Villa
il nano dopo avere trascorso la mattinata e l'intero pomeriggio al lavoro come
aiuto coiffeur da Baffici Barboboli, padrone della toeletteria di Via Farini,
la sera faceva il lavatore di turche in stazione, mentre la notte faceva
marchette insieme ai prostituti Timpalonio, Trotatroia e Cembaloni i quali si
davano il rossetto sulle labbra e portavano parrucche alla Maria Luigia.
Con
questi Villa il nano saliva sul taxi - tre in un'ora - guidati da taxisti
chiamati Armegiano Crosta, Rezanaticula Anacaseo e Mario Luigio, e girava
avanti ed indietro per la città, nei borghi dai palazzi marroncini, imbiancati
di cacarelle dei piccioni e infine si fermavano alla trattoria "Corale
Verdi", gestita dal trattore chiamato Scapino Scappini che pagava due
camerieri, girovaganti tra i tavoli, chiamati Pranso Pramzan, ilare e
dialettale, e Sbrisolone il Rettore rugoso, brutto ma buono come la torta
sbrisolona.
Alcune volte Villa il nano andava ad assistere all'opera al teatro Regio
e una volta era stato persino inseguito, in uno dei corridoi del loggione, dal
Conte napoletano Antonio De Curtis detto Totò, che a sua volta era inseguito da
un gorilla dai peli color rosso pommarola arrotolati, a forma di fusilli e
spaghetti, con calcata in testa una tuba a forma di maccherone gigante.
I due marocchini
Era
ancora notte quando suonarono al campanello della chiesa di San Vitalino due
marocchini color caffellatte, dai piedi a forma di brioche con delle dita a
forma di minuscoli bomboloni, i quali venivano da Schia e Pratospilla, località
della neve e delle piste da sci. Con sé avevano dei sacchi pieni di burro-cacao
e Fra Anolone gliene comprò uno.
Tutt'a
un tratto, quest'ultimo, vide comparire nel gelo della notte i due marocchini e
per burlarsi di loro il frate li pagò con uno spray di lacca per capelli,
asserendo che conteneva dell'oro, cosicché i due neri rimbamba iniziarono a
chimicare il sifone per dividere le sostanze, ma rimediarono dei grandi spruzzi
accecanti sugli occhi. Così più furbamente, tastando gli effetti del flacone,
si diressero dentro la chiesa di san Pietro e lo spruzzarono in faccia al prete
chiamato don Acidio Aceto, in questo modo rubarono tutte le monetine dei banchi
di candele e nella chiesa arrivarono Villa il nano e il don chiamato Salameblu
ai quali, don Acidio, diceva che due parrucchieri o due pittoruncoli alla
Laccabue Antonio, con un coso lo avevano accecato e rubato tutto.
Don
Salameblu, don Acidio, Fra Anolone dal cilicio con nodi di corda a forma di
anolini alla cintola e Villa il nano, per consolarsi, entrarono nel bar San
Pietro dove videro il direttore d'orchestra Toscanini il quale, seduto ad un
tavolino, stava fumando un toscano a forma di una sua bacchetta che muoveva
nell'aria come per dirigere dei musici.
Villa il nano e i tre preti rividero i due ladruncoli nella calca per la
corsa del Palio delle Giraffe, svoltosi in un percorso delle vie cittadine da
un palazzo al cui interno la culturista detta la Pinzimonia aveva intinto
l'alluce in un'anfora piena di unguento. Anni prima dagli addominali scolpiti
nella carne dei bassorilievi della deposizione dell'Antelami si era sviluppato,
gonfiato e a crescita ultimata, staccato dalla pancia, il signorino bambino
Gesù e la Pinzimonia avevano chiamato il figlio Proscrofeta che era in loro
compagnia a seguire la corsa.
I promessi sposi
Villa
il nano dormendo in una chiesa sognò dei fatti orridi e terrorizzanti, più
precisamente di essere Tramaglietta Inter in un libro dei Promessi sposi
riscritto dall'amico poeta Jimenez e il nano cercava la sua futura sposa, la
nana Lucicognola, che dei bravacci dai capelli tinti color banana con un
ciuffone all'umbolabertola avevano rinchiuso in un baule poi buttato nella
profondità del lago di Como blu, dove era riuscita a uscire e riemergere dal fondo
come una bollicina di acqua minerale che sale in una bottiglia.
Villa
il nano e la Lucicognola si erano dati appuntamento nello stadio di San Siro
illuminato di mille luci, poi erano fuggiti da Milano su un taxi il cui
taxista, baùscia, possedeva dei guanti di cotone gialli, impanati come
cotolette alla milanese, e questi schiacciando un pulsante aveva fatto uscire
dal cruscotto un braccio robot di un cameriere che aveva svitato il tappo alla
bottiglia dell'amaro della Milano di notte: il Ramazzotti, e poi lo aveva
versato automaticamente nel bicchiere a Villa il nano.
Il
taxista raccontava burle che facevano sgargnaplare Villa il nano, tipo il
soggiorno di Cavour nel lussuoso e sontuoso albergo "Grissinorina" a
Torino, di fianco al quale era sita una ditta di gianduiotti dove le caldaie
cuocevano la gianduia che le macchine colavano in appositi stampini.
I lingottini d'oro e il rumore dei pentoloni, accesi e bollenti, che
producevano la merda dolce e saporita del toro, simbolo della balzana della
città, impedivano al conte Camillo Benso di dormire. Qualche giorno prima
l'albergatore, chiamato Gianni Duia, era stato ammazzato da brigantucci del
Cialento tra i quali c'era quello chiamato Caciodiavolapuzzolona. In una
sparatoria con le guardie sabaude il brigante era rimasto illeso perché delle
caciotte stagionate, perciò durissime come una giacca antiproiettile, avevano
fatto rimbalzare le pallottole sparate dalle pistole del regno piemontese.
La ponga musica
Nella
torre nana adibita a scopate, in quel di Baganzola, Villa il nano aveva un
carrellino porta bottiglie di amari che offriva ai vari clienti di sesso
chiamati Gatti, Purèfecola, Del Donghi, Chiavoni, Fagiolotti, Serpipenti, Fane,
Ranzani, Rambambino detto il culone culino dello Sperma, Flauto Flautolenza,
Augurio Angurio, Peninetto Cazziolo e Pensierosi che, dopo le scopate, teneva
uno spettacolino di burattini, a forma di farmacisti, che li anestetizzava
iniettando un calmante con una siringa tenuta tra le manine di legno e questi
dormivano fino alla mattina.
Dio
dal lontanissimo e immenso regno dei cieli vedeva piccoli, piccoli i clienti
arrivare in macchina con Villa il nano alla torre, e il nano vi portava in quel
luogo anche dei culturisti dalle schiene di muscoli a forma di fossili
scanalati dello Stirone.
Il
vecchio Panzola era così chiamato dal panzone e per le dimensioni del corpo
ciclotroniche. Quando Villa il nano li scopava andava a urlare davanti alla
torre sgridandolo e con il vecchio per rabbonirselo Villa il nano e l'ospite
uscivano e andavano nella notte al bar "La Cicogna", in centro a
Baganzola a bere qualche amaro giallino o verdino o rossino.
I
clienti del sesso al prostituto detto "La Melanzana alla Parmigiana”
preferivano sempre Rosario Villa che con un vibratore a forma di lunghissima
sigaretta stimolava loro gli ani.
L'avventura
di quelle notti era pressappoco così: Villa il nano saliva sulla loro
automobile, si faceva portare a Baganzola sino alla trattoria "L'Uccello
Poiana", che a lui piaceva moltissimo perché a una parete era appeso un
quadretto naif raffigurante un goal di Brugno Mora, il calciatore del Parma con
indosso la maglia crociata. Un giorno era anche successo che nel dipinto Villa
il nano si era riconosciuto pitturato minuscolo nella folla sulla gradinata.
