lunedì 30 dicembre 2013

La bufera






Il chierichetto nano Rosario Villa e il pittore maledetto Sirocchi entrarono, in una notte di bufera, nel refettorio della chiesina di Mariano parrocchia di don Ciabbattilocchi. In una caffettiera d'argento gigante, all'interno di un tinello, era nascosto il maggiordomo del prete chiamato Ossoostia, dai baffi a spillo, mentre il vento era un ladrone che bussava dando colpi alla porta della chiesina, Villa il nano vide nella cantina un topone vestito da cocotte con una veste tutta pizzi e ricami.
Su una carrozza arrivarono il nonno nasone pittore Sirocchi, ottimo sniffatore di formaggio, il don chiamato Favoloso Fasoione detto il Fagiolone, il don chiamato Salmone Responsoriale e il chierichetto chiamato Salelame, tutti inzaccherati sotto la tempesta d'acqua.
Nella notte di lampi e di tuoni dormirono tutti nella canonica su dei materassi spessoni perché guarniti di puzzolone gonfie ed imbalsamate dai peli color banane marce o colore dei ricci di castagne, appoggiando la testa su dei cuscini color porpora, a forma di vissolone. A notte fonda arrivò il diavolo a rubare le nevole di don Rossetto Entrenousio e un altro topolino chiamato Antelamillo, con voce nasale da antico formaggiaio parmigiano, che entrava ed usciva dalle narici del nasone pittore Sirocchi, visitando i sentieri gangliati del suo stomaco, spifferò di un ladro nella chiesa, ma inascoltato si era preso una ciabattata. All'alba era finita la buriana e a mezzogiorno tutti erano seduti ad un frattino pacchiano e plastificato a mangiare pesciolini fritti a forma di Madonnini e pescati nel canalone di campagna vicino alla chiesa.

I grissini torinesi




Villa il nano e Latinetto Barilli, il pittore, erano stati sotto i portici in corso Argentina a Torino dove c'erano stravaccati per terra dei barboni, disperati e magrolini, arzilli e vecchini, nel mentre gestivano al gioco delle tre carte e i due si erano fatti spiegare da uno di questi, un certo Anduiotti, il trucco che lo faceva sempre vincere e viveva da ricco in una soffitta sul Po, vinta con i continui proventi del gioco.
Lui gli svelò che il suo anellino a forma di mole Antonelliana minuscola, terminante in un aghetto, se puntata sulla carta serviva a farle cambiare colore, perché di doppio fondo, mentre era rivoltata sul tavolino senza che lo scommettitore allocco che l'aveva precedentemente scelta se ne accorgesse. Poi passò un passante che esclamò in italiano zoppicante: “Anduiotti con il ricavato delle scommesse vai a comprare grissini con la capocchia a forma di basilica di Superga, ma poi futuri portoghesi biscosi come te compreranno grissini industriali e il mistero della magica Torino, comandata da forze esoteriche sotterranee si perderà”.
Anduiotti aveva molte droghe a disposizione degli scrittori torinesi per farli scrivere, aumentando la loro fantasia sotto forma di porri di mescalina, asportati da funghi che crescono sull'Himalaya o semi di hashish da fumare nella pipa o da arrotolare sbriciolati nelle cartine delle sigarette. Le conservava in un cassetto di un comodino intagliato a forma di basilica di Superga. Il mobilino lo aveva vinto al gioco delle tre carte sottraendolo a un nobile chiamato Molinet, diventato tanto povero che era lì nella trafila dei mendicanti.
A Torino, in quegli anni, avevano gran fama i quadri naif del pittore torinese detto il Cioccolata, uno dei quali raffigurante due trapeziste: una nera color cacao, i cui muscoli erano lucidi come i riflessi della cioccolata alla luce, l'altra pallida nerboruticamente gonfia come la spuma di panna del becchetto nelle torrefazioni della città piemontese e nella bella Torino dalle signorine con le gambe grissinine.
In quel giugno del 1977 ci fu una gran festa con dei caroselli di auto strombazzanti e imbandierate di meridionali e africani, tifosi della Juventus e Villa Rosario il nano, con lo pseudonimo di Villar Perosa, come imbavagliato dentro ad un peluchone di gomma piuma a forma di zebra bianconera urlava nella macchina: Viva Betteghigno, Caprini, Furetto, Pelispinosi e Cuccurettu.

Le due cimici





Rosario Villa il nano per la notte di carnevale si trovò di fianco al bambino futuro scrittore Bevilacqua seduto ad assistere a uno spettacolino di burattini parmigiani quali Sandrone e Fagiolino. Poi Alberto accompagnò in bicicletta a Mariano il nano e i due sui velocipedi sembravano due moschini volanti come Coppi e Bartali, leggeri e veloci come a una tappa notturna del Giro d'Italia.
Nel paese videro scavalcare il cancello di una villa due ragazzi, certi Neurospastoni e Alessandroni che poi pisciavano sotto i pini marittimi sugli aghi depositati dagli alberi del giardino e videro infine una cimice gigante con le antenne simile e della forma a una cicogna, dal volo producente un rumore motoresco segnalante l'indole contro natura dei giovani studenti di filosofia all'università, i quali entrarono dentro alla villa immensa ed incustodita dai mobili di legno antico con piedi intagliati a forma di zampa di elefante in cui volava un'altra cimice a forma di putto minuscolo.

La caricatura



Villa il nano era stato in un alberghetto sgangherato di Torino a dormire in una stanza adibita a lavanderia. Il figlio del proprietario era un tatuatore e decalcatore sulla pelle delle persone di formazioni caricaturate della Juventus. Il padre chiamato Astiano aveva tatuata sulla pancia la formazione, in caricatura, della Juve del 1977 con i giocatori in piedi e accosciati e Cuccureddu era tatuato dal mento bislungo, conun grande nasone canapione e un grande frangione.

Il lesso






Villa il nano in uno di quei giorni di Natale era stato a casa del pittore Sirocchi che in un pentolone arancione faceva bollire un topo lesso, la cui polpa era di carne di manzo, e lui e il pittore sorbirono il brodo ricavato dal balzano lesso con cucchiai dal manico a forma di volti di barbieri con la lingua fuori chiamati il Paride, il Melaniabuona, il Forforetta ed Alidosi tutti succedutisi nella barberia di Piazza della Steccata.

