialla color olio di oliva, e un domestico nano del locale notturno detto il Pizzinini, vestito di una abito tutto pizzi, il quale era addetto a rifare i letti sui quali si davano appuntamento i clienti con le donnine, e aveva messo il pene di Mora nella vulva dell'entraineuse sul quale era chino.
Alla fine della notte Villa e Pizzinini i nani chiusero i cancelli del giardino del nightclub e salirono sulla macchina pubblicitaria del locale, dalla carrozzeria a forma di bambola gonfiabile, e viaggiando sulle strade videro altre prostitute che la notte, giocattolino di luci di insegne e neon luminosi, poteva ben dirsi un insieme di cappe delle vulve di queste che spazzacamini con i loro arnesi pelosi spazzolavano.





L'aperitivo e la scimmia

Al Palio di Siena del 1913 corse tra i fantini anche una scimmia, simbolo dei possedimenti e dell'impero coloniale italiano, la quale nella diossina piena di suspance della parata storica sfilava, vestita da morte, con una tuba a forma di teschio e un mantello nero. Ciò significava lutto per gli altri fantini e faceva incombere la morte sul palio di Siena.
Ma la scimmia cadde dal suo cavallo e capitombolò nella polvere della curva di San Martino come una nocciolina dalle macchie di sale in un mare di Martini e Villa il nano assiepato nella calca di folla di Piazza del Campo, vide arrivare l'autoambulanza e da lì scendere crocerossini con stampato nel tessuto bianco del camice, sul retro della schiena, una croce alla quale erano attorcigliate delle serpi, il simbolo dell'arte farmaceutica, i quali la caricarono sull'ambulanza.
La scimmia detta Giolittufo correva per la contrada del Ricciarello con la casacca dai molti pizzi colore dello zucchero a velo. In quella occasione vinse il fantino Meloni che correva con la casacca del Chianti, color vino rosso rubino. Sciamando fra la folla della piazza Villa il nano si diresse verso un vinaio nel terziere di Camollia, dai palazzi etruschi costruiti con mattoni color camomilla, e lì mangiò dei cantuccia a forma di minuscoli cani tucchi intingendoli nel vino. Nella notte successiva il Palio Villa il nano si spostava con il nano detto il Mortaretto. La luna era come un'arnia dove colava del miele che illuminava il loro viaggio di nozze e Villa il nano raccontava che, un anno prima, aveva frequentato a Parigi il ragazzino poeta Desnos nell'abitazione su un boulevard che faceva da crocicchio di due strade laterali, che era su un caffe-tabaccheria, dal gazebo a forma di cigno, aperto tutta la notte, dove dall'interno delle scale, entrando da una porta di servizio, andavano a rifornirsi di sigarette e bottiglie di liquore Pernod per le nottate e fumavano, dormivano, bevevano e trascrivevano i loro sogni surrenali e surreali.
Villa il nano si era sognato la scimmia sfilante per il Palio da Mercenaria con al corpo un alabardo a forma di dolcetto ricciarello gigante e di bronzo da condottiero. Nella corsa nel sogno la scimmia era caduta sulla pista di tufo color bitterone, come gli era successo di vedere al Palio di Siena realmente e il poeta francese aveva intitolato il sogno di Villa il nano "L'aperitivo e la scimmia", mentre Desnos aveva sognato il Dio tosco, nelle sembianze di una mosca immensa nel regno dei cieli, seduto sul trono divino il quale beveva Oa Ola, con una annuia smisuratamente lunghissima (termini scritti con la C aspirata toscana da intendersi CocaCola con la cannuccia) in una bottiglia posata su un banco di un bar di Siena dove arrivava fino dentro con la cannina infinita.