Nella
trattoria, avidi, mangiavano tortelli alla capra e al pecorino, infine il nano
conduceva il suo cliente nella torre adibita a garçonnière, dal camino dal
marmo di colonnata, località dell'omonimo lardo, e poi lo inculava o si faceva
inculare sul letto a forma di cicogna.
Dopo la morte di Verdi nel 1902 nella garçonnière della torre di Rosario
Villa il nano una ponga musica addomesticata, chiamata Spongata, color zucchero
a velo del dolce natalizio, da cui prendeva il soprannome, veniva a suonare su
una spinetta minuscola le arie delle opere di Verdi, e poi pigiava i tasti
dell'organetto mignon con le zampe rosate come se bussasse a degli usci del
paese di Busseto, con guanti di seta, allo stesso modo con cui Verdi toccava le
note del pianoforte, e Villa il nano e i suoi clienti, tra i quali il nano
chiamato Stronzio Scoreggeradioattive, Magatto Maialefici, e Febbraiocola
Febbretto, applaudivano fumando pipe a forma di fagiani.
I venditori di muschio
Parmenio
Caffebarboni poeta e Antoine Pecorile pittore vendevano muschio in gran
abbondanza a Don Melevo che lo metteva nel presepio della sua chiesa. I due
artisti lo asportavano tra i porfidi di Piazzale Barbieri a cui potevano
accedere perché un custode, chiamato Bastardio, durante la notte apriva loro le
porte della città e sempre a notte fonda passavano davanti a una fortezza, dal
bersò di mimosa, dove abitava una ragazza dai polpacci grossi come cocomeri,
solcati dai muscoli gemelli, e vedevano voli di pipistrelli e un giorno persino
scorsero una civetta simile a una bambola che voleva catturare un topolino, ma
atterrando dall'albero venne squartata da un ratto.
Lo spazzacamino
Villa
il nano raccontava che da viandante errabondo, alla metà dell'ottocento, nel
Cilento, causa una grandinata estiva, aveva trovato rifugio sotto una quercia
secolare dove tre briganti, certi Mammafa, Granatino Limonio e Carafa, dai
piedi scalzi e calluti e con pistoloni a forma di elefanti mosche, stavano
mangiando degli spicchi di caci e con le palline della grandine, caduta oltre
la chioma dell'albero che era a forma di zampone di scimmione, preparandosi una
granatina ci versarono sopra dello sciroppo alla mentuccia.
Da
un sacco tolsero tre pupi siciliani, rubati ad un burattinaio, artista di
strada al quale avevano sottratto anche delle monetine guadagnate dagli
spettacolini ambulanti, e con queste marionette meridionali, a forma l'una di
regnante borbonico, l'altra di Garibaldi e ancora di barbiere, copiavano lo
sketch del loro marionettaio che vedeva Garibaldi esortare il coiffeur a tagliare
la barba al borbonico che a sua volta, colpito da sforbiciate, esclamava perché
non se la tagliasse Peppino.
La
località dove era sita la quercia era vicino a Teano dove Villa il nano, nelle
selve, vide incontrarsi e stringersi la mano l'eroe dei due mondi e il re
Vittorio Emanuele, entrambi in sella a due cavalli e imbizzarrito quello del
Sabaudo.
Capitò
a Villa il nano di vedere sui muri della chiesa dell'Annunziata una gara tra
due lumache giganti, una a forma di culatello e l'altra a forma di prosciutto,
che lasciavano schiuma di bava sui mattoni come due yacht spuma di onda nel
mare.
Un
giorno di giugno con il sole albino era andato sul terrazzo del chiosco-bar del
giardino pubblico con lo scrittore Proust a bere uno sciroppo di ciliegia, marca
"incudine dei Fabbri" e i raggi bianchi del sole era grossi e spessi
come quelli di un proiettore del cinema e al riflesso dei quali brillavano le
libellule. I due quella notte avevano dormito in un dependance di una
macelleria da pesto di cavallo, sita nei borghi dell'Oltretorrente, sopra un
letto a forma di cavallo gigante, stando sulla groppa, e con il deretano
sostenuto da piedi di legno a forma di zampe equine, mentre lontano sentivano
gli applausi e le risate dei bambini che provenivano dal teatrino dove si
svolgeva lo spettacolino dei burattini dei Ferrari e Sauro, il cavallaro dai
dentoni lunghi come uno stallone e nano come un pony, aveva trovare un quaderno
di poesie del bambino poeta Bertolucci sul comodino con due bicchieri d'acqua e
pastiglie vanesie alla valeriana.
Nella notte usciti nei borghi a fumare qualche sigaretta e, incontrato
uno spazzacamino, che con una granatina andava a spazzolare il camino del don
chiamato Bercalicionano, entrarono dal camino nella stanza del sonno del
reverendo e parlarono con il prete che anni dopo, nel 1980, prima di spirare
sputacchiando anolini in ospedale insieme a qualche suo dente marcio, urlava a
Villa il nano, giunto al suo capezzale, che l'Italia l'avevano fatto Agnelli
della Fiat, il ciclista Coppi, il cantante Modugno, Mike Buongiorno il
presentatore e qualche altro poetuncolo.
La penna
Villa
il nano era amico di un nano chiamato Novembrio Scrofo, una sorta di bambino
somigliante a un porco mostruoso gonfio, grasso e sbodenfio, con cui correva
per le strade della Bassa nelle notti nebbiose sulla automobile guidato dal
taxista chiamato Messissia il quale, per mezzo di un pulsante, scapsulava un
vassoio con su una torta alla mousse di fragola sulla quale il mastro
pasticcere, per mezzo del sapore, aveva emulato con della crema rosa le
sculture del bassorilievo dell'Antelami sistemate nel Duomo di Parma, in marmo
rosa di Verona, dello stesso colore di quel dolciume. I due sgargnaplavano e
ridevano come matti perché tra Sissa e Zibello c'erano delle maestà illuminate,
di luce color, croco in cui posavano come messia buddhani grassi maialoni.
Per
le vacanze di Natale Villa il nano offriva dei viaggi in taxi, in sua
compagnia, ai nani chiamati Gratugianasi e Pollo di muffa del Duomo. Il taxista
chiamato Parfum aveva una sportina della spesa donatagli da un erbivendolo dal
quale aveva comprato melanzane, a forma di polpacci di Marialuigia, da cucinare
alla parmigiana con il pomodoro e la mozzarella.
Una
mattina di quei giorni, con Antoine Pecorile, pittore naif, Villa il nano scese
dal taxi in piazza Garibaldi, scaldata da un sole pacchiano, provinciale e
paesano, e si sedette a un tavolino di un bar dal nome omonimo della piazza,
poi passò l'intero pomeriggio a fare dello shopping per il proprio corredo da
puttano comprandosi palandrane di pelo di capretto e mutandoni pizzerrillati,
con il buco davanti e dietro, per scopare senza smutandarsi. La notte era a
bazzicare sui marciapiedi di marmo, color gorgonzola, perché con le striature
verdine, tipiche di questo formaggio, con altri prostituti tra i quali quello
detto Sigarettacazzioturchia.
Percorrendo
il lungoparma più volte, seduto nel taxi, aveva visto camminare nel greto del
torrente tre barboni detti il Cigno Mascalzone, con la barba color cigno
bianco, il Caprone e il Barbonio che fumava una pipa di terra cotta, Villa il
nano raccontava a Parfum, il taxista, fatti assurdi come quando aveva
partecipato a un banchetto a base di pinzimonio, il cui olio per intingervi le
verdure si versava da una oliera a forma di piede femmineo da culturista, dal
cui alluce usciva lo zampillo, oppure quando in tempo di guerra a lui e mio
nonno avevano regalato un bambolotto, con le fattezze di Hitler, dai fatidici
baffetti quadrati che, se azionato, poteva distruggere un intero paese, così lo
avevano occultato nelle acque del Taro disinnescandolo.