I capponi




Villa il nano raccontava di un giorno di carnevale a Pontetaro, a casa Savi, del paron Arturo, omone grosso come una quercia, industriale di uova e galline, quando aveva assistito sotto il portico a una gara di corsa di capponi che correvano con calcati in testa dei piccoli tubini.
Paron Savi inoltre gli aveva fatto vedere come nell'azienda confezionavano industrialmente le uova che giravano su dei rulli salendo e scendendo da macchine di imballaggio come fossero pazzi avventori sui veicolini della giostra delle montagne russe di un luna-park

Il revisore dei conti della Parmalat



Una notte degli anni ottanta il revisore dei conti della Parmalat, nonché commercialista, Luciano Silingardi con a fianco Villa il nano sulla sua auto presidenziale, entrato nello stradello della sua villa di Cazzola, paese che significa il sesso del pittore Mazzola, ad un certo momento vide un camioncino in cui i ladri, caricati mobili e quadri antichi, fuggivano dall'altro senso.
Quella stessa notte di fruscii di macchine come di velluto, da una trattoria del paese, con giardino antico e rococò di cedri ed edera color giallo limone, avvinghiata su tronchi color pelo di cane setter, in cui si sentiva profumo di volp, Silingardi e Villa il nano svegliarono l'ancora assopita proprietaria della locanda Lalla Bertogalla, la migliore cuoca di fagiani del parmense, e il commercialista telefonò alla moglie Mariagrazia e ai rampolli Marco ed Andrea, ragazzi pallidi color latte prodotto dalla ditta del cavalier Tanzi in cui scorrevano, a fior di pelle, delle vene turchine della loro ricchezza e nobiltà spiegando il furto di comodini dai piedi intagliati a forma di zampe di leone, e un frattino con il basamento intagliato a forma di una simpatica maialina ballerina sulla punta di una scarpetta da danzatrice etoile.
Dirò che Silingardi era nano quanto Villa il nano, ma portava dei mocassini con i tacchi nascosti dai pantaloni lunghi.

La gara di biciclette e il deserto di El Alamein




Nel 1938 Vito, mio nonno, a quell'epoca ragazzo, partecipò e vinse una gara di biciclette nelle strade del paese di San Secondo. Villa il nano era sopra un'ammiraglia che seguiva la corsa insieme a un vecchio che con voce da salamone, parlando in un megafono a forma di carrè di spalla cotta rosa, faceva la cronaca della corsa.
Nel 1940 Vito partì per la guerra, destinazione il deserto di El Alamen, e mentre preparavano le trincee per il combattimento tra gli italiani e gli inglesi, alcuni africani che volevano impedire ciò ingenuamente e comicamente furono bastardamente mitragliati ed imbossolati da alcuni soldati inglesi. In ricordo di uno degli africani chiamato Mustafà, mio nonno, più tardi, tornato dalla guerra, soprannominò con quel nome il suo barboncino nero.

Il derby Milan-Inter






Villa il nano era sugli spalti di San Siro per un derby con una radiolina a forma di bottiglia mignon di Stock 84. Da lì vedeva l'ufficio stampa a mo di postazione vetrata sito nella tribuna dello stadio in cui giornalisti imbrillantinati, milananesi del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, e dai guanti come fatti di scaloppine impanate alla milanesi battevano i tasti di macchine da scrivere come cassiere delle casse dei supermercati.

La squadra di pallavolo chiamta Santal



In quegli anni ottanta, giorni di paninari dai piumini Monclear, delle scarpe Thimberland e delle magliette Hello Kitty e Naya Oleari, per un San Valentino la ragazza chiamata Maverick, alla guida di un motorino chopper con Villa il nano sistemato dietro, la ragazza Melanio con un motorino Piaggio sul cui posto posteriore viaggiava la bambina detta Carota, andavano a vedere la partita di pallavolo della Santal, squadra con su la maglietta il simboletto della pera del noto fruttino della Parmalat e la Maverick affiancando con il proprio chopper il motorino della Melania la pomiciò limonandosela quando furono ferme ad un semaforo.

Le pipe lunghissime


L'indomani, nel gelido inverno, Villa il nano con altri due servi, chiamati l'uno Gelnaio e l'altro Ferroviani, dalle capigliature a banana come se avessero un ondina alla fronte, giravano nel centro di Parma con cofani d'argento, a mo di vassoi con coperchi bombati a forma di maiale delfino, o di Battistero con dentro preti a forma di volti di padre Lino cucinati con le lenticchie.
Villa il nano ne aveva uno su un carellino con dentro un tiramisù a forma minuscola di Teatro Regio che servivano a dei ferrovieri in pensione nelle loro abitazioni e costoro mangiavano le portate su delle tovaglie che erano fogli della Gazzetta di Parma.
Con un prete chiamato Oppiacenone Tibieincrociate, Villa il nano parlava di una notte di Natale, passata con i poeti surrealisti Arp, Breton e Desnos nell'abitazione di quest'ultimo, che faceva crocicchio su un boulevard tra due strade ed era su un caffè-tabaccheria.
Nell'abitazione avevano mangiato mescalina e fumato erbe oppiacee marocchine in pipe lunghissime anche un metro e mezzo, come quelle del poeta Lautreamont, e da una rampa di scale sorda, vuota e linda, cui dava l'accesso una porta di servizio girevole, entravano e uscivano dalla tabaccheria comprando pacchetti di sigarette, confezioni di tabacco e bottiglie di Pernod, che pagavano a una cassiera, vestita con un taielleur grigio, dai capelli neri, i dentoni lunghi come zanne di cinghiale e tornando fumavano e bevevano per intere notti e giorni.

