mercoledì 25 settembre 2013

L'abitazione ruina





A Natale, nel 1913, Villa il nano fu, insieme al Visconte del casato dei Malavazia e ai fratelli Conti di Sissa, chiamati Letamen, nel refettorio dell'Annunciata dal Don chiamato Ulcerodio Ariofagite. Insieme a tanti altri reverendi, chiamati Auroro Disi, Mortamen Predico, Gelato Gelisti, Bercigante Ampollini, Apocallisso Callisti, Predicotto Pretezamponio, Lanciodiriso Susagrassati, Papillo Sceminari e Penio Castitortelli, sorbirno degli anolini in brodo come minuscoli isolotti galleggianti e a loro li serviva l'abilissimo cameriere chiamato Diocesa Diocone.
Villa il nano portò una scodella di brodo al mendicante detto Monetina davanti alla chiesa dove era al freddo a chiedere l'elemosina.
Lontano, in Via D'Azeglio, stava giungendo il re dei barboni di Parma. Il clochard chiamato Italione Stivalone, quando giunse sul sagrato qualcuno del pubblico, gli buttò addosso delle monetine, con l'effige umbertina, e Villa il nano si mise a parlare con lui di fantini del Palio di Siena di quell'epoca quali: Mantovani (Bubbolo), Torrini Tripoli (Tripolino) e Meloni (Picino).
Il barbone prendendolo dal sacco gli regalò un souvenir del Palio di Siena realizzato all'epoca in cui, ancora ricco e rasato, era andato a Siena alloggiando nell'albergo chiamato “Tinello” pieno di fiori narcisi di plastica colore del vino Chianti.
Villa il nano ritornò dentro e piluccò delle mele, un po' vizze a forma di volti di Adamo ed Eva, contenute in una porcellana a forma di porcello, a sua volta della forma antropoformizzata del poeta maialesco e grassone Orazio.
In tempo di guerra, nello stesso refettorio, incontrò il Balilla Salò di Tacchino che l'infante Isidore Ducasse, futuro scrittore Lautreamont, sognò in una culla in una stanza, ombrata da eucalipti malefici, e poi la visione onirica continuava in una palestra vecchia e decrepita dove in migliaia di ring minuscolissimi, a forma di vulve pelose plastificate e artificiali pidocchi bulbiferi, a due per due, pupillavano tra loro con guantoni minuscolissimi di feti di pollini microscopici e scarpine sfrangiate da pugili alle zampine.
Infine, sempre in quegli anni, con il taxista detto Millemeningiti da Parma Villa il nano, in taxi, viaggiò fino a Roma dove entrò nell'abitazione, quasi ruina, del vecchissimo Conte Popòlonio Lazzari.
La casa al suo interno aveva uno scalone che in muratura riproduceva un drago gigante, verde antico, accasciato i cui denti erano gli scalini e il Conte e Villa il nano andarono a mangiare alla trattoria di Trastevere, chiamata la “Merda del caprone”, alle cui pareti erano imbrattati con defecazioni di capra e i volti di poeti antichi.
Nella bolgia mangiarono dell'ottimo caprone e Villa il nano, rimasto senza sigarette, raggiunse il diapason della gioia scoprendo che al banco del bar, dietro i vermuth, la padrona conservava dei pacchetti rari, marca dello scrittore Moravia, e ne comprò uno. Quindi mangiando della carne di capra, cucinata alla Tibullo, secondo una ricetta antica alla Tibullo, con le spezie gli intingoli di quell'epoca, mentre gli stornellatori suonavano degli stornelli romani con mandolini dalla cassa di legno bombata, a forma di papi antichi.
Lazzaria a Villa il nano parlava che voleva comprare un'abitazione nella centrale Via Cavour, il cui palazzo era a forma di leone e a sua volta di Napoleone.


