giovedì 24 ottobre 2013

I Savoiardi






In Florida, precisamente a Miami, Villa il nano, alla guida di una Cadillac rosa color gelato alla fragola e dai fanali a forma di limoni, caricò il culturista italoamericano, chiamato di cognome Spaghetti, dai bicipiti gonfi con tatuati dei palloncini gonfi di luna park, percorrevano il lungomare pieno di palme nella notte piena di scie di luce di fanali di automobili come mosche luminose.
Nella località i surfisti su onde che un ipotetico frullatore montava come maionese, che avevano il colore, per il riflesso del sole, con la loro scatoletta vi sciavano sopra.
I due soggiornarono in un albergo di Miami dove nella notte, con il telefonino in dotazione alla sweet, il bodybuiler ordinò tre bottiglie arancioni di whisky che scolò tutte, poi fecero l'amore e Villa il nano gli palpò gli addominali dai gangli di fibre interne sviluppate come un piatto di spaghetti. Esanime dopo il sesso Villa il nano cadde a letto come il poeta maledetto Rimbaud, in preda a uno sregolamento di sessi, nell'abitazione belga dove sognava di una caccia a un volpinino rosso, color candito, o nel suo soggiorno africano quasi morto su un letto a baldacchino per aver fatto sesso con un africana gigantesca che, se morta, poteva essere sepolta in una tomba immensa quanto la pietra di Bismantova.
Nel letto Villa il nano si ricordava quando nel negozio della parrucchiera lesbica Talignani, da garzone parrucchiere, acconciava i capelli neri a caschetto o carrè alle clienti Pariset e Parmigianet, dando forma alla loro chioma come una mora gigante nella moda parigina a queste bellezze parmigianine. E poi si ricordava di essere andato con altri culturisti a Baganzola alla trattoria chiamata il "Barcaiolo, La barca, Il caprone, Il lupo e Il cavolo", nomignolo che il locale aveva preso da un barcaiolo che, guadando un lupo una capra e un cavolo da una sponda all'altra di un canale del paese, per non appesantire troppo l'imbarcazione, portava prima il lupo che poteva seco mangiare la capra, depositando anche il cavolo che, rimasto con la capra questa poteva mangiare, infine traghettava la capra.
Dall'oste della trattoria si mangiavano ottimi tortelli alla capra e alla ricotta secondo un antica ricetta che tanto piaceva al poeta latino parmigiano Cassio Parmense.
Villa il nano s'imboscò con i culturisti gonfi di muscoli nei campi attigui alla trattoria e li scopava. Sdraiato sul petto di uno di questi, chiamato Cultuturella Marco, vaneggiava della sua amica bambina detta la Cicognina con la quale nel paese rubava le uova nei nidi di cicogna e nel campo aveva ucciso i palestrati Bodyno Buildingo e Step Fitnesso.
Invece come il gigante e il nano passeggiava con il culturista chiamato Panteri Denis nei borghi di Parma entrando in una chiesa a forma di mela gigante in muratura, retta dal prete chiamato Melanio Melechiese.
Nella chiesa sotto la doccia il nano aveva scopato l'ercolone Erbettone dal corpo color erba beta come il terribile Ulk e il culturista dal corpo color rosa marmo di Verona con gli addominali scolpiti come la scultura di un lapicidi da medioevale.