giovedì 19 dicembre 2013

il vespasiano






Anticamente Pontetaro o Pontegigia era una landa desolata di campi sperduti poco lontano da Parma, nel silenzio interrotto dal tic e tac di gocce d'acqua infradicenti macchie, da albero a terra, dove abitava una topona pelosa e baffona di cui tanto aveva riso l'imperatrice d'Austria quando era andata a perlustrare i luoghi e, fatto costruire un casino grazioso e carino da caccia nelle ghiare di Noceto, l'aveva rinchiusa lì tra utensili da giardinaggio: zappe da zappatori, sprizzaverderame di contadini del Granducato asserviti a lei per la quale lavoravano nei vivai profumati e l'andava a trovare ogni tanto.
E Marialuigia che leggeva nel futuro le diceva: “sul ponte passerà sulla sua topolino il gran signor ciclista Coppi” e la topa russona esclamava: “lo punge una zanzara quello lì”. Poi Rosario Villa per il carnevale si era travestito da vecchio, facendosi tingere i capelli di bianco dal coiffeur Giorgio Gabbino per mezzo di una pompetta sprizza tinta, ed era andato con mio nonno bambino a bere l'amaretto nel castellino del feudatario di Pontetaro.
Villa il nano domandava: “dov'è la topa” e il feudale gli diceva: “quale topona?”. Quella topona che un bel giorno dal casino da caccia fuggì nei giardini di Marialuigia nelle campagne del paese curati a giardini.
Mio nonno che all'età di quattro anni incominciò a comprare il quotidiano trovandovi vere e proprie leccornie nella carta stampate e che, in età avanzata, apprezzava il giornalista toscano Indro Montanelli, nel 1920 fu con Rosario Villa sul pontegigia ad aspettare una sfilata d'auto d'epoca su cui dovevano passare gli scrittori Proust, Quenou, Radiguet e Cocteau.
Mio nonno e il nano stettero nella notte per intere ore lì finché, finalmente, fecero ingresso sul ponte le auto fanalute dai fanali color aragoste luminose e i poeti lanciarono casse di fernet guarnite di paglia artificiale e pacchini di stracchino, e Villani, il villano che era lì con loro, disse: “vè Vito (mio nonno) se sono amari valli a bere dai Mari (Famiglia di Pontetaro)”.
Il Feudatario raccontava ai due che da bambino aveva visto da lontano, nelle campagne l'imperatrice, piccolo punto blu perché vestita di una palandrana color inchiostro dagli orli rossi e i pizzi a forma di volto minuscolo del Naipper, suo amante, in prossimità del casino delle Ghiare, giocare con la topona, lanciandogli un osso di gatto che la topona, incitata in lingua francese pramzana, gli portava indietro con delle corsette simpatiche.
“Dai topogigia”, diceva lontano nell'aria il vecchio feudatario che nelle campagne di Pontetaro c'era il palazzo della pipì, sorta di palazzone imperiale o vaticano ricamato e settecentesco, adibito a gabinetto pubblico e poi demolito nei primi anni del novecento e da un buco, dove da un tubo sgocciolava urina color liquore strega o limoncino, uscì la topona Gigia che scappò comicamente da gente che la voleva bastonare e si rifugiò sotto i pilone del ponte a forma di polpacci giganti di Marialuigia e mai più si vide e trovò.










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L'incidente di Gilles Villeneuve


A quell'epoca Villa il nano frequentava l'abitazione dello scrittore Marcel Proust, il quale gli fece vedere i tappi di sughero collezionati da bottiglie scolate di Malvasia, Moscato, Spumante Asti Cinzano, Cabernet e Chianti dal colore e il gusto pacchianucoli di cui si era servito per rivestire una finestra in modo da cancellare i rumori del boulevard per scrivere i propri romanzi nel silenzio.
Il nano Villa con un vecchio amico di Proust, chiamato Spumantello Frizzicher, un rughbysta detto il Virona, fu nel 1981 a Montecarlo invitato su uno jacht, profumato perché lucidato con “Ammoniacal” di proprietà di un certo nobile chiamato Levriero Bracco Salabaganza dei casini puttaneschi, il quale, con gli ospiti, guardò il Gran Premio di Montecarlo durante il quale morì il pilota Gilles Villeneuve al quale dal cervello nella colluttazione schizzò fuori un fiotto di sangue che disegnò sull'asfalto color tortora della pista una macchia rossa a forma di cavallino rampante, simbolo del team Ferrari per il quale correva.

lunedì 16 dicembre 2013

Il lago di Ginevra



Per un ultimo dell'anno del 1921, in un albergo sul lago di Ginevra, il vecchio chiamato Camice Carlo, con un ragazzino somigliante ad una ragazzina, tanto era grazioso, festeggiava la notte di San Silvestro.
A quell'ora entrarono due ragazze; una delle quali si chiamava Ginevra e aveva la carnagione bianca come le piume di un cigno. Soggiornava nell'albergo anche Villa il nano con un convittore del liceo Maria Luigia vestito color carbone fosforescente, dai ricami a forma di minuscole locomotive, che gli aveva regalato il padre ferroviere.
Tutti, a notte fonda, dopo le feste, andarono a dormire finché, all'indomani mattina, arrivò nelle sweet un cameriere idiota con un bricco di caffè caldo e madleine.
Villa il nano e il suo amico avevano davanti alla finestra il lago e fuori, nei prati, si vedevano i corpi di barboni riversi morti per la gelata della notte.
Un cigno verde finocchio che volava, e che il convittore che per la sua rarità, unicità ed irripetibilità, aveva paragonato al nano mentre sul lago ghiacciato pattinavano la bambina detta Lingualimone dagli scarponcini a forma di ponghe rosse di campagna ed imbalsamate, e il bambino Carotella nano detto il Prosciuttolanghiranatico, dal tabarro rosato e di grasso bianco come una fetta di salume.
Quando un pomeriggio del mese di giugno dalla Svizzera tornò a Parma, in cielo c'erano centinaia di temporali tutti in una volta e i tuoni sembravano i brontolii del culo del pittore Antonio Allegri detto il Correggio.
I lampi le sue pennellate gialle e l'acqua che scrosciava le sue urinate. Appena finì la buriana su una macchina Cadillac decappottabile alcuni ragazzi di Parma detti il Felinaxxagatto, il Muffatopo, e uno di Como detto il Manzovitellone di Renzo e Lucia, viaggiavano nei borghi a tutta velocità felici della loro giovinezza perdigiorno.
Intanto Villa il nano sul taxi dell'autista detto Prifilattocone dai guanti di lattice come dieci profilattici nelle dita passava in un borgo davanti alla statua del pittore Ilario Mercanti detto Lo Spolverini. Una guardia ecclesiastica sotto le sembianze di un pulcinone giallo e gigante che sentinellava davanti a una chiesa color zabaione ferì il ragazzo di Felino chiamato Felinoxxagatto.