Il palazzo antico 
e rosso color bistecca fiorentina






Una notte Villa il nano tornò a casa in taxi. Durante il viaggio dormicchiò per tutto il tempo. Riaprì gli occhi passando davanti al cimitero di Viarolo, sul quale, nella notte, vide ascendere in cielo le animelline dei bambini morti chiamati Tombino Avellino e Pistino Farmacerba, inoltre vide delle guardie che sentinellavano il camposanto.
Certi detti “Tibbiabibbia” e Benevento Strego, il primo dei quali lavorava da garzone coiffeur, come Villa il nano, con pompette piene di lozione, pennello e forbice da Serafino il barbiere nella sua toiletteria. Un giorno sul taxi del taxista detto Pudding, dalla giacca di raso a strisce color rosso cherry, crema e cioccolato, in compagnia dei nani chiamati Spermamma, Sborrida e Anotruccolo, ai quali si era aggiunto il sopracitato soldato e don Clotildo Ossuore, erano giunti davanti a una pasticceria piena di cialde glassate a forma di tibie, dolcetti preparati per la festa dei morti, a ricorrenza annuale, ed entrati nel negozio ne avevano comperato uno ciascuno.
Quel giorno, Villa il nano, andò a portare i garofanini di campo sulla tomba del nonno chiamato Anataleo Gosinoninella sulla cui lapide erano scolpite due ossa incrociate. Si trattava di una leggenda in cui si raccontava che al suddetto maialaro erano volati via i maiali di sua proprietà, come muniti di alette da angioletti, diretti dal porcile sull'astro detto il Mamma Scrofa a forma di maiale palla. V
Villa il nano, uscito dal cunicolo sotterraneo delle catacombe a rivedere la notte, riconobbe il pianeta come una stella cometa splendente di luce rosata e frizzante come un minerale lassù nel cielo buio.
Villa il nano aveva visto inoltre anche la tomba del pittore seicentesco chiamato Gandino Del Grano. Nella foto posta della lapide con una gorgera a forma di formone di parmigiano-reggiano con i buchini stampati a scriverne i marchi del consorzio come le innumerevoli arnie di un alveare.
Un giorno Villa il nano era andato al cimitero di Viarolo e lì aveva incontrato le sentinelle di turno Selzanitranizzagasata, il Nefricanatico, e quello detto Profondo rosso Calamaialo. Quest'ultimo soldato aveva assistito all'omicidio di una donna per mano di un mostro di Viarolo detto il “Bettolino”, nomigliolo affibbiatogli dall'omonima trattoria che frequentava da impunito, il quale, con una lametta, aveva asportato la vulva alla donna che, sulle prime, aveva scambiato per un riccio porcospino fermo sul selciato.
I soldati e Villa il nano erano poi andati nella notte nella trattoria il “Bettolino” dove il trattorista chiamato Paradisgigiogli aveva fritto delle fette di tortafritta a forma di putti e servito della malvasia colore tempera gialla manierista.
A un tavolo sedeva il mostro di fianco a un quadretto naif del pittore detto il “Mollone del culatello” che ritraeva, in una cantina antica una miciona grassa sbodenfia e gialla color limone e selz, e accarezzava con una zampa un topo bianco, grigio e marrone, facendogli le coccole sotto il bersò illuminato da una lampadina pacchianucola.
L'allegra brigata aveva giocato a calcio balilla e Villa il nano, con la manopola, emulava i cross di Colaussi. Il trattorista poi esclamava rivolto al nano: “ti ho forse visto a Siena al palio del 1934, vinto dal fantino Corradino Meloni?”. Infatti, i due si erano visti in una cantinucola a brindare con il fantino alla sua vittoria, insieme a un allegra brigata di festaioli, e l'oste da sopra il locale aveva calato un cavatappi a forma di atleta nuotatrice le cui leve a forma di braccia, stappando il sughero del tappo, si alzavano emulando un esercizio ginnico.
A quell'ora, completamente svuotata di folla, Piazza del Campo, dentro la cui pista era stato steso giorni addietro del tufo, anche il nobile Tarquinio, indebitato fino all'osso vendeva un palazzo antico e rosso color bistecca fiorentina di muri spessissimi a una donna senese chiamata Tindara, dai capelli color finocchio e usciva dalla casa nella notte con la somma sufficiente solo per pagare i debiti perciò perduto e futuro accattone.

venerdì 20 settembre 2013

Il teatro Regio




Villa il nano serviva i clienti vestito da cameriere, con una divisa bianca da sala e dei bottoni con fetini imbalsamati di gazze bianche e nere. Svolgeva il suo lavoro nella cornetteria-latteria interna al Regio, il cui proprietario era il barista detto il Mucchino che soffiava il latte con il beccuccio a forma di gola di baritono della macchina a pressione.
Villa il nano, da servo, era detto il Villoggionee e portava il caffè sui palchi ai melomani. Serviva anche aperitivi gasandoli con il sifone e mettendo nei bicchieri cubetti di ghiaccio a forma di minuscoli Teatro Regio.
Finito il turno di lavoro uscì dal teatro davanti al quale vide degli africani dai piedi marocchi a forma di brioschone, tutti venditori di burro cacao, giunti lì da Schia e Prato Spilla, mete sciistiche dei parmigiani i quali cercavano di venderli agli spettatori che sarebbero sciamati fuori.

