mercoledì 27 novembre 2013

L'incontro di boxe






Un ultimo dell'anno i cerchi luminosi dei semafori zampillavano vino. Il giallo di moscato o malvasia, il verde di vino veneto e il rosso di lambrusco e poi altri di Strega gialla, di Fernet verde e Campari rosso.
Villa il nano su un taxi di un libanese, fermo davanti alle luci che regolavano il flusso stradale, ne riempiva il bicchiere. Tutt'a un tratto si fece portare in un albergone sontuoso, in una camera arredata con mobili, tappeti, e quadri alle pareti colore del cedro. Ubriaco, sdraiatosi sul letto, seguì in televisione l'incontro di pugilato tra due pesi massimi dalla schiena a triangolo con i deltoidi sviluppati a forma di copricapi di faraoni e con la pelle nera tatuata, l'uno di cioccolatini incartati d'oro e l'altro di pop corn e questi due si muovevano come dei ventagli.

L'idroscalo di Ostia









Nel 1973, allorché avevo soltanto tre anni, fui depositato, di sera, da mio padre, all'idroscalo di Ostia in un luogo posto a fianco di un campo di calcio. Era uno spazio pieno di baracche, cani latranti, discariche di rifiuti e materassi marci di seta broccata, strappata e sbiadita, a forma di volti di papi, giacigli, questi, del Vaticano.
Tranquillamente, seduto su uno di questi materassi, rimasi in attesa del poeta Pasolini che arrivò alla guida della sua Alfa in compagnia di un compagno omosessuale. Il ragazzo, Pino Pelosi, detto la Rana, appena giunti lì incominciarono a prendermi in giro soprattutto per la forma del mio naso per il quale mi soprannominarono “Il patata” e poi il “Romano di Parma”.
Chiamavo il poeta con il suo cognome Pasolini perché per me significava felicità. A quell'ora molti degli amici del poeta, abitanti nelle baraccopoli, scaricavano dei pitali di urina nella riva del mare a pochi metri. Pasolini mi portò in una trattoria gestita da una trattore chiamato Abortoli e mi invitò a mangiare carne di pecora e del formaggio pecorino al miele.

giovedì 21 novembre 2013

Lo stadio di Wimbledon










Dentro lo stadio di Wimbledon, durante la notte, fu ammazzato il giallista Blood Yellow. Il sangue macchiò il prato erboso di un campo da tennis dove danzava la pallina come un gigante fiore di mimosa durante le partite.
Nella stessa notte un ragazzo frocio, chiamato Elton Piccadilly, con in testa un cappello a forma di un pollo, simbolo del gagliardetto del Liverpool calcio, entrò nello stadio vuoto, buio, pieno di ragnatele come tele di zucchero a velo, a forma minuscola del palazzo della regina, mosaicate di mosche, in cui volavano dei corvi a forma di teschi di neo piumati dai becchi nasoni come pellicani.
Raccolse un capello biondo d'angelo del campione di tennis Bjon Borg e, messolo tra le sterline custodite nel portafoglio, l'aveva poi venduto per sei pence a un collezionista di ciocche di capelli di personaggi famosi a un mercatino a Londra.
Il ragazzo soleva spesso di notte entrare nello stadio incustodito. Nel buio aveva anche accarezzato amorosamente le gote a Villa il nano con un quadrifoglio, erbina a quattro foglie a forma di corona del queen, sul quale, bagnato dal diluvio della notte, si era prodotto il fenomeno dell'arcobaleno e perciò era colorato con diversi colori.
L'inglese, a Villa il nano, gliel'aveva arrotolato al ditino, Zamponini, Salamino e Salumellino Gonfietto come un anello. A quell'ora notturna dei vecchini, intubinati e sbronzi di birre arancioni e nere, uscivano dal circolo-club interno allo stadio.







