In
un cottage di colore al neon, intonacato tra la tinta camomilla e il
giallo delle copertine dei libri di Agatha Christie, sito in un
quartiere residenziale newyorkese di villette, Villa il nano andò
a trovare il ragazzo italo americano e omosessuale chiamato
Cincinnatini.
Quest'ultimo
era vestito con una giacca e dei pantaloni bianchi, con su stampati
dei fili di spaghetti rossi colore del sugo, e una sorta di papillon
verticale a forma di maccherone gigante, che si adoperò a
fargli visitare la casa graziosa.
In
quella occasione gli mostrò una mazza da baseball, realizzata
con una pietra preziosa blue e con delle striature rosse e bianche: i
colori dello stato americano, con incastonati dei diamanti
simboleggianti le stelline della bandiera.
Una
volta accomodatisi in cucina si misero tutt'e due a mangiare un Ice
Cream molto gonfiato ed emulsionato con un cucchiaino a forma di una
minuscola automobile Cadillac.
Quella
notte Villa soggiornò nel villino, dal giardino senza
cancello, diviso dalla strada soltanto da una siepe, da poco tagliata
dal giardiniere, che si caratterizzava per la forma dei volti dei
presidenti succedutisi sino a quei giorni alla Casa Bianca.
Dormicchiando
con un occhio semiaperto vide posarsi sul davanzale della finestra
delle minuscole navicelle extraterrestri. Alcune erano a forma di
muffins, altre di carillon dall'aspetto di minuscoli pianoforti, sui
quali si erano stabiliti dei microscopici jazzisti quali Ellinghton e
Ferdinando Morton la Menthe che cantavano in slang americano misto a
marziano. Un altro ancora aveva la forma di uno stadio di baseball,
come quello della città di Cincinnati, simile a un minuscolo
dadino in cui erano riprodotti gli spalti gremiti di micro
spettatori, i cui boatini seguivano i movimenti di un battitore
minuscolissimo che batteva un fuori campo, la cui pallina mignon
bruciò la moquette della stanzetta, uscendo dal campo di
gioco, ma subito sostituita da un altra pallina nella navicella come
in un flipper e ritornata a farsi scagliare.
Villa
il nano e Cincinnatini, in una notte fonda di un agosto torrido,
uscirono in giro per la città con la Limousine. Per la strada
scorsero file di trans dai coscioni giganti di cui uno indossava una
gonna a forma di mela di seta.
Caricarono
sulla macchina un altro ragazzo italo americano, chiamato
Pommarolanio Maccheronighton, vestito con un abito dalle sete colore
del basilico cucite con delle foglie, che li portò
dall'ambulante Murphi, presso un distributore di Ice Cream dove
erogava il gelato, sopra a un vassoio minuscolo simile alle bombe
atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
Villa
il nano ricordò una notte degli anni sessanta (di tintarella
di luna) in cui percorse in taxi, guidato da un conducente che
indossava guanti neri, i cui passadita erano anguille vuote
imbalsamate e cucite sul lungo mare dei sette lidi di Comacchio.
In uno dei numerosi
stabilimenti balneari scorse l'omosessuale Rimpertone, dal busto
simile a quello di un gorillone, che aveva un ciuffo di peli bianchi
insieme a Pommorolanio e a Elvis Spriscilloni, i due italo americani
conosciuti da Cincinnatini, i quali, con il servo di Riapertone,
erano coricati sopra un lettino a sdraio, come un triclinio, a bere
drinkoloni mentre le radioline degli altoparlanti dei club dei
bagnanti trasmettevano la canzone di Fredo Buongusto che cantava uno
swing ironico “Spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di
caffè.” a cui fecero seguito anche arie della pestifera
cantante Rita Pavone.
Quella notte stessa, con il
servo Coma, ottimo barcarolo, navigavano su una battana in un
canalone nel centro di Comacchio e arrivarono sotto un palazzo in una
galleria, con archetti al soffitto, alla quale era appesa una
lanterna accesa. Scendendo, appoggiandosi a tre scalini a forma di
tre tombone di marmo a fior d'acqua, entrarono in una abitazione dove
li aspettava Rimperto, giunto già lì, che aveva
preparato un profilattico fatto di pelle d'anguilla, essiccata ed
imbalsamata, con la testa del goldone adeguato alla propria cappella,
che gli sarebbe servita per fare sesso con loro, perlomeno non prima
di averli portati nella cantina dove organizzava gare di volo di
zanzare al cui udito parevano simili al verso di un pianto di
neonate.
Il
luogo sotterraneo aveva un oblò con una grata da cui si
potevano vedere le anguille, poste sul fondale, e su dei tubetti di
latta conservanti pesci marinati depositati sugli scaffali. Lì
sotto, all'umido, erano attaccate delle figurine pacchiane della
“Tramezzini” raffiguranti degli assi del football quali: Suarez,
Anguiletti e Pizzul e una vecchissima nobile del paese detta la
Macchio Zanzaron Pettegolettava del profilattico animalesco di
Rimperto.