Insieme al taxista chiamato Lattanzi Villa il nano girava negli anni
ottanta per Vigatto, vico abitato da moltissimi micioni e, lì passando, mentre
si aspirava una sigaretta, questa sapeva di feci di gatto. Sceso in piazza
Garibaldi vide dentro la vetrina del negozio 173bis, dove ragazzine graziose
"sfittizie" e paninare compravano oggettini vari, una penna marca
Pussicat dai pennini multipli che si potevano utilizzare singolarmente schiacciando
una delle diverse plics del colore dell'inchiostro, rispettivamente agli agrumi
e alla fragola, dei quali avevano anche il profumo, che comprò il giorno dopo
non dormendo la notte tanto lo sgolosava e con quel modello di stilo la
ragazzina Elois aveva scritto tutti i temi alle medie, alla scuola Pascoli, che
Villa il nano entrato furtivamente nella notte nell'istituto con suora
Lacialdila aveva letto tutti.
il drogato
Quando
Pasolini fu spatassato dai pneumatici della sua Alfetta, guidata dall'assassino
Pino Pelosi, e piena di modelli di piedi nudi maschili appartenenti a manichini
di plastica, il giorno dopo fu riconosciuto dagli inquirenti e dall'amico
Ninetto Davoli per un dente molare d'oro, a forma minuscola di falce e
martello, e Villa il nano, che il poeta aveva soprannominato l'Uccellino e la
Mammola di Dio.
Verso
l'ora dell'assassinio era nelle vicinanze dell'Idroscalo e sentì le sirene
della polizia con la voce disperata dell'amica Susanna, la madre dello
scrittore, che solitamente apriva il gorgoglio d'acqua del bidè per lavargli il
pene dalla sporcizia degli ani che scopava andando in quel luogo di notte.
Villa il nano da una cabina telefonica di un bagno balneare di Ostia
Lido, chiamato l'Erculosseo, telefonò nella notte con un telefono a forma di
carciofo alla comunità chiamata l'Ago di pino, piena di siringhe infette e
profumata di lisoformio, precisamente a don Caciotti, il quale arrivò con un
infermiera, addetta alla riabilitazione dei drogati tra i quali l'omicida detta
Eroina la Gladiatrice, in compagnia del drogato deficentoide detto Abba
l'Abbacchio e il cuoco della mensa del centro tossicodipendenti chiamato
Pignatta. Ritornando in centro nell'Urbe di Roma, sotto una luna più
friccicarella, di una stella, Villa il nano, incontrando Raffaella Carrà e
l'amante Japino che uscivano a notte fonda da un ristorante, urlò che era morto
Pasolini e i due esclamarono: "chi Paolo?".
I Cani bastardini
Come
ospite del cardinale chiamato Tombolino, nella sua villa sulla Via Appia, Villa
il nano dormendo nella casa sognò Roma in rovina dai palazzi e monumenti sparsi
come ruine e il Colosseo come un dente gigantesco e cariato, e di essere nel
settecento in un ristorante sotterraneo chiamato il Carciufo in compagnia di un
barbiere detto il Carciuffo e del pittore ruinista Panini, intenti a mangiare
l'abbacchio alla saffo, con erbe femministe ed oppiacee che se mangiate da
donne le stimolavano a far l'amore con persone del proprio sesso.
Nel locale c'era un fontanone zampillante Frascati, dove i clienti
potevano andarsi a riempire il bicchiere di tale vino, e il cuoco panzone
discorreva con i clienti seduti ai tavoli dentro a dei grossi loculi di ciascun
catacomba. A loro nominava le erbe lesbichina e saffincula profumate al
rosmarino misto alla camomilla con cui cucinava l'irco. A un tavolo erano
sedute una ballerina lesbica, dal nasone lunghissimo da pinocchia con larghe
narici, somigliante a un pene, calva, dai bicipiti nodosi e collane cavigliere,
chiamata Suspiriarnaldesia Ponteficata, e una ragazzina dai capelli arrotolati
a forma di fettuccine la quale, con scarpe a forma di libri, faceva il piedino
alla danzatrice d'Etoile, vestita di un velo trasparente in cui si vedevano dei
piccoli seni flaccidi e con alle dita delle mani anelli a forma di volti
minuscoli di poetesse e scrittrici omosessuali quali: Saffo, Aleramo, Woolfe e
De Beavoir. Nella notte a Roma, città illuminata da carciofi incandescenti come
torce, in un percorso cittadino c'era una gara di corsa di cani bastardini,
vestiti da cardinali con abiti rosso porpora, organizzata dalla Città del
Vaticano. Villa il nano sognava di essere in compagnia del pittore Panini a un
lato di una strada fra una folla di curiosi a seguire i cani bastardi correre e
lì vide, mano nella mano, la donna e la ragazzina allontanarsi e perdersi per
sempre entrando in una casa a forma di caprone gigantesco, in vicolo Sisto
Sesso, e sentì i risolini della ragazza-angelo sui discorsi della donna calva
che raccontava in un balletto di aver sollevato più volte il ballerino. Alla
corsa dei cani vinse quello detto Mammola Bastardillo, il cui allevatore era
uno del Pincio chiamato Canilio dei Michelangeli, poi Villa il nano si svegliò.
Il topo-pipistrello
Un
giorno iniziarono le peregrinazioni di Antoine Pecorile, Parmenio Caffebarboni
e Villa il nano in giro nei paesi del parmense e così arrivarono a Zibello,
paese il cui nome derivava dal termine gibbetto perché con una gobba di terra
su cui era edificato la ricamata reggia dei Pallavicino, ovvero come una specie
di culatello appeso con le corde alla cantina di Dio, sul cui salume erano
state costruite le mura del paese. Seguirono nelle calca della piazzetta la
corsa del Palio delle Scrofe vinto dalla maiala chiamata Magnaghianda, montata
dal fantino detto Colaticcicciolo. Passarono la notte dei festeggiamenti in una
trattoria del paese mangiando culatello e bevendo lambrusco insieme a un prete
di Zibello chiamato Lombo Maialonza.
Nella
notte ripartirono per un altro paese e giunsero nelle campagne di Fontanellato
dove pernottarono dalla mezzadra chiamata Arambellaramba, donna muscolosissima.
Nel buio della notte, prima che facesse l'alba, giunsero nella piazzetta della
Rocca di Fontanellato e Villa il nano pipava. I tre incontrarono il nano
Cullolucullio che, vedendo volare un topo con ali a forma di tortelli neri,
esclamò: "Vè Jovannathan Livingsthon" e spiegò che il papà topo,
sognando la libertà del figlio, si era arrampicato su un cornicione e aveva
fornicato con una pipistrella generando con le alette quello.
Il mastrolindo
Una
sera degli anni sessanta Villa il nano era a Milàn in un palazzone di un
quartiere dormitorio per mangiare della pastasciutta, con l'oro rosso di
Napoli, dalla famiglia di immigrati chiamata Merdionali essendo andato a
trovare l'amico Molisio. Dopo la cena la mamma di quest'ultimo puliva i piatti
nella cucina linda ma sciatta con il Mastrolindo, flacone con sull'etichetta un
Rambo pelato dalla testa calva e lucida che simboleggiava la forza pulente del
detersivo. Poi venne buio e dal capannone si vedeva lo stadio di San Siro a
forma di panettone.