Il flipper medievale






Una notte, nelle selve nere del fiume Po, il vecchio comico e panzone chiamato Lindello Pretagnoloni, dal nasone come uno zampone, si faceva largo tra le fronde con una lampadina a forma minuscola di città di Las Vegas, piena di insegne microscopiche di locali notturni, per catturare un altro vecchio chiamato Gaibascabassoni e mettergli nel culo un linguone di manzo.
Non riuscendolo a trovare Pretagnoloni ritornava nella piazza di Guastalla dove saliva su un taxi, dalla carrozzeria a forma di anitrone e dai fanali densi di luce, e usciva dal paese ridendo di una partita di calcio tra chierichetti e seminaristi nel campo della parrocchia utilizzando per pallone una vescica gonfiata di maiale.
L'incontro calcistico era arbitrato da un prete chiamato don Pighelline Cicciolede che, in mancanza del fischietto, sulla torre, appartenuta al gran ducato di Guastalla e perciò a forma di stivale bislungo e gigante di Maria Luigia, scampanava con la campana i falli.
Un seminarista era tanto goleador che l'avevano soprannominato il mitra. Nella notte, sul taxi, incrociarono l'auto guidata da un prete castrato chiamato Black out Palline di Flipper, altrimenti detto Flipper eunuco, e una perpetua mastodontica pugilessa.
L'Antelami aveva scolpito in una piastrella un match di pugilato, in cui in rilievo spiccava una pugile dalle spalle larghe come una apertura d'ali di cicogna e dalla schiena muscolata a forma di conchiglia.
Lo scalpellino aveva anche scolpito in un'altra formella un bambino deficentino che sullo sfondo di una latteria minuscola giocava con un flipper trecentesco e medievale dai birilli-pistoni a forma di comete, pandori, e panettoni.
Villa il nano, dormendo, si era sognato, una notte a Parma nel medioevo, quando la città era un paese di pochi borghi, una latteria-cornetteria vicino a Piazza Duomo, dai bianchi bricchi di latte, dove un bambino deficentello. figlio di un bovaro, che aveva capelli tinti color sedano elettrico e ai lobi dei salami pendenti come orecchini, chiamato Video Cagames, giocava a un flipper incandescente di luce e Villa il nano aveva ordinato un cappuccino sborroso di schiuma e un maritozzo a forma di bue. Poi il bambino spariva nei borghi dai palazzi color the o color formaggio somigliante al giallo delle mimose.