Con Don Melechiese alle tre di notte partiva in automobile percorrendo il lungo stradone e sfilavano le prostitute dette lana di pecora. Una vecchia baldracca dai capelli color lana, splendida in fanciullezza e la Pantera, un escort culturista di alto bordo più gonfia dei culturisti. Le due puttane erano vestite di pizzi con capelli a forma di larve giganti di lucciole paffute come torta fritta ed intermittenti di luce.
Finito il giro ritornarono per dormire su un letto dal materasso foderato di lana di pecora e teste imbalsamate di guardie napoleoniche. Dalla stanza da letto Villa il nano, quando si alzava a fumare sigarette, marca “inferno”, da una finestra vedeva sotto le sentinelle della chiesa, certi due detti il “cieli sereni di Mamiano” e il “Vipera delle corti di Monchio”. Quelle notti, a turno, vedeva altre guardie chiamate il Vissolo di Vignola, uno di Suorbara, quest'ultimo un ragazzo dagli occhi eterei e turchini nato da una suora stuprata, e “Duefigone” un bellissimo ragazzo-ragazza dai boccoli color miele d'oro.
Villa il nano portava ai soldati in sentinella delle mastelle piene di tortelli e poi, dopo la profferta, li invitava a fare sesso di sopra con dei vibratori di plastica a forma di lombrichi, bachi e bruchi dagli occhi sonnolenti.
Un giorno nella chiesa successe che il chierichetto detto il Sonniferone mise del sonnifero fortissimo nel vino e Villa, così le sentinelle e il prete finirono a letto per intere settimane e dirò che per incantesimo si bloccò l'aurora. Per mesi fu notte e nel buio della chiesa rombava una cimice gigante, a forma di cicogna, e una talpa aveva coitato con un pipistrello.
Nel mondo dei tassinari certi di questi chiamati Cinemaniaci, Segaione e Violetteschia, si chiedevano che fine avesse fatto Villa il nano che in verità dormiva e non poteva fare giri sui taxi.
Nel 1919 sul taxi del taxista detto il “Fontalè” si fece portare nell'abitazione di quel bambino di mio nonno, il quale a sua volta lo portò al piano di sopra dalla mia bisnonna e dalla futura santina Ida Mari che gli mostrarono un orologio di gusto pacchiano, a forma di miniatura di Palazzo San Pietro, che, oltre le ore, scandiva la morte e l'elezione di ogni Papa con un'esattezza formidabile.
Così alla morte di un Pontefice usciva un cucù a forma di cardinale vestito a lutto o per l'elezione del Santo Padre e c'erano fumate nere e poi bianche finché si affacciava la statuina del nuovo signore del Vaticano, ma le due pie donne curiose avevano mandato avanti i congegni e gli ingranaggi per sapere la sequenza dei papi futuri e l'orologio era diventato un baraccone rotto.
Racconterò che durante un fortissimo temporale Villa il nano, rifugiatosi sotto un quercine antico gigantesco, nella notte pieno di perle di migliaia di goccine di pioggia, mangiò con due briganti della caciotta che gli avevano offerto. Si era nelle Due Sicilie, bruciavano i palazzi borbonici bianchi di fumo a forma di schiuma da barba sui volti barbuti pennellata dai barbieri.
Tornato a Parma Villa il nano fu invitato dalla signora chiamata Papata Giubileona, la quale gli aveva preparato un tiramisù con dei savoiardi a forma di volto allungato di Vittorio Emanuele Re d'Italia.
Villa il nano era stato anche al luna park di Comacchio mangiando zanzare fatte di zucchero a velo.

