A
Natale, nel 1913, Villa il nano fu, insieme al Visconte del casato
dei Malavazia e ai fratelli Conti di Sissa, chiamati Letamen, nel
refettorio dell'Annunciata dal Don chiamato Ulcerodio Ariofagite.
Insieme a tanti altri reverendi, chiamati Auroro Disi, Mortamen
Predico, Gelato Gelisti, Bercigante Ampollini, Apocallisso Callisti,
Predicotto Pretezamponio, Lanciodiriso Susagrassati, Papillo
Sceminari e Penio Castitortelli, sorbirno degli anolini in brodo come
minuscoli isolotti galleggianti e a loro li serviva l'abilissimo
cameriere chiamato Diocesa Diocone.
Villa
il nano portò una scodella di brodo al mendicante detto
Monetina davanti alla chiesa dove era al freddo a chiedere
l'elemosina.
Lontano,
in Via D'Azeglio, stava giungendo il re dei barboni di Parma. Il
clochard chiamato Italione Stivalone, quando giunse sul sagrato
qualcuno del pubblico, gli buttò addosso delle monetine, con
l'effige umbertina, e Villa il nano si mise a parlare con lui di
fantini del Palio di Siena di quell'epoca quali: Mantovani (Bubbolo),
Torrini Tripoli (Tripolino) e Meloni (Picino).
Il
barbone prendendolo dal sacco gli regalò un souvenir del Palio
di Siena realizzato all'epoca in cui, ancora ricco e rasato, era
andato a Siena alloggiando nell'albergo chiamato “Tinello” pieno
di fiori narcisi di plastica colore del vino Chianti.
Villa
il nano ritornò dentro e piluccò delle mele, un po'
vizze a forma di volti di Adamo ed Eva, contenute in una porcellana a
forma di porcello, a sua volta della forma antropoformizzata del
poeta maialesco e grassone Orazio.
In
tempo di guerra, nello stesso refettorio, incontrò il Balilla
Salò di Tacchino che l'infante Isidore Ducasse, futuro
scrittore Lautreamont, sognò in una culla in una stanza,
ombrata da eucalipti malefici, e poi la visione onirica continuava in
una palestra vecchia e decrepita dove in migliaia di ring
minuscolissimi, a forma di vulve pelose plastificate e artificiali
pidocchi bulbiferi, a due per due, pupillavano tra loro con guantoni
minuscolissimi di feti di pollini microscopici e scarpine sfrangiate
da pugili alle zampine.
Infine,
sempre in quegli anni, con il taxista detto Millemeningiti da Parma
Villa il nano, in taxi, viaggiò fino a Roma dove entrò
nell'abitazione, quasi ruina, del vecchissimo Conte Popòlonio
Lazzari.
La
casa al suo interno aveva uno scalone che in muratura riproduceva un
drago gigante, verde antico, accasciato i cui denti erano gli scalini
e il Conte e Villa il nano andarono a mangiare alla trattoria di
Trastevere, chiamata la “Merda del caprone”, alle cui pareti
erano imbrattati con defecazioni di capra e i volti di poeti antichi.
Nella
bolgia mangiarono dell'ottimo caprone e Villa il nano, rimasto senza
sigarette, raggiunse il diapason della gioia scoprendo che al banco
del bar, dietro i vermuth, la padrona conservava dei pacchetti rari,
marca dello scrittore Moravia, e ne comprò uno. Quindi
mangiando della carne di capra, cucinata alla Tibullo, secondo una
ricetta antica alla Tibullo, con le spezie gli intingoli di
quell'epoca, mentre gli stornellatori suonavano degli stornelli
romani con mandolini dalla cassa di legno bombata, a forma di papi
antichi.
Lazzaria
a Villa il nano parlava che voleva comprare un'abitazione nella
centrale Via Cavour, il cui palazzo era a forma di leone e a sua
volta di Napoleone.
Il palazzo antico
e rosso color bistecca fiorentina
Una
notte Villa il nano tornò a casa in taxi. Durante il viaggio
dormicchiò per tutto il tempo. Riaprì gli occhi
passando davanti al cimitero di Viarolo, sul quale, nella notte, vide
ascendere in cielo le animelline dei bambini morti chiamati Tombino
Avellino e Pistino Farmacerba, inoltre vide delle guardie che
sentinellavano il camposanto.