giovedì 14 novembre 2013

Il bazooka









Sul taxi del taxista chiamato di cognome Fantasmatici, dai guanti bianchi come due lenzuolini di fantasmi, da gran autista maggiordomo, Villa il nano viaggiava ed arrivava fin dentro a una carraia di Casalmaggiore dove c'era la trattoria chiamata la “Buca della mosca” e un certo Moscagatti gli aveva servito dei tortelli alla suclona.
L'inverno a Casalmaggiore, nella piazza circondata da palazzi antichi color semolino, le persone accendevano il falò e Villa il nano con il taxista stava lì a rimirare il fuoco finché non arrivò, sul suo motorone, il pittore naif detto il Naiffiga, il quale sul suo rombo a due ruote fece tre giri intorno al fiammone.
Al taxista Villa il nano raccontava di aver soggiornato nell'albergo chiamato la “Morta della mortadella” e in una serratura a forma di sagoma di chiesa di San Petronio, in cui si girava una chiave della stessa forma, e di aver spiato due donne meravigliose dalle dimensioni dei corpi budlosamente muscolati ipertroficamente.
Tutt'e due sdraiate sul letto si infilavano anelli alle dita dei piedi e una di queste a una cosciona aveva allacciata una giarrettiera color fetta di mortadella. Villa il nano disse che a Bologna nel suo soggiorno aveva frequentato una biblioteca il cui bibliotecario si chiamava Safforano Bolognoli che, preferendo solo il grasso del salume, poiché la parte rossa la scartava, era diventato gigante come Balanzone e questi gli fece vedere un libro meraviglioso in una pagina del quale era raffigurato il poeta Montale, visto da nano con i capelli grigi, pettinati all'Umberta, a forma di spazzola, che somministrava un osso di seppia a un canarino a forma di minuscolo culturista, giallo piumato dentro una gabbietta, il quale in un'altra litografia era diventato gigante e gonfio per lo spuntino marino pomeridiano e fuggiva.
Villa il nano gli raccontava di un night nella profonda città di Parigi, frequentato con lo scrittore Proust e quel bambino di mio nonno, a cui si accedeva attraverso un cunicolo ricoperto da un tendone, tipo il sottopassaggio coperto dello stadio di San Siro quando entrano i giocatori in campo, così protetti dai lanci dei soldini, ad attenderli davanti all'ingresso c'erano maschere di portieri meticci dalle livree color ciliegia con i gradi dorati alle spalline, come i bigliettai circensi, ed entrati nel locale notturno potevano mangiare caramelle pacchiane e bere champagne parlando con la prostituta chiamata Mirtillona, una nera color cioccolata alla mandorla, mastodontica con i bicipiti, le cosce e i polpacci gonfi come sei sette cocomeri, dotata e bardata anche di un pene da uomo che inturgidiva stando seduta su un divanetto, con una collanina alla caviglia sinistra, vera attrattiva del night, in cui sui ribaltabili si bevevano anche filtri e filtrazioni di sedano e finocchio.
Ella raccontava che aveva viaggiato su un taxi di un taxista vietnamita, giallo limone, dal corpo pieno di vaioli e cicatrici, e con un bazooka a forma di chiappa di Kennedy aveva distrutto culturisti americani, facendo irruzione in una palestra, colpendoli fino a farli scoppiare con il sangue che schizzava dappertutto come pomodori spatassati. Il taxista spegneva le sigarette sul petto come facevano James Dean e il poeta Desnos.
Villa il nano scese dal taxi davanti al night chiamato il “Lobolone” dove stava entrando il ragazzo gay Camomillinghton, dai capelli color camomilla, vestito di un abito color panna montata con effigiati dei coni gelato al limone ed era accompagnato dal un ragazzo culattone chiamato Gruvierenghton, dal completo giacca e pantaloni giallo color gruviera con stampati sulla stoffa i buchi caratteristici di questo formaggio.
A Villa il nano, una notte, un signore gli indicò il taxista vietnamita che ballava sbronzo con la faccia chirurgicamente ancora più contorta e butterata in un locale notturno di San Francisco insieme a un trans.
Il taxista reo di aver sfracellato culturisti afro e japo americani, color nutella o maionese al limone, appena dopo l'omicidio era fuggito nell'Arkansas sigillandosi dentro una tomba murata in un avello. Successivamente l'aveva riaperta con un coltellino e aveva seguito un percorso interno tra le ossa e la carne marcia dei morti fino ad arrivare in un cunicolo sotterraneo.
Camminando migliaia di chilometri era saltato fuori una botola dentro a un alberghetto sgangherato a Roma chiamato “Romeolo” dove, in una cameretta, il vietkong si sciacquò il sangue in viso in un lavandino, riproduzione in miniatura della fontana di Trevi con i tritoncini in maiolica, poi chiese un passaggio a Albero Sordi, il quale, guidando, lo portò in una clinica dove venivano fatte delle plastiche facciali e con un chirurgo si mise d'accordo per cambiare completamente volto.
Con il chirurgo il vietnamita andò infine nell'alto Lazio in una osteria a bere una Cinara. Villa il nano raccontando tutti questi aneddoti dimostrava che con il passare degli anni, girando su tutti i taxi della notte, aveva riconosciuto i mutamenti antropologici e le mode: dai tubinio anni venti, alla rinascita del dopoguerra, ai pantaloni a zampa d'elefante anni sessanta, le basette anni settanta, il piumino e le scarpe thimberland anni ottanta, e poi il boom dei dj anni novanta, il codone, il piercing, l'emancipazione femminile e il calo della virilità del maschio degli anni duemila.
Come era successo per il papillon ottocentesco dopo la parrucca illuminista, dopo la gorgera seicentesca, dopo la gorgera seicentesca, e riconosceva nell'umanità una scimmia come del carnevale che si involgeva, giorno dopo giorno, dotta, solo del presente, dimentica dello ieri.
La mirabile esperienza ebbe infatti sul taxi del taxista Perassi con il quale girò per tutti i castelli dei Rossi, dei Landi, e dei Pallavicino oppure verso quelli Matildici , chiedendo a Perassi, vero scienziato ed esperto sull'argomento, se i fantasmi si potevano drogare, bere spiriti e mangiare, e se nei castelli scambiavano qualche chiacchiera con i custodi, vecchi arzilli canuti con i peli bianchi fuoriuscenti dal naso, i quali erano degli scommettitori d'ippica e del Palio di Siena, del quale conoscevano i segreti delle contrade. L'Aquila per loro era il bicipite femmineo, la Pantera la mostruosità muscolata, il Montone la scopata e il Nicchio la clausura.