Nella notte Merdionali portò Villa il nano al bar Ramilanozzotti dove
incontrarono i giocatori dell'Inter Facchetti e Suarez, nel mentre, la radio
del bar trasmetteva una canzone di Celentano. Infine presero un tram con su la
pubblicità dell'amaro Ramazzotti il quale a una fermata in piazza Duomo si
fermò davanti all'abitazione dove, nel lontano ottocento, il poeta Rimbaud
aveva pernottato da una vecchia e poi il terrone, vestito di una maglietta lisa
con tante macchie di pomodoro e Villa il nano ritornavano nel quartiere vicino
allo Stadio San Siro con all'orizzonte, sui palazzoni obbrobriosi di cemento,
la bella Madonnina che brillava da lontano.
I baffi di Salvator Dalì
In
una notte del 1923, con il poeta surrealista e francese Desnos, Villa il nano
era riuscito a entrare furtivamente in un noto liceo di Parma intenzionato a
leggere i temi di una certa Francesca Acquasanvitale che, su tre facce di ogni
foglio protocollo, raccontava le sue avventure saffiche con le proprie
fidanzate culturiste, profumiere e compagne di classe.
La
ragazza, carina, graziosa e con gli occhi simili a due gocce gonfie e blu di
inchiostro, frequentava un bar incastrato nei borghi di Parma dove anche il
nano si dava appuntamento con il poeta, dal cappello a forma di flipper
surreale, per leggere i suoi ossimori bevendo un espresso.
In un tardo pomeriggio serale Villa il nano, come fine e compimento
della storia, scoprirono in una finestra del convento Santorsola che la
Francesca si era fatta suora e ricordavano così le palestrate gonfissime di
muscoli, le profumiere graziose che le vendevano come creme di defecazioni
profumate di coccodrilli perché questi caimani si cibavano di fiori dolci
all'olfatto, compagne di classe con cui si scambiava le mutande e il perizoma,
alle quali dava un bacino ricambiato all'unisono da queste. A Parigi il nano e
il poeta frequentavano un caffè letterario dove bevevano una limonata, marca
Brunettolimonsodomita e una sera, tornando dal bar in albergo su un taxi,
entravano nell'hotel da una porta girevole nella quale, una volta, Villa il
nano aveva schiacciato i baffi lunghi come antenne per mettersi in contatto con
l'aldilà col pittore Dalì, il Dio del surrealismo, che stava lì a soggiornare.
Il bosco di Fragole
In
una abitazione immersa nei boschi di fragole dormivano, sopra un lettone
matrimoniale, il nano chiamato Fragolaingord e un lupo dalla cuffietta da
nonna, calcata sulla testa, e dai denti canini sporgenti come due zanne dalle
fauci. I nani chiamati Papagorgialarda e Villa, in giro nella notte, bussarono
alla porta della casa e il lupo chiese con la vocina flebile chi fossero. Ai
due presentatisi fu aperto e offerto delle fraberry of ice cream. La mattina
seguente si divertirono ad andare in altalena e a Fragolaingord là dove si era
tolta la scarpina a forma di fragolina rosa.
Il fagiolone gigantesco
Che
bello raccontare la fine degli anni novanta quando Villa il nano arrivò su un
pullman del Milan calcio, rosso e nero fiammante, dal il gagliardetto stampato
con disegnato sopra il diavolo Milanefistofile, in un casolare dove c'era un
banchetto-maialata e a mangiare maiale c'erano Gullit, l'olandese con le
treccioline a forma di tulipani, e il paron Berlusconi che aveva lanciato
dall'elicottero su San Siro, nella curva degli ultras, migliaia di pacchetti
gratuiti di sigarette. Nelle camere del casolare, finita l'abbuffata di piedini
e costine di maiale, Villa il nano aveva inculato l'intera formazione del Milan
e marescialli, più stupidi della merda dei carabinieri, giunti lì avevano
analizzato gli ani dei giocatori ed infine avevano arrestato e inquisito il
nano Villa che era stato ascoltato in commissariato e rilasciato dopo molte ore
di interrogatorio in cui aveva raccontato che aveva molto goduto del culeador
Maldera, vecchia gloria della squadra.
Villa
il nano per giunta si era chiuso in una stanza e aveva fatto sesso anche con il
cameriere del katering della maialata chiamato Parsùt Melòn, dai boccoloni
color melone, e lo jabot della camicia rosata a forma di fette di prosciutto.
Esauriti
i goldoni con cui aveva fatto sesso con un israeliano tifoso del Milan, che si
chiamava Ficuccumerdu delle Cuccuredde Merdure e al nano Merdacciconia, Villa
il nano salì in macchina, dalla carrozzeria a forma di pulcinone gigante d'oca,
e andò nel centro di Sissa, nella farmacia del dottor Pillolon, a comprare
altri profilattici, tornando un bel po' di tempo dopo nel casolare perché si
era fermato a farsi sganciare un pacchetto da un distributore di sigarette, fece
irruzione in una delle stanze e rifece sesso con il sommelier Er Colino
Vinassanto, il quale divideva la stanza con un piacentino detto il Pisciarel
che soleva girare nelle vie di Piacenza in compagnia del pittore Panini, dagli
alamari della camicia a forma di calamari, su un carro carnevalesco che
trasportava un fagiolone gigante come una torre campanaria di una delle chiese
della città. Il faso doveva scoppiare emettendo una grossa scoreggia
ariofagitica e ritornando all'orgia Villa il nano scopò anche il vecchio
chiamato Goleada dalla barbetta gonfia e bombata a forma di minuscolo stadio
Tardini, al quale andava a seguire da grande tifoso il Parma Calcio.
Nel lettone di una stanza del casolare dormiva un porcetto nano detto il
Vermesalamemicettodelsalumefelino che, sudando per il caldo torrido della notte
estiva, aveva lasciato una impronta sul lenzuolo come una sindone e i don
chiamati Lambruscoldo Stappon e Travo Crunadellago, seduti alla tavolata sotto
il portico, bevecchiavano i resti del vino mentre alcuni camerieri del
katering, pagati dal ristorante chiamatola Porcellona per il quale servivano,
sparecchiavano.
Topo Gigio
Dopo
i tanti paesini visitati sul taxi color violetta guidato da una cavia di Pavia
gigante, addomesticata, fiabesca e ghiotta di Grana Padano Pecorile,
Caffebarboni e Villa il nano arrivarono in Via Vittorio Emanuele in occasione
della ricorrenza del referendum monarchia e repubblica, mentre dei giovani
monarchi lanciavano biscotti savoiardi a forma dei volti bislunghi dei regnanti
sabaudi. Sulla via, in un fermento cittadino che aspettava il responso delle
votazioni per esortare il governo a stare con la monarchia, Villa il nano
passeggiava tra la folla fumando sigarette, marca regine umbertine, e abbandonò
per qualche ora i due amici per raggiungere il frocio chiamato Fascisti. Sul
letto della canonica della chiesa di Sant'Antonio lo accarezzava, lo pettinava
e lo baciava come un omosessuale mentre fuori si sentiva un gran vociare e
c'era un gran trambusto.
A
notte fonda passò un carro allegorico che raffigurava il pupazzo del re
impiccato e un grosso pube infiocchettato, simboli della sconfitta della
monarchia e della vittoria della repubblica. I nostri tre risalirono sul taxi
guidato dalla cavia bianca per intraprendere dei nuovi viaggi nei paesi del
parmense Infine giunsero a Torre Chiara dove, al Castello, li attendeva un
moscone a forma di diavolo con la proboscide a forma del suo nasone, i baffetti
a spillo, le zampe sporche di vergogne di levrieri e la peluria rossa e nera
dai colori metallizzati come di tafano, il quale aprendo una porta di un
maschio li fece dormire. Non prima che il proprietario del castello, uno di
Langhirano detto L'Ombo l'An Ghiro Dormiente Ano di Maiale, facesse vedere le
cantine con appesi salami a forma di serpenti o vermi giganti a sua volta di gatti
sottili e bislunghi in cui i fantasmi dei poeti Rimbaud e Verlaine, anch'essi
in viaggio per i castelli del parmense, se ne tagliavano a fette uno e se le
mangiavano ed era sorprendente vedere questi due spiriti bianchi che fumavano
due pipe, una olandese l'altra francese, sostenute da una alone bianco
all'altezza della bocca dentro il quale spariva nel nonnulla il salame come
fosse liquefatto e digerito da una digestione da fantasmi.
