Villa
il nano camminava, in compagnia di una donna vecchia, con calcato
sulla testa una cuffia. Era febbraio e a Roccabianca, il giorno dopo
il martedì grasso, Villa il nano aveva ancora tra le palpebre
i coriandoli lanciatigli nella festa in maschera. Entrarono in casa
dove la vecchia gli fece vedere su uno scaffale le poiane risparmiate
ai fuochi nelle varie edizioni passate dei carnevali e gli preparò
i lillà fritti e qualche uovo lesso del suo pollaio. Subito
dopo con un grosso salto furono sul lettone dal materasso molto
spesso da cui fuoriuscirono piume e Villa il nano voleva palpare la
vecchia e farci del sesso perché era stata buona con lui come
un'oca, mentre fuori, nel buio, invidiose la donna faina e la donna
volpe, amiche della vecchia detta la Giovedia Grassa, battevano le
ante delle finestre.
Nell'intimità
della casa, sita in via dell'Oca furibonda, strada piena di
coriandoli, farina, zucchero a velo e trombette perdute nella festa
carnevalesca, il nano e la vecchia si alzarono alle tre di notte e
bevvero un caffè, poi si ributtarono a letto.
La
domenica che venne Villa il nano era stato invitato a sorbire il
brodo con gli anolini nel refettorio della chiesa di San Rocco dai
don reverendi chiamati Cosmesi Pomato e Occhiodipernice Pediluvio
universale della Pomice e l'aiuto prete dei due, un certo chiamato
don Donnone Estetista. Si trattava di un omone ecclesiastico
mastodontico come un armadio, dai piedi somiglianti a due zampe
elefanti calzati in due morbide zavate, dai capezzoli a forma e
giganti come due ananas, e i capelli canuti color ostia e con la voce
da tenore castrato, come un cappone di Natale, ed era ingessato come
una mummia perché era salito sulla punta della torre
campanaria del Duomo per lucidare l'angioletto d'oro e da lì
era caduto giù frantumandosi molte ossa.
Nessun commento:
Posta un commento