Negli
anni ottanta a Villa il nano, viaggiando in auto con Morgan il poeta,
l'architetto sbodenfio Ponga-Italo americano e lo scrittore
omosessuale e americano David Leavitt, gli capitò di vedere
delle cavie bianche, fuggite dai furgoni dei distretti della
vivisezione, che avevano invaso a migliaia una Avenue di New York.
Leavitt
aveva sul cruscotto un libro del poeta Allen Ginsberg che, in una
poesia del 1967, descriveva l'astronave Apollo 4 come un big cockerel
(gigante pollastro) che saliva sulla luna e dalla forma di una
gallina luminosa che, al contatto con la navicella, questa partoriva
un ovone gigante dal quale usciva un militare vestito da donna.
In quegli anni, in cui le
colonne sonore in voga erano le canzoni cantate dai Beatles, i
quattro giovani di Liverpool dalle frangette fuoriuscenti, nascoste
sotto le bombette di cartapesta a forma di scarafaggi giganti color
neri lucidi, Villa il nano, a un concerto tra tante ragazzine
britanniche isteriche fans e pettinate con il caschetto, vide
Pommarolanio.
Ritornando
alla cantina sotterranea di Comacchio Villa il nano, agli astanti,
raccontava di una cena a Roma nella trattoria di Trastevere chiamata
“Saffo il caprone e la lucciola”. La larva intermittente di luce
era disegnata come una minuscolissima lanterna, nell'insegna del
locale, in cui lui aveva mangiato montone e abbacchio, in compagnia
dello scrittore Moravia quando erano ancora freschi i suoi racconti
romani, e a un tavolo di fianco al loro una poetessa lesbica di haiku
mangiava con una ragazza eterosessuale dai polpacci gonfi, tondi e
pallidi come calve di teschi, che si supponeva avesse corrotto
Moravia Albero soprannominato Roserle da Villa il nano. Siccome
quest'ultimo era parmigiano raccontava, ridendo come un matto, che i
topi del pittore Mazzola, travestiti da cocotte, con vesti a pizzi e
ricami, erano emigrati a Roma per rosicchiare forme di pecorino a
forma di teste di papi e barberini.
Villa
il nano in quegli anni aveva fatto il garzone da barbiere coadiuvato
dal coiffeur detto Schiumo nel negozio di toletta gestito da
Taglatelo il barbiere, sito in Via Condotti a Roma.
In
più di una occasione sentì dei pettegoli, fatti da
certi Erciofi e Mammolo, dire maldicenze sul poeta Leopardi,
insinuazioni sui suoi presunti rapporti sessuali con il conte Ranieri
e sul suo sexy papillon, cravatta a forma di Basilica di San Pietro,
minuscola di seta, nella cui fodera il poeta teneva un osso di cane a
forma di chiavona del Vaticano, con cui si dava da fare con
prestazioni sessuali con il napoletano.
I nobili romani si erano
trasmessi, di padre in figlio, notizie sul soggiorno romano di
Giacomo. In un appartamento romano Villa il nano, su un letto a forma
di orso gigante dalla peluria color miele sgargiante, la cui lingua
ne era il materasso di gomma piuma foderato di raso dal colore di
gengive, si sognò il poeta Leopardi. Quest'ultimo compariva su
un vagone intento a partire alla volta di Roma, vestito di raso nero
lucido, ed era intento a fumare una sigaretta inserita in un osso
lungo di scheletro di gamba a modo di bocchino.
Il
poeta era indicato come un poeta culattone infantile dai ragazzi di
Napoli, dai cappelli sormontati da bambolotti a forma di Maradona,
vestito in abito da calciatore, e questi erano affacciati al
finestrino di fianco piena di bucato.
Quando
arrivò sulla banchina un barista ambulante, vestito di bianco
con stampate alla divisa di cameriere tazzine e caffettiere, il poeta
donava a Villa il nano, che faceva la sua comparsa nel sogno, una
monetina e lo mandava giù dal treno a comprare un napoletano e
un bignè glassato con un'aureola rosa di pasta zuccherina.
Prima
di partire Leopardi e Villa il nano avevano acquistato delle
sigarette da un contrabbandiere, detto La Smorfia, il quale gli aveva
raccontato che la notte precedente aveva sognato che il Napoli
calcio, con un calciatore detto il piede d'oro, avrebbe vinto lo
scudetto nel 1988.
A
Roma i due si erano portati da Napoli una borraccia d'acqua per farsi
il napoletano. Leopardi poi aveva in tasca delle mosche di gomma che,
telecomandate, gli sarebbero servite a fare muovere le sempre
immobili e in posa guardie svizzere davanti alla porte del Vaticano,
cosa che lo divertiva molto.
Ritornando
al negozio di toiletteria, cui andava a sbarbarsi, un certo Rinoauldo
Candelonte, il quale un giorno si era messo un canarino all'occhiello
per andare alla sagra di Mirandola. Siccome era nativo di Modena,
nelle profonde campagne della Bassa, aveva mangiato insieme allo
scrittore Delfini. Lo aveva fatto con delle posate pacchiane, color
cedro, marcio dai manici a forma di canarini e bigodini come riccioli
di burro ma d'oro.