Nel sotterraneo, tutte le notti, il diacono della cappella del castello,
religioso chiamato Feudio faceva correre gare di corsa a toponi per i vari
rioni. Quello detto del Malvasionde, la cui contrada nemica era il casato del
Mare di Lambrusco, e quello della Pantera Violetta dell'Apocalisse, la cui
opposta antagonista era la Pongona Maschiona, a letto i nostri sentirono la
folata con annesso raspamento delle zampe dei topi all'ultimo dei quali un
barbiere del castello detto Forforabucodelculo tagliava con una forbice la
coda.
La malvasia
Dopo
i tanti paesini visitati sul taxi color violetta guidato da una cavia di Pavia
gigante, addomesticata, fiabesca e ghiotta di Grana Padano Pecorile,
Caffebarboni e Villa il nano arrivarono in Via Vittorio Emanuele in occasione
della ricorrenza del referendum monarchia e repubblica, mentre dei giovani
monarchi lanciavano biscotti savoiardi a forma dei volti bislunghi dei regnanti
sabaudi. Sulla via, in un fermento cittadino che aspettava il responso delle
votazioni per esortare il governo a stare con la monarchia, Villa il nano
passeggiava tra la folla fumando sigarette, marca regine umbertine, e abbandonò
per qualche ora i due amici per raggiungere il frocio chiamato Fascisti. Sul
letto della canonica della chiesa di Sant'Antonio lo accarezzava, lo pettinava
e lo baciava come un omosessuale mentre fuori si sentiva un gran vociare e
c'era un gran trambusto.
A
notte fonda passò un carro allegorico che raffigurava il pupazzo del re
impiccato e un grosso pube infiocchettato, simboli della sconfitta della
monarchia e della vittoria della repubblica. I nostri tre risalirono sul taxi
guidato dalla cavia bianca per intraprendere dei nuovi viaggi nei paesi del
parmense Infine giunsero a Torre Chiara dove, al Castello, li attendeva un
moscone a forma di diavolo con la proboscide a forma del suo nasone, i baffetti
a spillo, le zampe sporche di vergogne di levrieri e la peluria rossa e nera
dai colori metallizzati come di tafano, il quale aprendo una porta di un
maschio li fece dormire. Non prima che il proprietario del castello, uno di
Langhirano detto L'Ombo l'An Ghiro Dormiente Ano di Maiale, facesse vedere le
cantine con appesi salami a forma di serpenti o vermi giganti a sua volta di gatti
sottili e bislunghi in cui i fantasmi dei poeti Rimbaud e Verlaine, anch'essi
in viaggio per i castelli del parmense, se ne tagliavano a fette uno e se le
mangiavano ed era sorprendente vedere questi due spiriti bianchi che fumavano
due pipe, una olandese l'altra francese, sostenute da una alone bianco
all'altezza della bocca dentro il quale spariva nel nonnulla il salame come
fosse liquefatto e digerito da una digestione da fantasmi.
Nel sotterraneo, tutte le notti, il diacono della cappella del castello,
religioso chiamato Feudio faceva correre gare di corsa a toponi per i vari
rioni. Quello detto del Malvasionde, la cui contrada nemica era il casato del
Mare di Lambrusco, e quello della Pantera Violetta dell'Apocalisse, la cui
opposta antagonista era la Pongona Maschiona, a letto i nostri sentirono la
folata con annesso raspamento delle zampe dei topi all'ultimo dei quali un
barbiere del castello detto Forforabucodelculo tagliava con una forbice la
coda.
Il risotto al tartufo
In
un antro con un buco sottoterra adibito a ovile e perciò pieno di pecore in cui
un orco più peloso di un cinghiale ogni giorno ne sceglieva una da rosolare
sullo spiedo del suo camino, il nano e piccolissimo chiamato Pollicilino, lì
dentro sequestrato, fu sbattuto nel buco che sorprendentemente aveva una uscita
sotterranea e arrivava fin dentro al Duomo di Orvieto dal reverendo chiamato
don Orvietasega.
Le
sculture del frontone della chiesa rappresentavano suore nude dai seni piccoli,
sottili e bislunghi a forma di peni. Pollicilino facendo autostop con il
pollicino a forma di minuscolissimo e gonfiolino pollo salì sulla macchina
guidata da Villa il nano su cui viaggiava anche un altro passeggero, un
archepopologo che chimicava la merda antica per datarne l'età in una fogna, forse
etrusca, rinvenuta vicino alla città. Erano diretti a un convento di Gubbio
dove sarebbero stati ospitati da suor Dubbio che preparò loro una specialità
del loco, un ottimo risotto con gli ufo mostruosi e neri che nascono per opera
della luna sotto terra, chiamati scorzoni. Con loro a mangiare c'era una suora
senese, chiamata Mangiona, abile a raccontare che per fare la pista in piazza
del campo si metteva il tufo, sorta di terra extraterrestre sul quale si
correva il palio di Siena.
Villa il nano rideva come un matto, ricordandosi al palio del 1902,
travestito da piccione e rannicchiato in una delle loggette di uno dei palazzi
della piazza. Dopo il Palio era stato a una festa tra fantini leggendari di
tutte le epoche che avevano fatto gli autografi, scrivendo da analfabeti, i
loro nomi svolazzanti e riccioli come i peli della lana delle pecore e
quell'anno la parata storica era stata interrotta per l'invasione di navicelle
extraterrestri dalla forma di tivù, con le antenne a forma di nerbi o di
pigiatori industriali, avvenieristici per quell'epoca e poi tutto era ritornato
a sfilare, cavalli, bandiere e vessilli, dopo averli fatti volare via.
Il Rigoletto
Mio
nonno, il giovane Achille, portò alla marchezana e a don Medezanella, la nobile
e il prete di Varano Marchesi una radice a forma di prosciutto che, se
affettato al palato, avevano il gusto crudiccio del salume di Parma e il tubero
fu trovato e scoperto a Casafaggi sul monte Panegù, davanti alla casa del padre
di mio padre, che lo mandò arrotolato a una cravatta del Vaticano, bianca e
gialla, con stampato sulla stoffa un chiavone di San Pietro che il Papa la
giudicò un rinvenimento prezioso perché anti macellazione dei maiali. Anni più
tardi quel bambino di mio nonno, da parte materna, e Villa il nano andavano a
Noceto a bere in un bar un nocino stranamente conservato dentro una botte-noce,
nata spropositamente gigante su un noce servita a loro dal cameriere detto
Bianconesio, uno di Bianconese che era arrivato al tavolo con un vassoio a
forma di volto di Verdi, a sua volta a forma di cigno le cui ali erano i baffi
del musicista sul quale erano posati i bicchierini pieni di infuso di noci.