Il gorgonzola




Villa il nano raccontava, in una latteria-cornetteria, al nano Melanzana, di un libro intitolato il “callista medievale” che, chiamato Anatranasalo, curava con degli utensili da estetista, la pietra pomice e le pomate, i calli ai prelati, certi dei quali chiamati Melevo, Santuarione e Gianni il serpente della Madonna.
Il salone di bellezza lo aveva in un borgo vicino al vescovado ed era tutto un andirivieni di monsignori e cardinali. Don Sturzo che aveva dei piedi somiglianti a zampe di struzzo, don Ceso Anastasia dai piedi a forma di zampe palmose di anitra, e il seminarista chiamato di cognome Giovannosanna frequentavano tutti il pedicure.
Anatranasalo frequentava con Villa il nano e con il don chiamato Cessocesa Suaoramariolina una trattoria di Sala Baganza dove un cameriere fantasma serviva sopra dei vassoi canelloni di vitel tonnè e budini alle verdure, che si muovevano tra i tavoli serviti da nessuno come fossero sollevati dall'aria.
Alcune volte mangiavano con loro anche i don chiamati Chiavichinga Tleto e Cilicio Ciliegio. A questi preti Villa il nano raccontava di aver viaggiato nelle notti dopo le partite notturne fatte in trasferta sulle corriere locumone del Milan, Lisbona e del Gorgonzola calcio. Quest'ultima corriera color gorgonzola con le screziature verdini tipiche di questo formaggio piccante e prelibato, stando vicino al magazziniere dei palloni, al becchino e al reverendo della squadra e di fianco ai giocatori chiamati Formaggiolo Gonzola, Verdio Donabbondio e Milanio Brianza.
A Lambrate mentre erano in viaggio avevano intravisto, davanti a fuochi, delle puttane dai galloni e i coscioni grossi come dei cocomeri.

sabato 14 dicembre 2013

I cacciatori misteriosini





Su una collina del paese di Sala Baganza, in un casino da caccia, costruzione a forma di naticona di Maria Luigia, detto il buco segreto, tra teste di cinghiale imbalsamate appese alle pareti, Villa il nano mangiava dei maccheroni a forma di cartucce di fucile condite al sugo di lepre con cacciatori misteriosini, certi chiamati Ungulati, Lindi e Donnagemma.
Era il 1900 e da quella sommità si vedeva in lontananza Parma, piccolissima, il cui conglomerato urbano sembrava un mughetto di violette dai palazzi, colore di fiori misti ad abitazione colore malvasia, e un putto gonfio d'oro, sulle torri gialle della città, come tocchi di parmigiano-reggiano, la indoravano tutta.
Era la notte dell'Angelo, anniversario della festa che si ripeteva ogni cinque secoli, e così in lontananza si vedevano volare nella iper-aria delle tortelle verdi, prima inforcati dalle forchette, poi volanti come trapezisti di un circo messianico, infine finenti nelle bocche dei parmigiani come nelle fauci dei leoni sulla pista sotto, ben simboleggiati dalle leonine del Duomo.
Villa il nano raccontava ai venatori quando, con il nano detto Coniglio di Corniglio, era entrato in una chiesa, a forma di aquila in muratura, a trovare don Erbeto Resdorati dai punzoni letali e il cilicio a forma d'anolini, il quale stava versando vino sfuso dentro damigiane per mezzo di un colino a forma di arvicola di plastica, mentre nel refettorio avevano mangiato tortelli con forchette a forma di aquile minuscole d'argento i cui denti della posata erano degli artigli unghiosi.

mercoledì 11 dicembre 2013

Il maiorchino




Rosario Villa il nano, cucito dentro a una pecora, vagabondava insieme a un pecoraio sui monti Peloritani e Nebrodi, pieni di briganti, gente dai quali si doveva nascondere finché giunse a Novara, da Messina, nel 1813 dove di Martedì grasso tredici squadre di tre giocatori si sfidarono al gioco del maiorchino, un formaggio di dieci chilogrammi di latte ovino e caprino, che lanciavano con un laccio chiamato “a lazzada”, per dirigerne la direzione, e vinceva chi faceva rotolare la forma di formaggio più lontano possibile nella discesa di un vicolo del paese.
Un chirurgo scucì la cucitura nella cute lanosa della pecora e vi fece uscire Villa il nano che andò con il pecoraio chiamato Mesina in una locanda a mangiare maccheroni ai salamini, conditi con il maiorchino grattugiato, infine i due fumarono trinciato forte in una pipa lunghissima e della forma di un fucile.

Le illuminazioni (Rimbaud)






Nel 1910 al trentenne bambino, futuro scrittore Albero Moravia, vestito da pupattolo coloniale, a spasso con la madre mastodontica matrona di Ancona, si trovò a Roma in una giornata di scirocco profumato, illuminato da un sole a forma di ananas, mentre delle scimmie, arrampicatesi sui palmizi, lo salutavano discendevano gli scalini di piazza di Spagna, scalinata dalle statue di marmo scolpite a forma di Papi e inforcati alcuni vicolini, apparve nella vetrina di una minuscola libreria la copia delle illuminazioni di Rimbaud, nel cui libro si parlava del poeta in Africa, il quale, fumante in pipe a forma di trombe dell'apocalisse erbe oppiacee, viaggiava su cammelli panzoni con dei beduini dagli occhi turchini e scintillanti come stelle, con le tuniche fatte di puntini rossi marocchino, avanzanti nel deserto. Una immensa torta lievitata al Pan degli Angeli-lontana la scia dei calpestii delle zampe della cammellata.