sabato 19 ottobre 2013

La notte dentro la notte






Villa il nano al ristorante Leon d'Oro, altrimenti soprannominato Tigher d'Or, dove mangiava con alcuni amici misteriosi, chiamati Ceffone di Sedanora e Finocchiotoro, raccontava di avere soggiornato nell'abitazione del signor Spadaforte, vestito di una giacchetta di peli a istrice, sita a Siena. In un giro di notte nella maremma aveva trovato una neonata morta, dalla carne del corpo fatta di polpa di lumaca e lombriculilubrifichi.
Il taxista li aspettava con il tachimetro acceso al volante del taxi durante tutta la cena e, risalito poi con gli amici, Villa il nano, gli ordinò di raggiungere un caffè dove bere qualche liquore. Fu così che li portò in borgo Naipper, al bar Napoleone, sito in un palazzo napoleonico a forma di leone in una Parma irreale, ma dentro la città e dentro la notte dai fanali gialli, a forma di libri tascabili gialli, il borgo era una strada per così dire felliniana frequentata da scrittori e poeti della città che elargivano gratis sigarette delle più rare nei vari locali multietnici.
In fila dei marocchini afrorizzanti di profumi nella notte vendevano oppio, pesandolo sopra delle bilancine microscopiche, mentre barboni ricchissimi e dotti tenevano lezioni sul momento su Cartesio ed Aristotele.
Nel borgo poi c'era una chiesa antica dalle dimensioni cubiche color del caffè e l'interno era di porpora con dentro un tombone a forma di cassettone cinquecentesco in cui riposavano gli occhi, il pene e i testicoli del Naipper.
La chiesa sconsacrata era diventata sede di un cinema dove proiettavano film pornografici. Una notte dal tetto in rovina del cinema cadde un micione sbodenfissimo color giallo Parma proprio sopra la poltroncina dove Villa il nano era intento a guardare un film e il deretanto del gatto inghiottì il nano e poi fuggì.
Villa il nano si ritrovò nella notte dentro la notte e per incantesimo dentro il felino e sognava i sogni di questo, scappato poi a Mariano, Porporano e Marore vagabondo fino a Coloreto dove mangiò un topone rosso di campagna che, finito al suo interno, mangiò a sua volta.
Il topone lì dentro fumava il pene del Naipper inghiottito dal micione nella tomba con i testicoli e gli occhi, divenuto un sigaro mortuale, e si era pappato anche i maroni buoni come due marron glacè. Inoltre si era messo agli occhi come due lenti a contatto i bulbi oculari dell'amante di Maria Luigia e così dentro voltolavano come visioni i sogni del gatto e del topo che il nano sognava. Il micione sempre a Coloreto fu urtato da una automobile e facendo un gran volo il topone uscì dal deretano del gatto.
Villa il nano dal topo, così uscito da dentro la notte dentro la notte perdendo di vista i suoi due compagni, fu davanti all'abitazione dell'eternità, fornita di antennone che captavano l'aldilà che illuminava la casa di luci d'oro come un luna park, dentro la quale vide la servitù che finite le faccende per la famiglia che serviva si era messa a mangiare alle tre e mezzo di notte.