Più
indietro negli anni, la sera di Natale, dopo la cena, erano presenti tanti
vecchi e nani tra i quale Fontemorto, uno di Fontevivo e i cugini di mio nonno
chiamati di cognome Amarognoli: Renzo, Remo, Teresa e Livia sbocconcellante
baci al cioccolato, cioccolatini a forma di labbroni di negra fatti arrivare
apposta per lei da Alassio, una ponga dall'ormai morto Giuseppe Verdi, bianca
color zucchero a velo fosforescente e detta Spongata, teneva un concertino
suonando da musica sui tasti colore, a forma di canditi, di una spinetta
minuscolissima a forma di gola di Verdi le arie delle opere liriche di questi e
cantava con la vocina buffa: "Va cicogna,sulle ali dorate". Poi La
Ponghella sparì dalla circolazione, forse morta, per cui mio nonno e Villa il
nano erano andati a cercarle nelle canoniche dei paesi di Busseto e di Semoriva
da un prete che diceva messa in tutte due le parrocchie, il quale disse che il
"fenomeno" era scappato ma i due, entrando nel cimitero del paese di
Semoriva, videro una lapide piccola come un dadino murata ad un piccolo avello
in cui era scritto: "Qui giace Spongata", il ponghellino musico
zigano, fenomenale esemplare addomesticato di panteganina dei baracconi, color
spongata fantasma, e lussuosamente peloso colore dei baffi di Verdi la quale
incantava suonando sulla spinette del gobbino Rigoletto sul suo spartito.
Ricorderò che l'ultimo Natale che la ponga suonò nell'abitazione degli
Amarognoli, era il 1919, su Pontetaro c'era una bufera di neve e un lampo
finito nel Taro, illuminandolo di giallo aveva ucciso centinaia di pescigatto
che galleggiavano morti e in panciolle sull'acqua.
L'allevamento di colombe del Vaticano
Nei
primi anni venti del Novecento, nel cortile della famiglia Savi, nella cui casa
c'erano i cuscini dei letti foderati di penne di fagiani, si bruciavano il falò
e lo spiazzo risuonava di grida argentine di bambini, tra i quali quello del
mio futuro nonno Achille detto Keplero, di Faghiandini, il cui padre forniva di
ghiande i maiali del porcile di Ettore Amarognoli, Zoppettini, Coperchiettini e
Pizzapisciarotti, poi diventato l'edile nel Taro con grande risparmio perché si
serviva della sabbia del fiume.
Un
nano di Sanguinaro, siccome a carnevale ogni scherzo vale e di fianco a casa
Savi c'era un macello della ditta paterna che vendeva carne all'ingrosso, aveva
tagliato un dito a un macellaio e lo spacciava per un salamino.
Le
vecchie erano in casa intente a recitare il salva regina e a inneggiare Papa
Ratti, pontefice di quegli anni. A Villa il nano un altro bambino aveva buttato
dentro il fuoco le sue figurine "Sandwichine" con stampati i busti
degli assi del campionato di calcio di quell'anno e don Sborniatella, don
Calisse e don Bruscoli dicevano che aveva fatto bene perché le decalcomanie
sapevano di droga, anche se era solo l'odore della plastificazione. Poi l'Anna
Savi diceva ai bambini di andare all'oratorio, asilo del paese, da suor
Pontettatara, ottima cuoca polpettaia e confezionatrice di chiacchiere del
carnevale, la quale esclamava che arrivava il diavolo e qui i pupattoli
mangiarono gli sgonfietti della festa in maschera e giocarono a mosca cieca.
Villa
il nano fece recitare il "Credo" a suor Pescegatta e all'Anna Savi,
dopo questo fatto, esclamava che voleva sedersi di fianco al trono di Dio. La
suora, ridendo con i denti ornati di una corona di rosario, diceva che la sua
asserzione era una imprecisione di catechismo. Poi da una porticina faceva
capolinea il giovane seminarista chiamato Merli Giovanni, alto, magrolino,
allampanato, ma con i capelli già grigi e questi esortava i bambini nani a
pregare i piedi verginei della Madonna per i loro cari morti, i quali sarebbero
risorti e Villa il nano gli raccontava di essere stato con suo nonno Gosinoni a
Tivoli nell'allevamento di colombe del Vaticano dove ogni domenica ne prelevava
una perché il papa la liberasse e la facesse volare fuori dalla finestra in
Piazza San Pietro, infine il nano raccontava che uno di Sanguinaro, un certo
Colaticciocicciolo aveva tagliato un pollice a un grosso macellaio a casa Savi
e lo spacciava per una luganiga e il futuro sacerdote quasi piangeva di
dispiacere.
Il
giorno dopo il carnevale Villa il nano entrò nella tabaccheria-giornaleria di
Pontetaro da James a comprarsi delle figurine di calciatori e un vecchietto
bisbetico diceva che erano della "Panini" e gli assi calciatori
stampativi su erano i salami tra i quali Schiavio.
Villa
il nano sognava gli stadi come fossero dei colossei di bomber, belve e felini,
capaci di uccidere i portieri marcando in rete, e con mio nonno e Pitina negli
anni trenta andò al Partenio ad un Napoli-Inter e nello stadio siffatto si fece
pulire le scarpe da uno sciuscià e il bollitore della fuoco della lava del
Vesuvio si confondeva agli schiamazzi dei tifosi e in tribuna erano di fianco a
un conte napoletano con una bombetta bianca a forma di mozzarella gigante, poi
un venditore ingenuo e povero passava con una pentola piena di spaghetti alla
pommarola. Lo chiamarono e riversò tre buoni porzioni di fili rossi nei
rispettivi piatti e loro li mangiarono ghiotti come perduti puntini nella città
di Pulcinella e i napoletani piangevano perché perdeva la loro squadra.
A fine partita nel bar dello stadio si concessero anche il liquore del
novantesimo minuto: lo Stock 84. Mentre una giornata degli anni sessanta
d'inverno e di neve invece erano allo stadio Comunale a gremire una gradinata
per seguire il barbuto asso-calciatore del Torino Gigi Meroni e gli spalatori a
bordo del campo spalavano la neve e sull'ultimo anello di uno spalto, vicino ai
cartelloni pubblicitari, dei vecchi avevano ombrellato una signorina torinese e
lesbica detta la Valentin dalle gambe sottili come grissini, vestita di un
tailleur grigio e con scarpine dai tacchi a forma di gianduiotti, la quale era
tifosa di quell'ala destra e la epitaffiarono come puttanorina.
La gara dei mangiatori di anguria
In
mezzo ad una folla di curiosi, tra i quali il vecchi Sissesso dalla bombetta a
forma di panzona di porco calcata in testa, Villa il nano assisteva alla
crocifissione di un maiale detto Lesusissine nella Piazza del paese di Sissa.
Villa
il nano era giunto lì con il sarto Sisseta in macchina insieme al figlio nano
di un mezzadro chiamato Spursisse. Nel paese c'era anche una gran festa e la
gara dei mangiatori d'anguria. La madrina della manifestazione era una super
maggiorata con tette grosse quanto dodici cocomeri. Il primo premio era una
luna di miele e fu questa che vinse il figlio di un maialaro il quale ingurgitò
tre chili di polpa del frutto della peponide. Nella notte Villa il nano uscì da
Sissa sul pullman a tre piani a forma di cocomero gigante bianca, rossa e
verde, della nazionale azzurra vincitrice al mondiale di Spagna ed era con il
nano detto Mammacellaio di fianco al calciatore Bastardelli, altro padrino con
Paolino Rossi e l'allenatore Bearzoticoni della sagra.
Sulla
corriera c'erano anche dei marocchini, neri come semi d'anguria, i quali per
qualche sparuto soldo servivano i giocatori e l'allenatore che tra tanti
applausi aveva sollevato la coppa Rimet alla fiera. Anni dopo la Juventus aveva
vinto lo scudetto e Villa il nano era nella Torino, dei palazzi sabaudi dorati
e delle industrie del cioccolato dalle ciminiere dove si producevano i
gianduiotti, a festeggiare il campionato vinto dalla squadra di Platini su una
macchina utilitaria della Fiat a forma di agnolotto gigante, tra tanti
caroselli di automobili ed era in compagnia di un callista detto Popino
Moncallieri, vestito con una giacca dandy colore sedano appartenuta al poeta
Gozzano.