lunedì 9 dicembre 2013

La torre di Sant'Antonio



Con i nani chiamati Salumifico, Maialecimitero, e la pasticcera chiamata Reggiogegigia, l'altone e nasone pittore nonno Sirocchi e il carcerato mastodontico come una armadio, evaso dal carcere di San Franceso e dalla peluria mista color budello di salame e violette fosforescenti, Villa il nano si trovava sulla torre di Sant'Antonio, chiesa sita in Via della Repubblica a Parma, a guardare una corsa di giraffe in un percorso labirintico di strade cittadine cosparse di bula, segatura e trucioli, organizzata dal circolo delle feste e delle sagre parmigiane, corsa nella quale vinse la giraffa chiamata Angiolanolinaria montata dal fantino detto Bambolantelamica, simile al volto della pupazzina con cui andava a letto lo scultore Antelami.
Mentre nella strada festeggiavano la contrada della giraffa, vittoriosa, facendole mangiare tartufi bianchi, l'allegra brigata nella stanza del campanaro, a metà della torre, su un letto fecero delle orge e il nonno pittore Sirocchi metteva il nasone, bislunga erezione di cartilagine, nei culi degli orgiaioli foderando la protuberanza pinocchiesca o bergeracchiana di profilattici di lattice a forma di minuscola torre di San Giovanni.
Villa il nano intanto vedeva da sotto il credenzone antico, dai piedi a forma di zampe di leone, delle frotte di topi piccolissimi come uova di caviale.
Il nonno Sirocchi, il pittore, e Villa il nano, presero un taxi color caco guidato da un certo Water-Melon (Cocomero in inglese) e, passando di notte davanti alla villetta, dalla villa a forma di spumino ricamato, bianco e gigante dove abitava il becchino con la sua famiglia, videro il prostituto nano detto il duca del maialattone morto dalla pelliccia viola-modello Marialuigia e con su il dorso maculato balzanamente un maiale morto, panzone, in panciolle dentro una tomba e guarnito su tutta la coteca di violette, che soleva, pazientando, arrivassero i clienti sulle loro automobili, fumare sigarette, bere spiriti e sgranocchiare caldarroste nel piazzale antistante il cimitero.
Viaggiando passarono anche davanti all'ospedale delle Piccole Figlie, dal palazzone a forma di cappello di badessa, e su un davanzale di una finestra videro un cocorito color giallini varii spumanti e all'interno della stanza un vecchio malato pisciare in un pappagallo.
Villa il nano raccontava al taxista che anche lui aveva fatto il puttano e il suo cliente abituale era il culturista detto Pompone-Acciaio che lo veniva a prendere in Ferrari, gli offriva un benevento in un bar di Baganzola chiamato la “Pecora Culanosa” per poi consumare il coito in una carraia dalle erbe alte e medicinali fuori del paese, tra micioni dai denti canini alla Dracula il vampiro, e vicino a baracche dove abitavano vestiti di giacche a scacchi o a pois, che facevano anche loro sesso nel culo stagno e tonico del palestrato, dalle natiche color cioccolato, abbronzato da lampade di saloni di bellezza da sembrare due uova di Pasqua.
Una notte il palestrato, questo postmoderno Ercole americanizzato del body building, aveva caricato sulla macchina oltre a Villa il nano, anche il nano chierichetto chiamato Pollino Ampollini dalla cotta, con ricami a uncinetto a forma di ampolline da messa.
Il nano detto Il Michela Papapontefiche, dai capelli biondi color limone e il nano detto il Pecoro Lananassa, dal cappello a forma di annasso, a sua volta a forma di testa di pecora e il cappotto di pelo di caprone, il quale nel posto posteriore dell'automobile sgozzò con un rasoio il muscolato, accadde mentre questi guidava con bene in mostra i pettorali grandi come due panettoni e gli addominali a forma di rosone di chiesa, con al centro l'ombelico, molto sexy come una porticina per accedere al refettorio o come un orecchietta o un anolino a metà e vuoto di ripieno. Poi i quattro, dopo aver scaricato il cadavere del palestrato nel luogo, rubarono la macchina e fuggirono fumando sigari utilizzando dei bocchini di ossa di tibie di cani di Canossa. La luna era un enorme tazza di zabaione nel cielo buio della notte.

Le seterie








Dopo un nubifragio Villa il nano passeggiava negli smisurati e devastati giardini di ortensie. Sulle palle dei fiori, rimaste attaccate alle piantine, erano posate goccioline del diluvio e sul sentiero s'incontravano pozzanghere piene di pesci microbi tra i quali delle balenine microscopiche, sobbalzate dal mare vicino durante la tempesta.
Villa il nano camminava mano nella mano con la Vivianacca che, da Viviano, aveva cambiato sesso per mezzo di una operazione chirurgica ed era la figlia dell'industriale di tutte le seterie dell'Inghilterra.
Quel giorno vestiva un abitino grazioso a scacchetti bianchi e nero e la carina Vivianacca era la fidanzata di Villa il nano.
In Inghilterra si era ai tempi della rivoluzione industriale. Il cielo era colore azzurro anice e dal vicino sentiero faceva ritorno qualche operaio bambino, tra cui il nano Nanard con sotto il braccio un libro intitolato il Capitale, scritto da Carl Marx dopo ore di lavoro nelle industrie della seta i cui telai producevano rumori come se i lavoratori battessero i tasti di macchine da scrivere gigantesche.
Un terrone, chiamato Meridioanalisti, dal cappello di gomma piuma a forma di torre del Big Ben minuscolo, passava su un carro pieno zeppo di bachi da seta da portare nelle fabbriche vicine e la Vivianacca chiedeva a Villa il nano se gli piaceva il musicista Bach.

giovedì 5 dicembre 2013

La stella cadente



Nelle sera o nelle notti dai fari doppiamente illuminati di luce color mimosa delle automobili, Villa il nano con il nano chiamato Zucca di Cenerentola, camminando o seduto a un bar del centro di Parma, provava un sentimento simile a fuoco bruciato come una stella cadente con la sua fiamma ricamata nel cielo per delle ragazzine graziose, carine e angeli dello stilnovo, le quali passanti si allontanavano nelle galassie del mondo poi perdute per sempre.
Prima di sparire gli ammiccavano gli occhi, sornionamente amorosi, ispirandogli un letto di un albergo come un minuscolo dado dentro cui fare l'amore bevendo un super bollicinato frizzantissimo della valle degli champagne, mangiando tartine con il formaggio con i buchi.