Edipopò, uno dei servitori, lo invitò a salire in casa e chiacchierarono di borgo Naipper, sita nella Parma immaginaria, dove il cameriere una notte aveva visto lo scrittore Bevilacqua lanciare in un locale e regalargli dei sigari livornesi e dei mazzi di banconote e poi il servo consigliò al nano di recarsi in borgo del Toponeformaggiogiggione dove c'erano delle trattorie in cui si mangiavano ottimi tortelli, asciugati in formaggio grattugiato prelibato, e la strada era frequentata da pittori naif.
Erano le quattro di notte quando Villa il nano chiamò un taxi che girò e rigirò senza trovare il posto in vicinanza presunta a Borgo delle Colonne, ma esistente in una fodera irreale, immaginaria, magica e surreale della città.
Il taxista per mezzo del radiotaxi chiamò un suo collega detto il Reggianaformaggiaio che sapeva dov'era la strada e arrivò a caricare il nano sul suo taxi, color melone, dalle poltrone interne, color prosciutto, e lo fece scendere in borgo del topone formaggiggione, posto che era un colonnato di colonne a forma di formone di parmigiano-reggiano in muratura, sovrapposte le une sulle altre, e intonacate color giallo unto e dall'acciottolato di porfidi a forma di volti minuscoli di tutti i pittori di tutti i secoli a Parma, dai pittori naif della domenica, agli affrescatori di chiese. Tutt'a un tratto vide sotto gli archetti del borgo di colonne due toponi fiabeschi e reggiani camminare ritti sulle zampe posteriori e dai grossi culi e parlare del derby calcistico del grana tra il Parma e la Reggiana.
Villa il nano mangiò tortelli in una trattoria del borgo con un pittore naif chiamato Ampollino Galline e con loro c'erano altri tre pittori detti: la Neva con delle ciglia a forma di fiocchi di neve e Isissidore Duecazzoni e Camamillamammolino.
Il locale era pieno di quadri minuscoli, coloratissimi e naif, tutti di pittoruncoli che frequentavano la bettola. Dei pittori sopra citati c'erano quattro quadri che Ampollino aveva pitturato dei chierichetti che giocavano a calcio con un pallone di gomma a forma di ampollina.
La Neva aveva dipinto Parma su cui cadeva neve dai fiocchi giganti a forma di dromedari e cammelli. La neve caduta erano mucchi di questi animali bianchi algidi come esangui e buttati gli uni sugli altri in fosse comuni.
Camamillamammalino aveva raffigurato un isolotto minuscolo a forma di testa di porchetta, in mezzo al Po, dove prendeva il sole su una sdraio la duchessa Maria Luigia.
Isissidore Duecazzoni aveva pennellato un domatore dentro un gabbia sotto un tendone da circo il quale faceva saltare, dentro ai cerchi infuocati, tigri e leoni che, spelati, avevano la pelle color ciliegia e corpo affusolato a forma di pene e da un buco del pavimento sotto si vedevano le cantine con tanti culatelli appesi al soffitto come tanti pungibol.
Infine, arrivata l'alba, Villa il nano dormì per tre giorni di fila in un letto mastodontico nel buio color petrolio nella canonica del reverendo chiamato Maionesega Geovo. E il buio si infiammava e si sfiammava di lampi per i sogni di Villa il nano.