Torino
nella notte brillava come un lingotto d'oro e i tre andarono a terminare la
nottata in un night chiamato Fiatunculo dove Villa il nano s'innamorò di una donnina
vestita da bambolina Gianduia, con ai piedi scarpine d'oro a forma di
gianduiotti, detta la Macaria. Villa il nano dormendo sulla macchina per
tornare a casa si sognò a un banchetto dell'aldilà a una tavolata lunghissima,
indetta dal Gianin presidente della Juventus, alla quale cena, a base di bagna
cauda e vino nebbiolo, aveva invitato tutti gli operai della Fiat.
Lì agli operai meridionali chiamati Fiatschetta e Calabrello Villa il
nano raccontava che nel 1949, quando faceva il coiffeur per un salone di
barberia a Torino e l'inverno era caduta tanta forfora (la neve) sul Po, da una
serratura di una stanza dell'hotel Roma spiò una sera lo scrittore pavese che,
nudo, faceva il bagno e poi con questo e Fenoglio era andato a mangiare il
tartufo bianco ad Alba.
Il treno deragliato
Alla
stazione di Napoli deragliò un treno dal quale schizzò fuori un'antica
baldracca napoletana chiamata Maradonna e sul colpo morta. Sul treno viaggiava
anche il poeta Umberto Saba in compagnia del suo canarino che, per lo sconquassamento
del vagone, sbattè sulla gabbietta a forma in miniatura di un palazzo antico di
Trieste.
Dentro
la parte di gabbietta, costruita a mo di suo abbaino, dove c'era la vaschetta
del miglio, e così l'implumino color croco morì. Sul treno c'era anche Villa il
nano Rosario che stava leggendo un libro horror avvincentissimo che sembrò
scoppiare e rimbalzare sulle pareti dello scompartimento tanto era carico di
fatti orridi, ma ciò in verità successe perché il treno si divelse dai binari.
Il
romanzo dalla copertina colore sangue o colore pommarola raccontava in dialetto
napoletano antico e maccheronico e scritto da una certa Nella Pulci di un sosia
di Benito Mussolini, dalla testa macrocefale e calva, il quale a Napoli,
vivendo con tre mogli, le aveva accoltellate tutte, sporcando di sangue le
pentole piene di spaghetti e i lenzuoli dei letti fatti subitamente lavare
dalla serva chiamata Napoli, che poi aveva steso il bucato su una terrazza
abbarbicata in un complesso di abitazioni le une sulle altre, ma sbadatamente
l'uomo non aveva lavato i pentoloni per cui i carabinieri, giunti lì con
calcati in testa cappelli a forma di pomodoroni, l'avevano indiziato come primo
responsabile e assassino dei tre omicidi.
In
bilico sul treno, riverso nel quale da un buco del finestrino erano entrate
frotte di gatti soriani, così nel buio illuminato dagli occhi fosforescenti di
questi mici snelli ed atleti, in cerca di quale murice (topo in napoletano),
anch'esso entrato sul treno, Villa il nano finì di leggere il romanzo che aveva
tra le pagine uno spaghetto plastificato e rosso sugo a modi segnalibro, finché
arrivarono delle autombulanze e crocerossini che disinfettarono le loro
escoriazioni e li fecero salire su un altro treno che li portò alla stazione di
Napoli Portici.
Dalle
lancette dell'orologio a forma di due corni Villa il nano, dal bernoccolo a
forma di pomodoro rosso, con tutti i passeggeri mangiò nel ristorante della
stazione pasta come maccheroni a forma di volti minuscoli di Totò, marca
Voiellatrice.
Erano le quattro di notte quando Villa il nano uscì dalla stazione e lì
vicino inserì delle monetine in un vetusto distributore automatico di sigarette
che gli sganciò un pacchetto di queste, marca Decurtisigarette le smorfie,
infine si allontanò e la notte lo inghiottì.
I Caseifici
Villa
il nano sul taxi del Taxista detto il Parmanandro, inoltrandosi nel reggiano,
vide i due affrescatori, il nonno nasone del pittore Sirocchi e lo Sniffacaseo
dai nasi lunghissimi ed antenne dell'aldilatte del formaggio parmigiano-reggiano
che giravano nella notte nelle campagne reggiane, fermandosi nei vari consorzi
per olfattare le forme come se fossero droga, disposte in fila sulle mensole. E
percorrendo i lunghissimi corridoi all'interno di un caseificio di Calerno,
esilarante fu per i due e il sorcio Rimbamba, vestito tutto di pizzi da cocotte
con il reggicalze, leggeva i marchi parmigiano-reggiano ripetuti circolarmente
su tutta la forma ed esclamava: "è una fiaba e il formaggio e il suo
libro".
Il pignattolaio
Nel
parco dell'Uccellina, in Maremma, un pignattolaio raccoglieva una grande
quantità di pigne per estrarne i pinoli che, una volta venduti, erano la sua
maggiore fonte di guadagno e in uno spiazzo, di una aerea di servizio vicino al
bosco, arrivava un camper lucente di color libro giallo e lì veniva
parcheggiato insieme alle altre macchine e roulotte.
Era
la notte della finale della Coppa del Mondo di Calcio del 1982 vinta dalla
nazionale azzurra. Il pignattolaio, mentre cercava le pigne, trovò un piede
tagliato, calzante una calza azzurra, e una scarpa Adidas da calcio, la quale
era sbavata di resti di sangue e sembrava l'arto di Paolo Rossi, il calciatore
della Juventus e della Nazionale. Ma di quest'ultimo non poteva essere perché
proprio in quell'istante il giocatore sollevava la coppa Rimet a forma di gamba
d'oro terminante in una rotula, la quale, come un mappamondo, aveva sulla sua
superficie sferica il rilievo della crosta terrestre.
Il
Pignattolaio chiamò i carabinieri e subito arrivarono due marescialli di Pisa
detti o chiamati il Pissano e Galileolo Miracoli che vollero subito ispezionare
le sacche piene di pigne. Dentro vi trovarono tre alluci tagliati di donne
dalle unghie laccate, attorcigliati ai quali c'erano delle catenine con delle
medagliette della Madonna.
Il
pignattolaio si salvò dall'essere indiziato per il fatto che raccoglieva pigne
a mucchi. I sospetti finirono su due di Pisa detti il Piza e il Conte Ugolino,
mostro e moderna incarnazione del personaggio dantesco, uno dei quali fu
arrestato perché trovato con in tasca una figa, asportata dall'inguine di una
donna. I tre pollicioni dovevano essere quelli di donne sparite nelle vicinanze
durante quei giorni. A un'unghia di uno di quelle dita era applicata una
microchip che i marescialli azionarono. Lì vi era registrato un messaggio
satanico con la voce dell'omicida.
I
due carabinieri ispezionarono anche l'ultima roulotte rimasta posteggiata nello
spiazzo, nella quale la tv accesa parlava del goal di Villa il nano su cross di
Zoff al mondiale, dove alloggiavano due ragazze americane grassone le quali
stavano leggendo libri di Liana Negretti in arte Liala e Pissa. Il caramba,
siccome una di queste era una traduttrice, lesse un passo dell'inferno di Dante
trasformato in americano in cui era scritto: "I am the Pia Dei Tolomei,
Siena me born, decay of my corp did Maremma" ma ciò che insospettì molto
il caramba furono i sandali infradito da donne, di un solo piede, di cui uno
aveva la linguetta a forma di minuscola torre di Pisa in plastica, ma le ragazze
dissero che le calzavano loro e avevano perso di ognuna l'altro paio.