Il cuoco grasso




In un cottage a forma di ippogrifo di un quartiere di villine di New York, David Leavitt, scrittore americano dalla cravatta cucita a forma di chiavona del Vaticano, aveva indetto un party gay per solo sodomiti tra i quali c'erano gli italoamericani Italo Caciotta, Jack Malto, Bucati Maccheroni e Crassiumo Mortadella.
In quella occasione mangiavano hamburger a forma di buldog e c'erano delle penne alla pommarola, condite con piselli che suonavano canzoni veraci italiane come “L'italiano”, “O sole mio” e “Volare” perché al loro interno c'erano delle microscopiche microchips vegetali che le trasmettevano e a contatto con la saliva orale si spegnevano.
In un altro cottage americano a forma di torta meringata, perciò dall'intonaco color panna montata, ci fu un altro festino gay. Il cuoco italiano panzone chiamato Maialcrassodi Leondor preparava a tutti gli invitati dei tortellini bolognesi alla panna e per dolce un dessert gigante a forma di Giacomo Leopardi fatto di gelato e tutti applaudirono il maestro pasticcere quella notte perduta nel tempo in cui Villa il nano, durante la festa, aveva fatto sesso con i ragazzi italo americani chiamati Pomodorana, Pizzetta e Basiliconte.
Il cuoco grassone toltosi dalle asole i bottoni a forma di minuscole statue della libertà, così svestendosi, era stato il primo a tuffarsi nella notte d'estate in una piscina illuminata del giardino della casa.

A Cannelli


Nel 1950, Villa il nano, si trovò in piazza Alfieri, appoggiato a cavalcioni sulla piuma stilografica della statua del poeta, ad assistere al Palio d'Asti.
Era lì, tra madamine con ombrellini, vestite di abiti da bomboniera, piemontesi agrari e vendemmiatori grossi come gelsi, ma effeminati da orecchini da bambine ai lobi delle orecchie, vestiti con abiti paesani e pacchiani da sagra domenicale dal cravattone e con dipinti bicchieri di cristallo ammiccanti riflessi di linda scintilla di luce, ricolmi di vino nebbiolino rosso rubino.
Soggiornò in un albergo dove mangiò pappardelle alla lepre bevendo spumante di Canelli che gli sovvenne di aver bevuto in occasione dell'ultimo dell'anno del 1920 nello stesso paese all'Albergo dell'Angelo, palazzo imperiale con sul tetto un angioletto. In quella occasione il cameriere stagionale chiamato Anguilla, scuro di carnagione come un etrusco, stappò un bottiglione di quel vino e il tappo di sughero, a forma di apparecchio minuscolo del grande Torino, svitato dalla capocchia, gabbietta di alluminio, sospinto dal gassissone delle bollicine di anidride carbonica, finì contro un souvenir riproducente il monumento rococò della basilica di Superga in miniatura posato su un mobile.

martedì 3 dicembre 2013

Il carcerato


Una notte del 1970 Villa il nano e il chierichetto nano chiamato Canario Ucellini andarono nella trattoria davanti al carcere di San Francesco. Era lì che passava le ore di libertà il carcerato grassoccio e dai grossi riccioli chiamato Cavio Cantinori, rinchiuso in galera per frode fiscale, che fece vedere ai due i libri della biblioteca del penitenziario tra i quali la Califfa, autografata dallo scrittore Bevilacqua, letterato dagli occhi femminei e faineschi e il volume di storia, intitolato: “Il tirabacio di Napoleone”. Conversando si misero a sorbire un brodo con anolini nel cui liquido giallo si rifletteva come uno strato di muschio il panno verde del biliardo.
In una fondina di uno dei tre si posò un apparecchio extraterrestrico, a forma di anolino di metallo come una navicella del paradiso, con il figurino barcaiolo Padre Lino che navigava nel piatto con un mestolino, tutte due di alluminio.
Il carcerato rientrò nella notte dentro al carcere scortato da due corazzieri del Quirinale, dagli elmi a forma di testa leonesca antropomorfizzata del volto di Leone Presidente della Repubblica in quegli anni.

Il night



Negli ultimi anni dieci, a Parigi, posati sulle verdi acque della Senna, c'erano bar-barconi a forma di cigni, cicogne e madleine. Mio nonno bambino, Villa il nano, con lo scrittore Marcel Proust, andavano a bere il caffè leggendo le pagine di ippica, sport, letteratura e politica. Guardavano in fondo ai boulevard e in uno di questi era sito un minuscolo night alla cui saletta, quella degli spogliarelli, si accedeva per mezzo di una scaletta dai pioli a forma di chicchi di caffè giganti.
La moquette e le pareti erano di colore caffelatte e allo scoccare della mezzanotte nel locale ballava una ragazza delle Antille Olandesi, scura cioccolata alla carnagione, dotata di un pene da maschio, esageratamente e ipertroficamente muscolosa, vera attrazione del luogo come la donna baffuta e barbuta delle giostre del luna-park.
Per lei avevano perso la testa industriali, ragazzini, deficenti giocatori di flipper, stallieri di cavalli d'ippica e qualche lesbica. Nel locale si poteva parlare con le entrenuose tra le quali la ragazzona dai bicipiti grossi come sei cocomere mentre negretti in divisa rosso ciliegia, con i gradi dorati alle spalline, portavano spumanti e caramelle pacchiane.



Il gatto







Una domenica Villa il nano partì con il nano Caledonia Farnesi in automobile alla volta della signorile Torino. Andò alla partita della Juventus di Boniperti dopo avere acquistato un biglietto da un bagarino indiano, di carnagione nero ebano, con la bocca color candito all'arancia e dagli orecchini a forma di ottovolanti minuscoli, luminosi e in movimento ai lobi delle orecchie.
In quella occasione la Juventus vinse e in città ci fu la festa scudetto con dei caroselli di macchine, lungo i corsi del centro tappetati di striscie di moquette d'oro come i corridoi di un grand hotel.
I tifosi correvano sulle loro automobili sventolando il bandierono e schiumando lo spumante fuori dal finestrino, poi i due finirono in un locale notturno nel quale offrirono spumante d'Asti ad una entrenouse di Torino con il nome d'arte Urinatoro, dalle gambe sottilissime come due grissini torinesi.
Nella notte i due, uscendo dal night, tra vomitate di champagne degli altri clienti, dai quali eccheggiavano nel buio le gesta gloriose dello scudetto della squadra bianconera di un giorno perduto nel tempo.
Sull' autostrada, davanti al locale, fu investito e spatassato da un auto che passava da lì un micione sbodenfione dal pelo color pallini gialli di mimosa chiamato il lesbichino o detto Saffo del topo verde fico il quale poi perdette sangue sull'asfalto.

mercoledì 27 novembre 2013

L'incontro di boxe






Un ultimo dell'anno i cerchi luminosi dei semafori zampillavano vino. Il giallo di moscato o malvasia, il verde di vino veneto e il rosso di lambrusco e poi altri di Strega gialla, di Fernet verde e Campari rosso.
Villa il nano su un taxi di un libanese, fermo davanti alle luci che regolavano il flusso stradale, ne riempiva il bicchiere. Tutt'a un tratto si fece portare in un albergone sontuoso, in una camera arredata con mobili, tappeti, e quadri alle pareti colore del cedro. Ubriaco, sdraiatosi sul letto, seguì in televisione l'incontro di pugilato tra due pesi massimi dalla schiena a triangolo con i deltoidi sviluppati a forma di copricapi di faraoni e con la pelle nera tatuata, l'uno di cioccolatini incartati d'oro e l'altro di pop corn e questi due si muovevano come dei ventagli.

