martedì 6 agosto 2013

Saffo il caprone e la lucciola





In un cottage di colore al neon, intonacato tra la tinta camomilla e il giallo delle copertine dei libri di Agatha Christie, sito in un quartiere residenziale newyorkese di villette, Villa il nano andò a trovare il ragazzo italo americano e omosessuale chiamato Cincinnatini.
Quest'ultimo era vestito con una giacca e dei pantaloni bianchi, con su stampati dei fili di spaghetti rossi colore del sugo, e una sorta di papillon verticale a forma di maccherone gigante, che si adoperò a fargli visitare la casa graziosa.
In quella occasione gli mostrò una mazza da baseball, realizzata con una pietra preziosa blue e con delle striature rosse e bianche: i colori dello stato americano, con incastonati dei diamanti simboleggianti le stelline della bandiera.
Una volta accomodatisi in cucina si misero tutt'e due a mangiare un Ice Cream molto gonfiato ed emulsionato con un cucchiaino a forma di una minuscola automobile Cadillac.
Quella notte Villa soggiornò nel villino, dal giardino senza cancello, diviso dalla strada soltanto da una siepe, da poco tagliata dal giardiniere, che si caratterizzava per la forma dei volti dei presidenti succedutisi sino a quei giorni alla Casa Bianca.
Dormicchiando con un occhio semiaperto vide posarsi sul davanzale della finestra delle minuscole navicelle extraterrestri. Alcune erano a forma di muffins, altre di carillon dall'aspetto di minuscoli pianoforti, sui quali si erano stabiliti dei microscopici jazzisti quali Ellinghton e Ferdinando Morton la Menthe che cantavano in slang americano misto a marziano. Un altro ancora aveva la forma di uno stadio di baseball, come quello della città di Cincinnati, simile a un minuscolo dadino in cui erano riprodotti gli spalti gremiti di micro spettatori, i cui boatini seguivano i movimenti di un battitore minuscolissimo che batteva un fuori campo, la cui pallina mignon bruciò la moquette della stanzetta, uscendo dal campo di gioco, ma subito sostituita da un altra pallina nella navicella come in un flipper e ritornata a farsi scagliare.
Villa il nano e Cincinnatini, in una notte fonda di un agosto torrido, uscirono in giro per la città con la Limousine. Per la strada scorsero file di trans dai coscioni giganti di cui uno indossava una gonna a forma di mela di seta.
Caricarono sulla macchina un altro ragazzo italo americano, chiamato Pommarolanio Maccheronighton, vestito con un abito dalle sete colore del basilico cucite con delle foglie, che li portò dall'ambulante Murphi, presso un distributore di Ice Cream dove erogava il gelato, sopra a un vassoio minuscolo simile alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
Villa il nano ricordò una notte degli anni sessanta (di tintarella di luna) in cui percorse in taxi, guidato da un conducente che indossava guanti neri, i cui passadita erano anguille vuote imbalsamate e cucite sul lungo mare dei sette lidi di Comacchio.
In uno dei numerosi stabilimenti balneari scorse l'omosessuale Rimpertone, dal busto simile a quello di un gorillone, che aveva un ciuffo di peli bianchi insieme a Pommorolanio e a Elvis Spriscilloni, i due italo americani conosciuti da Cincinnatini, i quali, con il servo di Riapertone, erano coricati sopra un lettino a sdraio, come un triclinio, a bere drinkoloni mentre le radioline degli altoparlanti dei club dei bagnanti trasmettevano la canzone di Fredo Buongusto che cantava uno swing ironico “Spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè.” a cui fecero seguito anche arie della pestifera cantante Rita Pavone.
Quella notte stessa, con il servo Coma, ottimo barcarolo, navigavano su una battana in un canalone nel centro di Comacchio e arrivarono sotto un palazzo in una galleria, con archetti al soffitto, alla quale era appesa una lanterna accesa. Scendendo, appoggiandosi a tre scalini a forma di tre tombone di marmo a fior d'acqua, entrarono in una abitazione dove li aspettava Rimperto, giunto già lì, che aveva preparato un profilattico fatto di pelle d'anguilla, essiccata ed imbalsamata, con la testa del goldone adeguato alla propria cappella, che gli sarebbe servita per fare sesso con loro, perlomeno non prima di averli portati nella cantina dove organizzava gare di volo di zanzare al cui udito parevano simili al verso di un pianto di neonate.
Il luogo sotterraneo aveva un oblò con una grata da cui si potevano vedere le anguille, poste sul fondale, e su dei tubetti di latta conservanti pesci marinati depositati sugli scaffali. Lì sotto, all'umido, erano attaccate delle figurine pacchiane della “Tramezzini” raffiguranti degli assi del football quali: Suarez, Anguiletti e Pizzul e una vecchissima nobile del paese detta la Macchio Zanzaron Pettegolettava del profilattico animalesco di Rimperto.