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giovedì 7 novembre 2013

Il piccolissimo Attilio








Ad Attilio Bertolucci



Sognai il piccolissimo poeta Attilio in culla come il piccolo bambino Gesù nella mangiatoia o come un putto correggesco adagiato sulla culla, visitato da alunni asinelli periferici e da un valletto tarchiato, analfabeta, e somigliante a un bue che gli serviva dei tortelli di zucca a forma di lettere.
Attilio era il bambino dei maiali, ubriacato con gli occhi d'oro e giallo Parma, della luce della cupola di un signore, che giurava di essere il più piccolo, con la luna in mano dal colore che assomigliava a quegli impasti, sfera a tratti a forma di Petitot, color zabaione e a tratti invece come il Palazzo della Pilotta, dal colore di un enorme biscottone al cioccolato, velato da un cirro a forma di pecora cornigliese.
Il bambino Attilio che all'inizio del secolo, insieme al nano di Villa Rosario, correva in una Parma che lo guardava dagli occhi beffardi dei camerieri sulle balaustre delle abitazioni delle famiglie nobili, per le quali servivano e sfilavano, davanti ai due, nella notte, i portoni intagliati grottescamente a forma del volto del burattino Sandrone, colorato di una tempera color mousse alla fragola.
Entrarono dentro un cortile, retro bottega di una macelleria equina, il cui cavallaio faceva porzioni in un vassoio di un mucchio di pesto, carne tritata posata lì e agglomerata per mezzo di uno stampo a forma di massetere di cavallo, dopodiché fecero fuggire dei cavalli vecchini, ormai in pensione, da calessini e frustini di vetturini.
Al bambino Attilio per il cui apprendistato officina poetica don Tramaloni aveva regalato una Gerusalemme liberata, dalla copertina in osso a forma di volto piatto del Tasso con il naso aquilino, le cui pagine erano a forma di gorgera, un collare gonfio e ricamato in uso nel vestiario cinquecentesco.







mercoledì 6 novembre 2013

Il Palio di Asti









A Villa il nano, un giorno, venne in mente il palio di Asti. Accadde quando, insieme al bambino Cavour e lo scommettitore detto Moscato, somigliante a un moscone dai baffi neri e lucidi come di sostanza mucide, andava da spettatore a seguirlo e lo stato sabaudo aveva emesso delle banconote con stampato un tartufo bianco, simbolo della ricchezza del Piemonte, tubero lucente in cielo a forma di luna che lo faceva nascere nei boschi di noccioli di Asti: ovvero soldati vestiti con abiti dai ricami a forma di chicchi di riso, e con ai lobi delle orecchie degli orecchini a forma di gianduiotti, presidiavano una mossa del palio con cavalli piemontesi che i fantini montavano con delle scarpe super ginniche di marca Superga, fatte di stoffa con la suola di lattice e a forma di piccole Basiliche di Superga.
Villa il nano compariva effigiato nel soldone di carta in mezzo alla folla con il nasino a forma di nocciola e con gli scommettitori piemontesi e senesi chiamati Lepro Pappardelli, Tartufone Navicello, Grappollo Rubini, Manzone Chianini, Coltello Altafiorentina, che aveva partecipato ad un festino in una villa senese tra fantini leggendari.
Una serpe avrebbe deciso e scelto il più mitico,incidendo con i suoi denti un morso alla pelle di uno di questi.