L'idroscalo di Ostia









Nel 1973, allorché avevo soltanto tre anni, fui depositato, di sera, da mio padre, all'idroscalo di Ostia in un luogo posto a fianco di un campo di calcio. Era uno spazio pieno di baracche, cani latranti, discariche di rifiuti e materassi marci di seta broccata, strappata e sbiadita, a forma di volti di papi, giacigli, questi, del Vaticano.
Tranquillamente, seduto su uno di questi materassi, rimasi in attesa del poeta Pasolini che arrivò alla guida della sua Alfa in compagnia di un compagno omosessuale. Il ragazzo, Pino Pelosi, detto la Rana, appena giunti lì incominciarono a prendermi in giro soprattutto per la forma del mio naso per il quale mi soprannominarono “Il patata” e poi il “Romano di Parma”.
Chiamavo il poeta con il suo cognome Pasolini perché per me significava felicità. A quell'ora molti degli amici del poeta, abitanti nelle baraccopoli, scaricavano dei pitali di urina nella riva del mare a pochi metri. Pasolini mi portò in una trattoria gestita da una trattore chiamato Abortoli e mi invitò a mangiare carne di pecora e del formaggio pecorino al miele.

giovedì 21 novembre 2013

Lo stadio di Wimbledon










Dentro lo stadio di Wimbledon, durante la notte, fu ammazzato il giallista Blood Yellow. Il sangue macchiò il prato erboso di un campo da tennis dove danzava la pallina come un gigante fiore di mimosa durante le partite.
Nella stessa notte un ragazzo frocio, chiamato Elton Piccadilly, con in testa un cappello a forma di un pollo, simbolo del gagliardetto del Liverpool calcio, entrò nello stadio vuoto, buio, pieno di ragnatele come tele di zucchero a velo, a forma minuscola del palazzo della regina, mosaicate di mosche, in cui volavano dei corvi a forma di teschi di neo piumati dai becchi nasoni come pellicani.
Raccolse un capello biondo d'angelo del campione di tennis Bjon Borg e, messolo tra le sterline custodite nel portafoglio, l'aveva poi venduto per sei pence a un collezionista di ciocche di capelli di personaggi famosi a un mercatino a Londra.
Il ragazzo soleva spesso di notte entrare nello stadio incustodito. Nel buio aveva anche accarezzato amorosamente le gote a Villa il nano con un quadrifoglio, erbina a quattro foglie a forma di corona del queen, sul quale, bagnato dal diluvio della notte, si era prodotto il fenomeno dell'arcobaleno e perciò era colorato con diversi colori.
L'inglese, a Villa il nano, gliel'aveva arrotolato al ditino, Zamponini, Salamino e Salumellino Gonfietto come un anello. A quell'ora notturna dei vecchini, intubinati e sbronzi di birre arancioni e nere, uscivano dal circolo-club interno allo stadio.







Il flipper medievale






Una notte, nelle selve nere del fiume Po, il vecchio comico e panzone chiamato Lindello Pretagnoloni, dal nasone come uno zampone, si faceva largo tra le fronde con una lampadina a forma minuscola di città di Las Vegas, piena di insegne microscopiche di locali notturni, per catturare un altro vecchio chiamato Gaibascabassoni e mettergli nel culo un linguone di manzo.
Non riuscendolo a trovare Pretagnoloni ritornava nella piazza di Guastalla dove saliva su un taxi, dalla carrozzeria a forma di anitrone e dai fanali densi di luce, e usciva dal paese ridendo di una partita di calcio tra chierichetti e seminaristi nel campo della parrocchia utilizzando per pallone una vescica gonfiata di maiale.
L'incontro calcistico era arbitrato da un prete chiamato don Pighelline Cicciolede che, in mancanza del fischietto, sulla torre, appartenuta al gran ducato di Guastalla e perciò a forma di stivale bislungo e gigante di Maria Luigia, scampanava con la campana i falli.
Un seminarista era tanto goleador che l'avevano soprannominato il mitra. Nella notte, sul taxi, incrociarono l'auto guidata da un prete castrato chiamato Black out Palline di Flipper, altrimenti detto Flipper eunuco, e una perpetua mastodontica pugilessa.
L'Antelami aveva scolpito in una piastrella un match di pugilato, in cui in rilievo spiccava una pugile dalle spalle larghe come una apertura d'ali di cicogna e dalla schiena muscolata a forma di conchiglia.
Lo scalpellino aveva anche scolpito in un'altra formella un bambino deficentino che sullo sfondo di una latteria minuscola giocava con un flipper trecentesco e medievale dai birilli-pistoni a forma di comete, pandori, e panettoni.
Villa il nano, dormendo, si era sognato, una notte a Parma nel medioevo, quando la città era un paese di pochi borghi, una latteria-cornetteria vicino a Piazza Duomo, dai bianchi bricchi di latte, dove un bambino deficentello. figlio di un bovaro, che aveva capelli tinti color sedano elettrico e ai lobi dei salami pendenti come orecchini, chiamato Video Cagames, giocava a un flipper incandescente di luce e Villa il nano aveva ordinato un cappuccino sborroso di schiuma e un maritozzo a forma di bue. Poi il bambino spariva nei borghi dai palazzi color the o color formaggio somigliante al giallo delle mimose.