sabato 12 ottobre 2013

L'impero della zanzara







Nella notte nera, in una scuola di Comacchio, nell'oscurità come in un cinema buio, un ragazzino poeta, detto il Zanzaro Succhiasangueblu, rampollesco, fece a tranci un altro ragazzino chiamato Anguilludovico precisamente nella biblioteca sotterranea dell'istituto il cui finestrone guardava verso il fondale, dove esisteva una gabbia d'oro, cubica e illuminata, in cui nuotava un anguilla imprigionata e grossa come un collo di toro.
Una zanzara gigante come un elefante, assistendo alla scena, vomitò nel canale sostanze di tutti i tipi di sangue, inglobati con lentissime punture e due cicogne nere su un tetto di una casa, con i becchi si davano un bacio, e questi due trampolieri erano appisolati su un nido dagli stecchi fragranti.
Villa il nano, quella notte lontana, era nel paese e alla sera aveva mangiato in un ristorantino un piatto di cicogna lessa a mezzogiorno. L'indomani, Zanzaro, arrestato, camminava con ai polsi le manette tra due guardie. Un fatto del genere successe nel paese di Gorgonzola dove il ragazzino detto il Gorganza bruciò su un neon a forma di formaggio verde, luminaria luminosa e pubblicitaria della ditta paterna di formaggi Cippolagliano, un calabrese trapiantato in Brianza, compagno di classe nell'istituto tecnico del suo assassino, poi vendicato dal padre che aveva fatto uno sfregio con una lametta al Gorganza allo stadio di San Siro.
La lama a forma di piccola falce del simbolo del partito di Berlinguer fece schizzare il sangue, trasportato dal vento, sulla Madonnina del Duomo. L'assassino Zanzaro riuscì a fuggire dalla galera e, preso un taxi ,si fece portare a Volano al ristorante chiamato Anguilla Regina. Nell'insegna del locale erano graficamente disegnate un'anguilla con una coroncina in testa e una zanzara imperatrice.
Nel locale, illuminato di lumini a forma di zanzarone, dopo aver mangiato un fritto, bevendoci dietro del vino, fuggì sul taxi del taxista chiamato Pinzini Contini il quale, guidando, uscì fuori strada in una località pieni di campi erbosi, dove i bagnanti giocavano allo sport detto volano e in cielo volavano interminabili file di naderi.
L'assassino arrivò a Ferrara e raggiunse la casa di un chirurgo che gli fece una plastica facciale. Infatti, gli lisciò con un ferro da stiro i polpastrelli per rendere vana qualsiasi ricerca di impronte nella schedatura. In questo modo del suo meraviglioso viso ovale rimasero solo gli occhi turchini, infine con in tasca una pistola, dalla canna allungabile a fucile a forma di anguilla in argento, s'imbarcò per l'Africa dove commerciò polvere da sparo e fucili.
Il custo della polveriera era uno di Spina, un certo nobile chiamato Necropoli Timtomballo, che aveva incontrato decenni prima a Comacchio quando questi gravitava nella zona perché da giardiniere curava i graziosi giardini dei sette lidi comacchiesi.
Mirabile fu una cena d'estate nella località africana in cui l'assassino fumava delle erbe oppiacee utilizzando dei pipini, faceva bagni in mare, cacciava, cuoceva, scottava ed essiccava la sua pelle al sole e correva sui cammelli con Villa il nano, Timtomballo Necropoli e due ragazzi di Bologna, venuti per svernare e che avevano portato in omaggio un carrè di mortadella squadrato a forma minuscola di Chiesa di San Petronio.
Il taxista Pinzini Contini portò sul suo taxi dei tennisti a un circolo di Ferrara dove si disputavano partite di tennis in notturna su dei campi in terra battuta rossa con vergati in polvere bianca o blu o arancione i marchi della Coca Cola, del Campari e dell'Aperol.
Il taxista chiese dell'assassino a un giocatore molto peloso e aitante, con una racchetta di legno smaltata di crema di vernice color malaga, con effigiato un leopardo incoronato e poi laccata di resina d'oro, e il tennista morettone raccontò che in Africa l'assassino da attivo nel sesso qual'era sempre stato aveva cambiato gusti e si faceva inculare da drudi.
Dirò che l'assassino una notte fece una toccata e fuga al club. Era abbronzato come un marocchino con i tratti del viso tirati dall'intervento plastico e vestito con una giacca e pantaloni colore del pompelmo con dei pirana imbalsamati per bottoni.
Era la notte dopo il palio di Ferrara dove Villa il nano aveva seguito la corsa delle asine quando, nella folla di Piazza Ariostea dove si teneva l'agone, gli sembrò di aver scorto l'assassino al quale poi un barista del circolo aveva preparato, mescolando caramello, caffeina, cocaina, e limone una Coca Cola, gasandola, poi con il sifone e questi sorseggiandola seguì il singolo di tennis tra due soci sotto l'illuminazione elettrica di un campo all'aperto.
Sullo stesso taxi di Pinzini Contini fuggì l'assassino e al conducente parlava di certe inculate con neri e diceva che aveva una membrana plastificata alle pareti del deretano per non farsi accusare dal tribunale delle analisi omosessuali e che un africano con un fucile a forma di scrofa sparava vibratori nel suo sedere, in questo modo l'assassino godeva e non poteva più far senza di quell'amante.
Villa il nano, molti anni dopo, si fermò a mangiare nel ristorante di Volano, già citato, davanti al quale volavano zanzare e sgocciolavano dai pungiglioni sangue e le anguille uscivano e saltavano dagli acquitrini mettendo in scena un balletto da atlete del nuoto sincronizzato.
Nel locale il nano parlò con una vecchia signora detta la zia (nome con cui si chiama il salame specialità nel ferrarese) la quale aveva suggerito al meraviglioso ragazzo dal viso ovale, il naso sottile, gli occhi turchi colore cieli serali arabi, e la bocca color candito, di uccidere Anguil Ludovico.
Villa il nano raccontava quando sul frontone del Duomo di Comacchio, il cui profilo nella notte era color cioccolato e la campana, una mandorla dentro al cacao aveva seguito il funerale di Ludovico.