Agli
inizi degli anni sessanta lo scrittore Antonio, detto il duca di
Modena, vestito di una giacca dandy azzurra con dipinto sulla stoffa
dietro un delfino araldo, andò con Villa il nano, percorrendo
in automobile le profonde campagne modenesi, illuminate da lampioni
dalle lampadine a forma di canarini.
In
un borgo nel profondo centro di Parma, in una trattoria dove
servivano camerieri in livrea bianca con per bottoni dei feti di
piccoli di gazza imbalsamati, infilzati alle asole, andò a un
incontro galante con la signora Bovini dagli occhi blu come cerulee
gocce d'inchiostro, dal viso grazioso, ma dal corpo possente da tora,
il cui busto era gigante come una mezzana di vitello e vestito con un
abito con l'uccellino da miglio.
Delfini
incontrava la Bovini o Bovari o Bovinelli per una sorta di sfida
amorosa. sfida che vinse lei perché lo scrittore morì a
causa della sua possenza che gli aveva fatto inceppare le vene.
Quella
sera Delfini indossava una giacchetta bianca con dei bottoni,
canarini imbalsamati alle asole dal piumaggio giallini misto a
macchie color lambrusco ed aceto balsamico, specialità delle
sue terre. I pettegoli del suo paese, al gran e dorato caffè
Roma di Forte dei Marmi, dove lui arrivava con la moto rombante,
malignavano sul suo conto dicendo: “Al duca di Modena sono
scoppiate le vene per la signora Bove”.
Una
sera, in una trattoria nelle profonde campagne modenesi, Villa il
nano e lo scrittore Delfini, andati lì a mangiare il cotechino
allo zabaione, rividero i due vecchi incontrati al caffè Roma
di Forte dei Marmi. Erano certi panzoni e comici dai nasi rossi e
rubinozzoli come patate bugnose, vestiti di giacche gialle, con sul
tessuto dietro alla schiena effigiato come stemma araldico, simbolo
di Modena e della loro nobiltà zana, uno scrofo piumato di
piume color giallo cedro sulla coteca rosata, e a forma di canarino
grassone e sbodenfio con il grugno a forma di becco.
Villa
il nano li incolpò di essere stati invidiosi e boriosi nei
confronti dello scrittore perché a Antonio Delfini il padre
aveva lasciato un podere, una zollona di terra e una moto.
Durante
l''inverno Villa il nano andava a pattinare con la bambina Martorano
e il bambino chiamato Tumoroso Macchiato, reso scuro in tutta la
carnagione del corpo da un tumore per le tantissime sigarette fumate,
che aveva a modi ricami cuciti a uncinetto, uguali alle loro forme su
un vestitino verde pistacchio sul laghetto ghiacciato del Parco
Ducale, che una ditta di profumi aveva riempito sino all'orlo di un
afrore Marialuigesco, poi gelato, che aveva un colore lilla con la
barbetta della brina più rosata in superficie, tinte che
risaltavano con il colore scuro dei tronchi dell'isolotto.
Villa
il nano era stato invitato in un'antica villa a forma in maratura di
elefante gigantesco con in groppa una torretta e la proboscide in
calce era l'andito della cantina all'interno dell'abitazione.
Tutto
succedeva a Siena mentre partecipava ad un festino tra fantini tra i
quali c'erano: Meloni, De Gortes, Canapetta, Saragiolo, Magnani e
Tarquini che vestiva la casacca del Nicchio e sul retro della stoffa
turchina aveva effigiata una capesanta a forma di minuscolo palazzo
di convento da cui faceva capolino appena, non rispettando la
clausura, un midollo di mollusco marino a forma di volto minuscolo di
Santa Caterina da Siena rosato e con gli occhi turchini.
La
notte dopo il festino Villa il nano pernottò davvero in un
convento di clausura dormendo nel lettone con le suore chiamate Utera
e Cuterina che avevano gabbiette alle vulve, attaccate alle cintole,
e chiuse con un lucchetto per rendersi impenetrabili. In quel
frangente sognava di essere con lo scrittore Proust nella sua stanza
dalla finestra foderata di tappi di sughero, espediente usato per
attutire i rumori del boulevard dove volavano, vicino all'abitazione,
navicelle extraterrestriche a forma di bottiglie di chiantinello dal
vino rosso fosforescente l'etichetta raffigurante un maiale selvaggio
maremmano, mentre la stanza sapeva del gusto acre e acidulo dei resti
di vino sui sugheri.
Un
giorno assolato, di sole dai raggi color cedro, ci furono urla di
panico di bambini e mamme, arrivate dalle spiagge, alle orecchie di
pommarolanio dentro la sua abitazione in Florida al quale poi
riferirono che il bambino Cakeo Meringatelli, che abitava nel cottage
color latte condensato di fianco alla sua villetta, era stato
sbranato da uno squalo.