giovedì 14 novembre 2013

Il bazooka









Sul taxi del taxista chiamato di cognome Fantasmatici, dai guanti bianchi come due lenzuolini di fantasmi, da gran autista maggiordomo, Villa il nano viaggiava ed arrivava fin dentro a una carraia di Casalmaggiore dove c'era la trattoria chiamata la “Buca della mosca” e un certo Moscagatti gli aveva servito dei tortelli alla suclona.
L'inverno a Casalmaggiore, nella piazza circondata da palazzi antichi color semolino, le persone accendevano il falò e Villa il nano con il taxista stava lì a rimirare il fuoco finché non arrivò, sul suo motorone, il pittore naif detto il Naiffiga, il quale sul suo rombo a due ruote fece tre giri intorno al fiammone.
Al taxista Villa il nano raccontava di aver soggiornato nell'albergo chiamato la “Morta della mortadella” e in una serratura a forma di sagoma di chiesa di San Petronio, in cui si girava una chiave della stessa forma, e di aver spiato due donne meravigliose dalle dimensioni dei corpi budlosamente muscolati ipertroficamente.
Tutt'e due sdraiate sul letto si infilavano anelli alle dita dei piedi e una di queste a una cosciona aveva allacciata una giarrettiera color fetta di mortadella. Villa il nano disse che a Bologna nel suo soggiorno aveva frequentato una biblioteca il cui bibliotecario si chiamava Safforano Bolognoli che, preferendo solo il grasso del salume, poiché la parte rossa la scartava, era diventato gigante come Balanzone e questi gli fece vedere un libro meraviglioso in una pagina del quale era raffigurato il poeta Montale, visto da nano con i capelli grigi, pettinati all'Umberta, a forma di spazzola, che somministrava un osso di seppia a un canarino a forma di minuscolo culturista, giallo piumato dentro una gabbietta, il quale in un'altra litografia era diventato gigante e gonfio per lo spuntino marino pomeridiano e fuggiva.
Villa il nano gli raccontava di un night nella profonda città di Parigi, frequentato con lo scrittore Proust e quel bambino di mio nonno, a cui si accedeva attraverso un cunicolo ricoperto da un tendone, tipo il sottopassaggio coperto dello stadio di San Siro quando entrano i giocatori in campo, così protetti dai lanci dei soldini, ad attenderli davanti all'ingresso c'erano maschere di portieri meticci dalle livree color ciliegia con i gradi dorati alle spalline, come i bigliettai circensi, ed entrati nel locale notturno potevano mangiare caramelle pacchiane e bere champagne parlando con la prostituta chiamata Mirtillona, una nera color cioccolata alla mandorla, mastodontica con i bicipiti, le cosce e i polpacci gonfi come sei sette cocomeri, dotata e bardata anche di un pene da uomo che inturgidiva stando seduta su un divanetto, con una collanina alla caviglia sinistra, vera attrattiva del night, in cui sui ribaltabili si bevevano anche filtri e filtrazioni di sedano e finocchio.
Ella raccontava che aveva viaggiato su un taxi di un taxista vietnamita, giallo limone, dal corpo pieno di vaioli e cicatrici, e con un bazooka a forma di chiappa di Kennedy aveva distrutto culturisti americani, facendo irruzione in una palestra, colpendoli fino a farli scoppiare con il sangue che schizzava dappertutto come pomodori spatassati. Il taxista spegneva le sigarette sul petto come facevano James Dean e il poeta Desnos.
Villa il nano scese dal taxi davanti al night chiamato il “Lobolone” dove stava entrando il ragazzo gay Camomillinghton, dai capelli color camomilla, vestito di un abito color panna montata con effigiati dei coni gelato al limone ed era accompagnato dal un ragazzo culattone chiamato Gruvierenghton, dal completo giacca e pantaloni giallo color gruviera con stampati sulla stoffa i buchi caratteristici di questo formaggio.
A Villa il nano, una notte, un signore gli indicò il taxista vietnamita che ballava sbronzo con la faccia chirurgicamente ancora più contorta e butterata in un locale notturno di San Francisco insieme a un trans.
Il taxista reo di aver sfracellato culturisti afro e japo americani, color nutella o maionese al limone, appena dopo l'omicidio era fuggito nell'Arkansas sigillandosi dentro una tomba murata in un avello. Successivamente l'aveva riaperta con un coltellino e aveva seguito un percorso interno tra le ossa e la carne marcia dei morti fino ad arrivare in un cunicolo sotterraneo.
Camminando migliaia di chilometri era saltato fuori una botola dentro a un alberghetto sgangherato a Roma chiamato “Romeolo” dove, in una cameretta, il vietkong si sciacquò il sangue in viso in un lavandino, riproduzione in miniatura della fontana di Trevi con i tritoncini in maiolica, poi chiese un passaggio a Albero Sordi, il quale, guidando, lo portò in una clinica dove venivano fatte delle plastiche facciali e con un chirurgo si mise d'accordo per cambiare completamente volto.
Con il chirurgo il vietnamita andò infine nell'alto Lazio in una osteria a bere una Cinara. Villa il nano raccontando tutti questi aneddoti dimostrava che con il passare degli anni, girando su tutti i taxi della notte, aveva riconosciuto i mutamenti antropologici e le mode: dai tubinio anni venti, alla rinascita del dopoguerra, ai pantaloni a zampa d'elefante anni sessanta, le basette anni settanta, il piumino e le scarpe thimberland anni ottanta, e poi il boom dei dj anni novanta, il codone, il piercing, l'emancipazione femminile e il calo della virilità del maschio degli anni duemila.
Come era successo per il papillon ottocentesco dopo la parrucca illuminista, dopo la gorgera seicentesca, dopo la gorgera seicentesca, e riconosceva nell'umanità una scimmia come del carnevale che si involgeva, giorno dopo giorno, dotta, solo del presente, dimentica dello ieri.
La mirabile esperienza ebbe infatti sul taxi del taxista Perassi con il quale girò per tutti i castelli dei Rossi, dei Landi, e dei Pallavicino oppure verso quelli Matildici , chiedendo a Perassi, vero scienziato ed esperto sull'argomento, se i fantasmi si potevano drogare, bere spiriti e mangiare, e se nei castelli scambiavano qualche chiacchiera con i custodi, vecchi arzilli canuti con i peli bianchi fuoriuscenti dal naso, i quali erano degli scommettitori d'ippica e del Palio di Siena, del quale conoscevano i segreti delle contrade. L'Aquila per loro era il bicipite femmineo, la Pantera la mostruosità muscolata, il Montone la scopata e il Nicchio la clausura.













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