Negli anni ottanta a Villa il nano, viaggiando in auto con Morgan il poeta, l'architetto sbodenfio Ponga-Italo americano e lo scrittore omosessuale e americano David Leavitt, gli capitò di vedere delle cavie bianche, fuggite dai furgoni dei distretti della vivisezione, che avevano invaso a migliaia una Avenue di New York.
Leavitt aveva sul cruscotto un libro del poeta Allen Ginsberg che, in una poesia del 1967, descriveva l'astronave Apollo 4 come un big cockerel (gigante pollastro) che saliva sulla luna e dalla forma di una gallina luminosa che, al contatto con la navicella, questa partoriva un ovone gigante dal quale usciva un militare vestito da donna.
In quegli anni, in cui le colonne sonore in voga erano le canzoni cantate dai Beatles, i quattro giovani di Liverpool dalle frangette fuoriuscenti, nascoste sotto le bombette di cartapesta a forma di scarafaggi giganti color neri lucidi, Villa il nano, a un concerto tra tante ragazzine britanniche isteriche fans e pettinate con il caschetto, vide Pommarolanio.
Ritornando alla cantina sotterranea di Comacchio Villa il nano, agli astanti, raccontava di una cena a Roma nella trattoria di Trastevere chiamata “Saffo il caprone e la lucciola”. La larva intermittente di luce era disegnata come una minuscolissima lanterna, nell'insegna del locale, in cui lui aveva mangiato montone e abbacchio, in compagnia dello scrittore Moravia quando erano ancora freschi i suoi racconti romani, e a un tavolo di fianco al loro una poetessa lesbica di haiku mangiava con una ragazza eterosessuale dai polpacci gonfi, tondi e pallidi come calve di teschi, che si supponeva avesse corrotto Moravia Albero soprannominato Roserle da Villa il nano. Siccome quest'ultimo era parmigiano raccontava, ridendo come un matto, che i topi del pittore Mazzola, travestiti da cocotte, con vesti a pizzi e ricami, erano emigrati a Roma per rosicchiare forme di pecorino a forma di teste di papi e barberini.
Villa il nano in quegli anni aveva fatto il garzone da barbiere coadiuvato dal coiffeur detto Schiumo nel negozio di toletta gestito da Taglatelo il barbiere, sito in Via Condotti a Roma.
In più di una occasione sentì dei pettegoli, fatti da certi Erciofi e Mammolo, dire maldicenze sul poeta Leopardi, insinuazioni sui suoi presunti rapporti sessuali con il conte Ranieri e sul suo sexy papillon, cravatta a forma di Basilica di San Pietro, minuscola di seta, nella cui fodera il poeta teneva un osso di cane a forma di chiavona del Vaticano, con cui si dava da fare con prestazioni sessuali con il napoletano.
I nobili romani si erano trasmessi, di padre in figlio, notizie sul soggiorno romano di Giacomo. In un appartamento romano Villa il nano, su un letto a forma di orso gigante dalla peluria color miele sgargiante, la cui lingua ne era il materasso di gomma piuma foderato di raso dal colore di gengive, si sognò il poeta Leopardi. Quest'ultimo compariva su un vagone intento a partire alla volta di Roma, vestito di raso nero lucido, ed era intento a fumare una sigaretta inserita in un osso lungo di scheletro di gamba a modo di bocchino.
Il poeta era indicato come un poeta culattone infantile dai ragazzi di Napoli, dai cappelli sormontati da bambolotti a forma di Maradona, vestito in abito da calciatore, e questi erano affacciati al finestrino di fianco piena di bucato.
Quando arrivò sulla banchina un barista ambulante, vestito di bianco con stampate alla divisa di cameriere tazzine e caffettiere, il poeta donava a Villa il nano, che faceva la sua comparsa nel sogno, una monetina e lo mandava giù dal treno a comprare un napoletano e un bignè glassato con un'aureola rosa di pasta zuccherina.
Prima di partire Leopardi e Villa il nano avevano acquistato delle sigarette da un contrabbandiere, detto La Smorfia, il quale gli aveva raccontato che la notte precedente aveva sognato che il Napoli calcio, con un calciatore detto il piede d'oro, avrebbe vinto lo scudetto nel 1988.
A Roma i due si erano portati da Napoli una borraccia d'acqua per farsi il napoletano. Leopardi poi aveva in tasca delle mosche di gomma che, telecomandate, gli sarebbero servite a fare muovere le sempre immobili e in posa guardie svizzere davanti alla porte del Vaticano, cosa che lo divertiva molto.
Ritornando al negozio di toiletteria, cui andava a sbarbarsi, un certo Rinoauldo Candelonte, il quale un giorno si era messo un canarino all'occhiello per andare alla sagra di Mirandola. Siccome era nativo di Modena, nelle profonde campagne della Bassa, aveva mangiato insieme allo scrittore Delfini. Lo aveva fatto con delle posate pacchiane, color cedro, marcio dai manici a forma di canarini e bigodini come riccioli di burro ma d'oro.