Villa il nano dopo il grande goal segnato per la nazionale azzurra che
aveva fatto vincere il mondiale all'Italia tornò a casa sul pullman della
squadra con la comitiva dei calciatori. Alcuni giorni dopo fu a Siena per il
Palio dove la carica dei carabinieri sui cavalli, con la spada levata, tra i
quali c'era il Pissa e Galileolo, aveva iniziato la parata storica del Palio
del 2 luglio per la Madonna di Provenzano e nella notte, scortato da due
guardie del Quirinale dall'elmo crestato di piumaggi color macedonia con le
tinte dei vari frutti, girovagava nella profonda Siena piena di ombre col
vinaccia fumando una pipa regalatagli dal presidente Pertini, anche lui nella
comitiva della nazionale al mondiale che vide una ragazza angelica, dai grossi
boccoli color crosta di pecorino, chiamata Francesca Finocchione con al
guinzaglio un maialino della cinta senese finché giunse in un vinaio dove bevve
un bicchiere di Chianti e mangiò una ciabatta farcita di salume alla finocchia.
I topi
Quando
morì l'affrescatore nasone, nonno del pittore Sirocchi, la salma adagiata in
una tomba a forma di spicchio gigante di formaggio era bianca come uno
stracchino e il lungo nasone giallo come un formaggino "Mio".
Don
Misogenino Tettematte celebrò la funzione religiosa raccontando che il nonno
nasone era nato nella città fatta di formaggi, ormai introvabili, che aveva
avuto la malattia dello sniffomane del formaggio parmigiano-reggiano e
piangevano la sua morte Abele Bertozzi, un formaggiaio, il nano Villa, il
chierichetto minuscolo chiamato Quarantatortelli Pecoretto dai capelli lanosi e
bianchi come lana, pettinati lunghi alla Parmigianino e raccolti da una
catenina da cui pendeva una medaglina con effigiato, in rilievo, un caseificio
dell'apocalisse e il lillipuziano vestiva una giacchetta di pelo di cavret.
Il
corteo funebre arrivò in villetta e il pittore fu tumulato in un avello a forma
di caseificio ed era giunto anche il suo sorcione d'oro che piagnucolava
ricotta. Il duca chiamato Crosta che gli dava le croste unte da sniffare e lui
con il naso prosciugava del profumo, tanto che il suo corpo era diventato come
le forme di tale formaggio a cui aveva rubato il pigmento giallo impregnando
poi, come detto, la propria pelle come grassa e oliacea. Gli allievi pittori
del liceo artistico Toschi e dei vecioni panzoni, bassotti, tra i quali il
Gaibas, dai nasoni come grosse patate, vestiti con delle palandranone neri con
colli di zibellino e scarpe da Pippo di lui dicevano che l'era toc e aveva
sempre in test il formai, e c'era anche il suo barbiere chiamato di cognome
Ormagginini specializzato a tagliargli i peli che gli uscivano dal naso folti
come setole di pennellesse.
Il
nonno nasone quando ronfava e russava, emettendo parole che raccontavano
barzellette della Parma antica, era visitato da topi che gli entravano dal naso
e giravano nei sentieri gastrici, numerosi come le piste di Indianapolis, sono
piene di macchine da corsa e tutto ciò succedeva perché le minuscole arvicole
erano attratte dal profumo di formaggio che aveva addosso.
L'altro
prete chiamato don Rigido, con una vociona tonica ed evangelica, al microfono
del pulpito diceva che era morto il pittore detto il Gratugiera, signore
convenevolissimo che bande di ragazzi volevano con trappole dare la caccia al
suo topo tinto d'oro, il quale, insieme a lui, aveva sbafato tanti tocchi di
formaggio nei caseifici e si aggirava nelle cantine della chiesa di San
Vitalino dove lui teneva le provviste di formaggio e mosche che, nauseate dal
profumo caseario, si erano trasformate, secondo le leggi di Darwin, in veri e
propri mosconi-topi con le ali e dalla proboscide muscide, fornita di dentini
da roditori, che facevano buchi nei buchini impressi dalle matrice infuocate
dei marchi con i quali erano composti i nome dei consorzi di Parma e Reggio, ed
era giunto lì anche il suo sorcione d'oro che piagnucolava e tutto ciò successe
nel 1967.
Appena
finì il funerale Villa il nano andò a fare il cameriere in un night dove il calciatore
Mora Bruno contrasse il tumore ai testicoli facendo sesso con una geisha,
culturista dalla carnagione gialla color olio di oliva, e un domestico nano del
locale notturno detto il Pizzinini, vestito di una abito tutto pizzi, il quale
era addetto a rifare i letti sui quali si davano appuntamento i clienti con le
donnine, e aveva messo il pene di Mora nella vulva dell'entraineuse sul quale
era chino.
Alla fine della notte Villa e Pizzinini i nani chiusero i cancelli del
giardino del nightclub e salirono sulla macchina pubblicitaria del locale,
dalla carrozzeria a forma di bambola gonfiabile, e viaggiando sulle strade
videro altre prostitute che la notte, giocattolino di luci di insegne e neon
luminosi, poteva ben dirsi un insieme di cappe delle vulve di queste che
spazzacamini con i loro arnesi pelosi spazzolavano.
L'aperitivo e la scimmia
Al
Palio di Siena del 1913 corse tra i fantini anche una scimmia, simbolo dei
possedimenti e dell'impero coloniale italiano, la quale nella diossina piena di
suspance della parata storica sfilava, vestita da morte, con una tuba a forma
di teschio e un mantello nero. Ciò significava lutto per gli altri fantini e
faceva incombere la morte sul palio di Siena.
Ma
la scimmia cadde dal suo cavallo e capitombolò nella polvere della curva di San
Martino come una nocciolina dalle macchie di sale in un mare di Martini e Villa
il nano assiepato nella calca di folla di Piazza del Campo, vide arrivare
l'autoambulanza e da lì scendere crocerossini con stampato nel tessuto bianco del
camice, sul retro della schiena, una croce alla quale erano attorcigliate delle
serpi, il simbolo dell'arte farmaceutica, i quali la caricarono sull'ambulanza.
La
scimmia detta Giolittufo correva per la contrada del Ricciarello con la casacca
dai molti pizzi colore dello zucchero a velo. In quella occasione vinse il
fantino Meloni che correva con la casacca del Chianti, color vino rosso rubino.
Sciamando fra la folla della piazza Villa il nano si diresse verso un vinaio
nel terziere di Camollia, dai palazzi etruschi costruiti con mattoni color
camomilla, e lì mangiò dei cantuccia a forma di minuscoli cani tucchi
intingendoli nel vino. Nella notte successiva il Palio Villa il nano si
spostava con il nano detto il Mortaretto. La luna era come un'arnia dove colava
del miele che illuminava il loro viaggio di nozze e Villa il nano raccontava
che, un anno prima, aveva frequentato a Parigi il ragazzino poeta Desnos
nell'abitazione su un boulevard che faceva da crocicchio di due strade
laterali, che era su un caffe-tabaccheria, dal gazebo a forma di cigno, aperto
tutta la notte, dove dall'interno delle scale, entrando da una porta di
servizio, andavano a rifornirsi di sigarette e bottiglie di liquore Pernod per
le nottate e fumavano, dormivano, bevevano e trascrivevano i loro sogni
surrenali e surreali.
Villa il nano si era sognato la scimmia sfilante per il Palio da
Mercenaria con al corpo un alabardo a forma di dolcetto ricciarello gigante e
di bronzo da condottiero. Nella corsa nel sogno la scimmia era caduta sulla
pista di tufo color bitterone, come gli era successo di vedere al Palio di
Siena realmente e il poeta francese aveva intitolato il sogno di Villa il nano
"L'aperitivo e la scimmia", mentre Desnos aveva sognato il Dio tosco,
nelle sembianze di una mosca immensa nel regno dei cieli, seduto sul trono
divino il quale beveva Oa Ola, con una annuia smisuratamente lunghissima
(termini scritti con la C aspirata toscana da intendersi CocaCola con la
cannuccia) in una bottiglia posata su un banco di un bar di Siena dove arrivava
fino dentro con la cannina infinita.