lunedì 4 novembre 2013

La Milano di notte










Nel 1920 Villa il nano frequentava Pontetaro, paese pullulante di villani e giardinieri che emulavano i lavori dei bisnonni, i quali tenevano la manutenzione di tutti i vivai di Maria Luigia e avevano sepolto, nascondendoli, i granducati guadagnati dalla duchessa senza che i discendenti sapessero dove li aveva nascosti.
Pontetaro perciò era la vecchia Francia e i villanelli parlavano un dialetto scurrile, ammorbidito da un accento gallico, con intonazione elegante da profumieri. Con mio nonno, da bambino, andava a leggere il foglio sportivo al bar del paese e insieme si concedevano anche qualche bicchierinino di Benevento e così andarono avanti per decenni a frequentare il locale pieno anche di mastodontici mezzadri.
Negli anni cinquanta i due leggevano un organo di stampa sportivo della Lazio calcio, dai fogli celesti, che parlava delle imprese del bomber Piola. Tutto succedeva nel paese di Pontetaro dove, dentro qualche muro, c'erano murate una secchia e una cazzuola d'oro, forse dentro un pilone del ponte.
Sempre in quegli anni con i barbieri del paese detti Gabbagobbo e Pompetta andavano a Medesano a mangiare fette di tortafritta con il salame in una trattoria alla vigilia della corsa delle scrofe nel campo sportivo.
Ogni anno per la ricorrenza dell'evento passava sul cielo di Medesano una cometa di luce a forma di salame. Villa il nano e mio nonno pernottavano alla Cornacina dal cugino di questi chiamato Bruno Costa e nel sonno pieno di visioni il nano sognava la scrofa chiamata Scrofoloni, montata dal fantino Lamoni, che di mestiere puliva la fossa settica in un prosciuttificio, vincere la corsa.
Villa il nano tornando in macchina l'indomani raccontava che aveva tifato per il maiale chiamato salumilucciolocicciolo, montato da un maialaro sbodenfio detto budello e ricordavano la leggendaria scrofa detta Scrofettetroia.
Villa il nano raccontava anche di essere stato negli Stati Uniti a Las Vegas in tempo di recessione rosweltiana in un cinema con un bambino gay chiamato Stork (cicogna), il quale aveva una pistola spara popcorn e così si raffreddava il granoturco dritto in bocca bevendo una Coca Cola.
Quando Stork venne a Parma il nano gli fece conoscere una macchietta della città. Il signor Sbrisolone che aveva la faccia piena di rughe e verruche come la superficie della torta sbrisolona dal cui nome prendeva il soprannome.
Nel 1911 con Don Donlò, prelato terribilmente maschile ma dotato di un seno peccaminoso ed osceno da donna, anticipazione delle protesi siliconate delle tette gonfie e toniche delle pornostar del duemila, Villa il nano, girovagando, andava a sorbire brodo con gli anolini facendo visita a tutte le parrocchie di Parma dove variava la ricetta e la densità del brodo.
Nella chiesa dell'orfanotrofio Don Donlò allattava neonati senza la madre facendogli pappare i capezzoli del suo seno. Infine come ultima tappa del loro giro si fermavano a dormire con Don Pratigrilli pisellone erbivorio e nel buoi della stanza il nano vedeva il Don Donlò togliersi il reggiseno e venire a letto con lui.
Una notte che pernottavano anche i reverendi Don Congo Cocconi e Don Doppone Grana dei topi fossilizzati un culturista Bronzeo chiamato Afanatico Sessudore, biondo che ai testicoli aveva peli color crauti, con un pene turgido come un wurstel, aprì degli usci per stuprarli ma fu sbranato da un leone, simbolo dell'evangelista Marco che dimorava da secoli nella chiesa.
Quella notte era caduto dall'impluvio che faceva la notte piccolina, come poi cantavano le sorelle Kessler sottilmente conosciute, un micione sbodenfissimo color castagna con macchie color capuccino e lampone che aveva in bocca un gambarone arancione, catturato nella Parma, mentre nella stanza predava topini che incautamente uscivano da un corridoio parallelo e dietro al muro come esiste nel cartone animato di Tom eJerry.
Villa il nano spulciava dalla libreria della chiesa un libro scritto in stile maccheronico da un anonimo autore, intitolato De Bello Gallinarum, che trattava dei galli da combattimento uruguagi tra i quali c'era anche qualche gallina emancipata. In un passo descriveva il poeta maledetto Rimbaud, di razza gallica, e all'incarnato color burro e gli occhi turchini, disprezzatore degli sport che lui definiva solo tic e l'autore ipotizzava la saturazione degli agonismi per la quale un maratoneta del 5000 avrebbe corso come una macchina da corsa del novecento.
Il nano si sognava un pomeriggio al circolo Anspi Arci di Via Calatafimi chiamato Club Boranga, portiere crociato, graficamente reso sulla targhetta all'ingresso con il corpo di un orango e il volto caricaturizzato e qui Villa il nano, era il 1978, aveva brindato con i vecchi soci Pavaran, Barigas, Torel, Bacchè, Marsoler, Stecchè, Calsolaiascarpè e Botas.
La notte fuori dal circolo era nera e a Villa il nano sovvenne quella del sessanta sul pullman del Milan Calcio con la comitiva dei giocatori che, arrivati in pinetina, scendevano con Rocco l'allenatore ed Eligio, il padre spirituale della squadra, che i sior ragazzi calciatori avevano mustacchi spessi e frangette da abatini.
I fotografi facevano foto con macchine a forma di scatole e i flash a forma di fette giganti di limone mandavano lampi pirici che stampavano fotografie buone a condire come melanzane nere i fogli color prosciutto cotto del Corriere Sportivo.
Villa il nano saliva su una macchina di un fotoreporter nel posteggio con il quale nella Milano di notte, dai neon turchini a forma di lettere, che pubblicizzavano l'amaro Ramazzotti, andava a depositare le foto nella sede di un giornale dove erano fatti entrare da un usciere, minuscolo omino bauscia vestito con una divisa color rosso di zuppa inglese, e vicino al giornale compravano una stecca di sigarette in un baretto chiamato Moderno che vendeva anche tabacchi, poi viaggiavano e griso Manzoni parlava delle partite della domenica con il nano lungo l'autostrada Milano-Bologna.
Villa il nano raccontava al fotografo che nel 1949 in una strada nebbiosa di Torino dalle file di palazzi liberty e dorati come gli incarti dei cioccolatini torinesi, fu salutato simpaticamente ingenuamente dal portiere Bacigalupo da un finestrino dell'apparecchio del grande Torino, prima che l'aereo si schiantasse sulla Basilica di Superga e che anni più tardi, nella città, aveva comprato al caffè San Carlo un pupazzino, riproduzione caricaturata del calciatore Gambetto dai capelli dalla riga in mezzo pieno di gianduiotti.