Su
una collina del paese di Sala Baganza, in un casino da caccia,
costruzione a forma di naticona di Maria Luigia, detto il buco
segreto, tra teste di cinghiale imbalsamate appese alle pareti, Villa
il nano mangiava dei maccheroni a forma di cartucce di fucile condite
al sugo di lepre con cacciatori misteriosini, certi chiamati
Ungulati, Lindi e Donnagemma.
Era
il 1900 e da quella sommità si vedeva in lontananza Parma,
piccolissima, il cui conglomerato urbano sembrava un mughetto di
violette dai palazzi, colore di fiori misti ad abitazione colore
malvasia, e un putto gonfio d'oro, sulle torri gialle della città,
come tocchi di parmigiano-reggiano, la indoravano tutta.
Era
la notte dell'Angelo, anniversario della festa che si ripeteva ogni
cinque secoli, e così in lontananza si vedevano volare nella
iper-aria delle tortelle verdi, prima inforcati dalle forchette, poi
volanti come trapezisti di un circo messianico, infine finenti nelle
bocche dei parmigiani come nelle fauci dei leoni sulla pista sotto,
ben simboleggiati dalle leonine del Duomo.
Villa
il nano raccontava ai venatori quando, con il nano detto Coniglio di
Corniglio, era entrato in una chiesa, a forma di aquila in muratura,
a trovare don Erbeto Resdorati dai punzoni letali e il cilicio a
forma d'anolini, il quale stava versando vino sfuso dentro damigiane
per mezzo di un colino a forma di arvicola di plastica, mentre nel
refettorio avevano mangiato tortelli con forchette a forma di aquile
minuscole d'argento i cui denti della posata erano degli artigli
unghiosi.
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