Certi
detti “Tibbiabibbia” e Benevento Strego, il primo dei quali
lavorava da garzone coiffeur, come Villa il nano, con pompette piene
di lozione, pennello e forbice da Serafino il barbiere nella sua
toiletteria. Un giorno sul taxi del taxista detto Pudding, dalla
giacca di raso a strisce color rosso cherry, crema e cioccolato, in
compagnia dei nani chiamati Spermamma, Sborrida e Anotruccolo, ai
quali si era aggiunto il sopracitato soldato e don Clotildo Ossuore,
erano giunti davanti a una pasticceria piena di cialde glassate a
forma di tibie, dolcetti preparati per la festa dei morti, a
ricorrenza annuale, ed entrati nel negozio ne avevano comperato uno
ciascuno.
Quel
giorno, Villa il nano, andò a portare i garofanini di campo
sulla tomba del nonno chiamato Anataleo Gosinoninella sulla cui
lapide erano scolpite due ossa incrociate. Si trattava di una
leggenda in cui si raccontava che al suddetto maialaro erano volati
via i maiali di sua proprietà, come muniti di alette da
angioletti, diretti dal porcile sull'astro detto il Mamma Scrofa a
forma di maiale palla. V
Villa
il nano, uscito dal cunicolo sotterraneo delle catacombe a rivedere
la notte, riconobbe il pianeta come una stella cometa splendente di
luce rosata e frizzante come un minerale lassù nel cielo buio.
Villa
il nano aveva visto inoltre anche la tomba del pittore seicentesco
chiamato Gandino Del Grano. Nella foto posta della lapide con una
gorgera a forma di formone di parmigiano-reggiano con i buchini
stampati a scriverne i marchi del consorzio come le innumerevoli
arnie di un alveare.
Un
giorno Villa il nano era andato al cimitero di Viarolo e lì
aveva incontrato le sentinelle di turno Selzanitranizzagasata, il
Nefricanatico, e quello detto Profondo rosso Calamaialo. Quest'ultimo
soldato aveva assistito all'omicidio di una donna per mano di un
mostro di Viarolo detto il “Bettolino”, nomigliolo affibbiatogli
dall'omonima trattoria che frequentava da impunito, il quale, con una
lametta, aveva asportato la vulva alla donna che, sulle prime, aveva
scambiato per un riccio porcospino fermo sul selciato.
I
soldati e Villa il nano erano poi andati nella notte nella trattoria
il “Bettolino” dove il trattorista chiamato Paradisgigiogli aveva
fritto delle fette di tortafritta a forma di putti e servito della
malvasia colore tempera gialla manierista.
A
un tavolo sedeva il mostro di fianco a un quadretto naif del pittore
detto il “Mollone del culatello” che ritraeva, in una cantina
antica una miciona grassa sbodenfia e gialla color limone e selz, e
accarezzava con una zampa un topo bianco, grigio e marrone,
facendogli le coccole sotto il bersò illuminato da una
lampadina pacchianucola.
L'allegra
brigata aveva giocato a calcio balilla e Villa il nano, con la
manopola, emulava i cross di Colaussi. Il trattorista poi esclamava
rivolto al nano: “ti ho forse visto a Siena al palio del 1934,
vinto dal fantino Corradino Meloni?”. Infatti, i due si erano visti
in una cantinucola a brindare con il fantino alla sua vittoria,
insieme a un allegra brigata di festaioli, e l'oste da sopra il
locale aveva calato un cavatappi a forma di atleta nuotatrice le cui
leve a forma di braccia, stappando il sughero del tappo, si alzavano
emulando un esercizio ginnico.
A
quell'ora, completamente svuotata di folla, Piazza del Campo, dentro
la cui pista era stato steso giorni addietro del tufo, anche il
nobile Tarquinio, indebitato fino all'osso vendeva un palazzo antico
e rosso color bistecca fiorentina di muri spessissimi a una donna
senese chiamata Tindara, dai capelli color finocchio e usciva dalla
casa nella notte con la somma sufficiente solo per pagare i debiti
perciò perduto e futuro accattone.