giovedì 10 ottobre 2013

Il matrimonio







Al matrimonio di Elisabetta Farnese, in una notte di luna gonfia come una tortafritta e di cielo turchino, sfilavano carrozze di ogni tipo con sopra arcivescovi, preti e cardinali, notai e commercialisti dell'epoca, cuochi con pentoloni di brodo, zucche, maiali, veli di pasta per preparare anolini e tortelli e dischi di spumino per meringhe.
Il pittore del regno Ilario Mercanti, detto Spolverini, con calcato in testa un tubino color caco, impegnato a dipingere sul momento e sull'attimo l'evento delle nozze con una tavolozza, come una pizza napoletana sporca e farcita di colori. Villa il nano stava seduto con due soldati, angioloni bianco vestiti di pizzi a forma di chicchi di riso, chiamati Malvasione e Zabaionezaccherazzozzero, che erano le sentinelle delle nozze chiamati a difendere gli sposi dai malintenzionati, che fossero sbucati dai borghi con qualche pistola e dai proiettili a forma di gamberoni e di fossili come quelli incastrati nelle piastrelle del Duomo.
Villa il nano non stette al banchetto nuziale perché salutò tutti e, non prima di essere entrato in una latteria e aver giocato a un gioco elettronico, in cui aveva inserito una moneta gonfiolina e d'oro a forma minuscola di volto di Ranuccio Farnese, salì alla svelta sul carozzone e andò a Fontanellato, paese pieno di fontanoni zampillanti, malvasia e lambrusco, nella cui Rocca, Villa il nano era dipinto dal pittore Pip come un coiffeur pompettaio di profumi e lozioni, vestito con un camice con per bottoni dei pidocchi imbalsamati con le tibie unite a una unghia.
Le pinze per attaccarsi al capello all'interno di una barberia, splendente di specchi che ingigantiva la sua manona, con un rasoio dalla lama affilata a forma di un profilo da mendicante, dove partecipò alle nozze di un grillo e di una cavalletta vestita da valletta pittricessa e al cui banchetto era pieno di notabili di Parma tra i quali il calciatore Asprilla che, con una colombaia in testa mangiava tortelli alle erbe di campo.
Villa il nano risalutò tutti e corse nella notte in carrozza sino a Soragna dall'amante. Un nasone plurivincitore al concorso dei nasi che lo aveva lungo e a forma di pene, e dalla punta a forma di cappella. Con questi fece sesso penetrando il suo penino, microbo sessuale, nella narice e il campione del naso se lo soffiò con un fazzoletto come si fa con il raffreddore.
I due stettero davanti ad una finestra dal vetro giallo malvasia a guardare nella notte la torre di Soragna a forma di nasone bislungo.
Il soragnese dalla casa, piena di trofei vinti per il difetto di oblunguità del naso, chiese a Villa di potergli penetrare con questa cartilaginosità, allungata, il sedere, ma il nano preferì mangiare una spongata a forma di pongona, imbiancata di zucchero a velo, bevendoci dietro il liquore fermentato di zafferano.

mercoledì 9 ottobre 2013

I balloni di ortiche



In un borgo di campagna Villa il nano, credendosi il Messia, indisse una cena con dodici apostoli nani. Lì mangiarono delle fette di salmone a forma di libri di salmi, bisteccone a forma di grosse ostie, preti a forma di reverendi, pane e volpe, mammelle cotte e farce di trippa lessi con gelatina a forma di zampa di gallina, e poi minestrone, formaggio parmigianino, e una torta di sorbe, bevendo vino a volontà.
Il lambrusco rosellino delle bottiglie sturate ricopriva, fuoriuscendo, i colli dei fiasconi come gorgere fatte di bollicine spumose schiumose. I dodici apostoli erano chiamati o detti il Giarrettierona, l'Ufo, Campione Cappone, il Zibibbione, il Figo Fico, il Solepark, l'Annolino, il Nottambum Bambolone, ,l'Orticone, il Topone dai peli boccoli, il Mammone scrofone e il Fontanone dei mendichi.
Erano tutti autori di libri di vangeli maccheronici la cui copertina sembrava davvero a forma di maccherone e scrivevano per esempio: Campione cappone di gare di corsa di capponi, l'Annolino di maestà a forma di anolini giganti in muratura, e infine l'Orticone di una guerra vinta con balloni di ortiche lanciati contro i nemici, mentre la lingua adoperata era il sanscrito buffonesco.
Nella notte dopo il convivio Villa il nano e i dodici apostoli udirono degli schiamazzi. Villa e Scrofone Mammone videro i contadini del borgo lanciare con una catapulta delle balle, piene e gonfie di erbacce di ortiche, ai nemici assaltanti che cadevano a terra contorcendosi in preda a grossi pruriti. Poi il Mammone Scrofone fece vedere una chiave, gonfia come un maiale, che doveva scrofolare in una serratura gigante quanto lei per mostrare al nano Villa la sua abitazione. La descrisse con gloria dicendo che aveva mobili antichi. Il comodino del commediografo Plauto, il letto di Cristo, e la credenza bar del poeta Orazio, ma entrando c'erano solo arredi degni di uno schiavo nonostante fossero tutti meravigliosi come la tomana con il cuscino di velluto a forma di fragola rossa lampone, il letto di legno, con intagliate delle facce di lenoni, e la cucina il cui forno era una gigantesca mostellaria.
Invece al piano elevato c'era una torre a forma di Palazzo di Sparta dalla cui sommità si lanciavano bamboloni che venivano a trovare il mammone e rimanevano impauriti dalle sue coccole e dalla dolce e affettuosa tenerezza.
Era il giorno di San Vulvino dei casini e l'apostolo detto Fuga s'impiccò a un albero di fico mentre nel borgo passava un antenato latino di Mike Buongiorno, chiamato Mikus Bonusdies, che interrogava coloro che incontrava su quanti semi ci fossero in una cocomera e quanti pesci ci fossero nel mare. Così Villa il nano raccontò al quizologo di quando, per un suo miracolo, i mari avevano preso il posto del cielo e dei pesci volavano mentre gli uccelli planavano nei fondali dei pantani svuotati di acqua salina.