La chiesa di san Pietro a Parma













Quando il poeta gobbo Leopardi venne a trovare Villa il nano fu ospitato dal Don chiamato Cielumino Amenolino, nel refettorio della chiesa di San Pietro, ubicata in Piazza Garibaldi, dalla costruzione a forma di un chiavone gigantesco del Vaticano in muratura, e intonacata di un colore arancione d'oro.
Il poeta e il nano furono serviti dal cameriere chiamato Ciava che gli versò nella fondina il brodo con degli anolini galleggianti.
I due si ricordavano di aver viaggiato, in cima a un convoglio di un treno merci, su uno dei vagoni a forma di pomodoroni, specie a occhio di bue giganti, d'oro e pieni di pummarola.
Fermatosi il treno alla stazione di Napoli videro passeggiare sulla banchina della stazione una nobile matrona napoletana. Quest'ultima aveva un pizzo da uomo sul mento ed era vestita con un abito celeste dai pizzi a forma di maccheroni. Infine uscirono nella notte dalla chiesa nella Piazza Garibaldi provincialotta, con le luci dei bar aperti. Salirono su un busone color caco e andarono allo spettacolo dei burattini.
Villa il nano sgranocchiava chicchi scoppiati di granoturco perché fritti e nello stesso tempo masturbava il pene di Leopardi seduto di fianco a lui su una poltroncina del teatrino, viceversa lo zio Gosinoni, incontrato lì insieme con il nano Zanolino, scambiò il seme di sperma color gialloparma sui loro abiti per crema di cannolo o bignè.

giovedì 19 settembre 2013

I due froci








Verso quell'ora della sera, nella metropolitana di Barcellona, un omosessuale, chiamato Ranuccione, fermo ad aspettare il vagoncino, fece sesso con il culattone inglese chiamato Cheese Buchinghton. Lo fece limonandoselo e quando gli sbottonò la patta dei pantaloni e lo smutandò, per fargli un pompino, un sorcio nascosto nelle mutande a pizzi, giallo color copertine dei libri di Simenon, gli morsicò la lingua le cui gocce di sangue gli colarono sulla ghiera della pipa mentre fumava.
Nel giro di mezz'ora i due diventarono amanti. Cheese fu invitato a casa dell'altro dove c'erano dei topi, tra i quali quello simpatico detto Adolfo, il pittore, ospitati dentro gabbiettine, come piccolissimi luna parkini, con minuscole ruotone delle montagne russe e un piccolissimo ottovolante, per farli divertire.
I due mangiarono bistecche di toro ingollando porto, poi fecero del sesso ispirandosi a foto di stripter omosessuali, poco muscolosi; dei ragazzi pallidi somiglianti a ragazzine. In una stanza nel profondo di un palazzone, gigantesca caricatura in muratura del volto del dittatore Franco, fecero il bagno tutt'insieme nella vasca schiumosa del gabinetto sulla cui acqua galleggiava un minuscolo modellino di sommergibile della missione “leone marino”.
Una sera gremirono una intera gradinata di una arena e seguirono una corrida mano nella mano che lo spettacolo si evolveva. Siccome si era in epoca franchista il torero era vestito tutto di nero, dal bolero con ricami e pizzi a forma del volto di Franco, e calzava scarpine a forma del volto di Hitler con delle fibbie a forma di quello di Mussolini.
Appena ebbe inizio la corrida il torero, per sua disattenzione, fu incornato dal toro e morì dissanguato. Un bambino che stava sugli spalti si precipitò nei box dove avevano rinchiuso il toro e cominciò a palpargli le palle, taurine, come spugne.
Successivamente i corridoi dove erano situati gli spogliatoi dei picadores furono visitati da medici fascisti dell'obitorio della città, i quali misero nella bocca del torero un rosario colore del velo amaranto di cui si abitualmente si serviva per matare il toro.
Villa il nano, nella notte, su un taxi in giro per Barcellona arrivò in una via interamente ricoperta di edera. Era un luogo dove trovavano posto night e club per solo gay, le cui luminarie, fatte al neon di luci verdi color mela o rosa e color fragola, invitavano i clienti ad entrare.
All'altezza di uno dei locali chiamato il “Baffo del culo di Hitler” Villa il nano vide il topone chiamato Adolfo Hitler, pittore che era scappato. Lo raccolse e se lo mise in tasca, poi entrò nel night chiamato il “Culo fosforescente di Cristo” e gli consegnò un biglietto, da lui prontamente acquistato, da un bigliettaio parmigiano come lui chiamato Torreteli.
Subito si sedette su una poltroncina insieme a un ragazzo effeminato come fosse una ragazza. Ai due portarono champagne, fette di melanzane disegnate di aceto balsamico, come pellicole di film porno, e anolini a forma di baschi di quelli dell'Eta.
Bevve torbe giallo splendenti con cubetti di ghiaccio a forma di minuscoli orsi. Infine lo aspettava sul taxi, con il tachimetro acceso, il taxista chiamato Sibillon Aleramoz che lo scaricò nel club vicino chiamato i “Toreri morti” sempre sito sulla strada.
Nel salotto del locale notturno c'erano numerosi toreri imbalsamati tutti morti nelle corride. Due gallesi stavano lì, seduti. Erano dei ragazzoni grassoni pallidi, dai capelli color carota, e tifosi di rugby che, in un pub della loro nazione, avevano ammazzato di botte un culturista, ma erano in semi libertà.
Sempre all'interno del locale Villa il nano vide un barbiere detto il Figarotto che, in una barberia per soli froci, arrotolava i baffetti a forma di spilli al pittore Dalì servendosi di gel o di albume.