Agli inizi degli anni sessanta lo scrittore Antonio, detto il duca di Modena, vestito di una giacca dandy azzurra con dipinto sulla stoffa dietro un delfino araldo, andò con Villa il nano, percorrendo in automobile le profonde campagne modenesi, illuminate da lampioni dalle lampadine a forma di canarini.
In un borgo nel profondo centro di Parma, in una trattoria dove servivano camerieri in livrea bianca con per bottoni dei feti di piccoli di gazza imbalsamati, infilzati alle asole, andò a un incontro galante con la signora Bovini dagli occhi blu come cerulee gocce d'inchiostro, dal viso grazioso, ma dal corpo possente da tora, il cui busto era gigante come una mezzana di vitello e vestito con un abito con l'uccellino da miglio.
Delfini incontrava la Bovini o Bovari o Bovinelli per una sorta di sfida amorosa. sfida che vinse lei perché lo scrittore morì a causa della sua possenza che gli aveva fatto inceppare le vene.
Quella sera Delfini indossava una giacchetta bianca con dei bottoni, canarini imbalsamati alle asole dal piumaggio giallini misto a macchie color lambrusco ed aceto balsamico, specialità delle sue terre. I pettegoli del suo paese, al gran e dorato caffè Roma di Forte dei Marmi, dove lui arrivava con la moto rombante, malignavano sul suo conto dicendo: “Al duca di Modena sono scoppiate le vene per la signora Bove”.

Una sera, in una trattoria nelle profonde campagne modenesi, Villa il nano e lo scrittore Delfini, andati lì a mangiare il cotechino allo zabaione, rividero i due vecchi incontrati al caffè Roma di Forte dei Marmi. Erano certi panzoni e comici dai nasi rossi e rubinozzoli come patate bugnose, vestiti di giacche gialle, con sul tessuto dietro alla schiena effigiato come stemma araldico, simbolo di Modena e della loro nobiltà zana, uno scrofo piumato di piume color giallo cedro sulla coteca rosata, e a forma di canarino grassone e sbodenfio con il grugno a forma di becco.
Villa il nano li incolpò di essere stati invidiosi e boriosi nei confronti dello scrittore perché a Antonio Delfini il padre aveva lasciato un podere, una zollona di terra e una moto.

Durante l''inverno Villa il nano andava a pattinare con la bambina Martorano e il bambino chiamato Tumoroso Macchiato, reso scuro in tutta la carnagione del corpo da un tumore per le tantissime sigarette fumate, che aveva a modi ricami cuciti a uncinetto, uguali alle loro forme su un vestitino verde pistacchio sul laghetto ghiacciato del Parco Ducale, che una ditta di profumi aveva riempito sino all'orlo di un afrore Marialuigesco, poi gelato, che aveva un colore lilla con la barbetta della brina più rosata in superficie, tinte che risaltavano con il colore scuro dei tronchi dell'isolotto.
Villa il nano era stato invitato in un'antica villa a forma in maratura di elefante gigantesco con in groppa una torretta e la proboscide in calce era l'andito della cantina all'interno dell'abitazione.
Tutto succedeva a Siena mentre partecipava ad un festino tra fantini tra i quali c'erano: Meloni, De Gortes, Canapetta, Saragiolo, Magnani e Tarquini che vestiva la casacca del Nicchio e sul retro della stoffa turchina aveva effigiata una capesanta a forma di minuscolo palazzo di convento da cui faceva capolino appena, non rispettando la clausura, un midollo di mollusco marino a forma di volto minuscolo di Santa Caterina da Siena rosato e con gli occhi turchini.
La notte dopo il festino Villa il nano pernottò davvero in un convento di clausura dormendo nel lettone con le suore chiamate Utera e Cuterina che avevano gabbiette alle vulve, attaccate alle cintole, e chiuse con un lucchetto per rendersi impenetrabili. In quel frangente sognava di essere con lo scrittore Proust nella sua stanza dalla finestra foderata di tappi di sughero, espediente usato per attutire i rumori del boulevard dove volavano, vicino all'abitazione, navicelle extraterrestriche a forma di bottiglie di chiantinello dal vino rosso fosforescente l'etichetta raffigurante un maiale selvaggio maremmano, mentre la stanza sapeva del gusto acre e acidulo dei resti di vino sui sugheri.
Un giorno assolato, di sole dai raggi color cedro, ci furono urla di panico di bambini e mamme, arrivate dalle spiagge, alle orecchie di pommarolanio dentro la sua abitazione in Florida al quale poi riferirono che il bambino Cakeo Meringatelli, che abitava nel cottage color latte condensato di fianco alla sua villetta, era stato sbranato da uno squalo.