giovedì 3 ottobre 2013

La bibbia ai tempi dell'antelami










Il figliol prodigo, fuggendo da casa, aveva visto acini d'uva come minuscole vetrine illuminate di Amsterdam con dentro microscopiche prostitute. Una sera aveva fatto ritorno nel podere del padre e lo aveva trovato che stava banchettando sotto il portico. I servi portavano sul vassoio un maialone gonfiolone e cotto allo spiedo, il quale in quei giorni, in sua assenza, aveva dormito nel suo letto e piangendo lacrime, bagnando la cotenna, avevano lasciato impresso, a contatto con il lenzuolo, la propria impronta come fosse la sua sindone. Grugnendo aveva espresso di essere mangiato perché così sarebbe tornato il figliol. Alla vista del suo maiale morto chiamato Grugnolone il figliol prodigo pianse il padre che lo vide con una grande zazzera ordinò a uno dei convitati, il barbiere chiamato Felicesoiati, di fargli toletta e capelli sul momento. La scravatina terminò con una spolverata per mezzo di una spazzola fatta di setole grezze del maiale ucciso dai norcini, il quale in vita era un giullare buffone addomesticato nel podere. Una notte di giugno gli erano entrate nel deretano due lucciole che, arrivate fin dietro i cavi oculari, gli illuminarono gli occhi, per questo lo aveva soprannominato Lucciolo. Villa il nano raccontò al padre del figliol che nella chiesa di San Giovanni, buia per la notte ai tempi dell'Antelami, era entrata una lucciola gonfia,grassa, a forma di una scrofa, e illuminava a intermittenza le navate scure che un abate aveva chiamata Salume.










Il figliol prodigo, fuggendo da casa, aveva visto degli acini d'uva, simili a minuscole vetrine illuminate di Amsterdam, con dentro delle microscopiche prostitute. Una sera aveva fatto ritorno nel podere del padre e lo aveva trovato che stava banchettando sotto il portico.
I servi portavano sul vassoio un maialone gonfiolone e cotto allo spiedo, il quale, in quei giorni, in sua assenza, aveva dormito nel suo letto piangendo lacrime e, bagnando la cotenna, avevano lasciato impresso, a contatto con il lenzuolo, la propria impronta come fosse la sua sindone. Grugnendo aveva espresso di essere mangiato perché così sarebbe tornato il figliolo.
Alla vista del suo maiale morto chiamato Grugnolone il figliol prodigo pianse il padre che, vedendolo con una grande zazzera, ordinò a uno dei convitati, il barbiere chiamato Felicesoiati, di fargli toeletta e capelli sul momento.
La scravatina terminò con una spolverata per mezzo di una spazzola fatta di setole grezze del maiale ucciso dai norcini, il quale in vita era stato un giullare buffone addomesticato nel podere.
Una notte di giugno gli erano entrate nel deretano due lucciole che, arrivate fin dietro ai cavi oculari, gli illuminarono gli occhi, e per questo motivo lo avevano soprannominato Lucciolo.
Villa il nano raccontò al padre del figliol che nella chiesa di San Giovanni, buia per la notte ai tempi dell'Antelami, era entrata una lucciola gonfia e grassa, a forma di una scrofa, e illuminava a intermittenza le navate scure che un abate aveva chiamata Salume.