martedì 7 gennaio 2014

La mora





Sull'Alfetta guidata da Pasolini Villa il nano vide davanti a una raffineria di petrolio dalle ciminiere fumose la Grigia, una lucciola del “palazzo”, la quale mostrò ai due che passavano in automobile un preservativo con la cappella terminante a forma minuscola di volto del politico Giulio Andreotti.
Stavano andando da Roma a Parma a mangiare al Leon D'or dove desinarono un brodo, in compagnia del nano chiamato di nome Gabbatolosanto e di cognome Mora, bambolone nato da un neo nero e morbido come una mora sulla pelle di una parmigiana del sasso chiamata Parigina Anoldor.
Dal punto nero si era sviluppato come un neonato nella placenta e a crescita ultimata si era staccato e nero come un frutto di bosco, con gli occhi turchini, per i quali assomigliava alla madre e sorbiva con un cucchiaio d'oro il brodo color broccato specchiandosi nel liquidi come un africano nero e gli occhi blu tingevano di blu la carne del ripieno fuoriuscente dagli anolini e questi era parecchio birichino come quando aveva rubato ciabattini confezionati nella moda di Ilario di Poitier dal calzolaio detto Puzza di Mastice.
Poi in tavola era arrivato il mansolone lesso, stopposo e cordato di fibre, come il canape del Palio di Siena, spettacolo che tanto piaceva a Villa il nano e i tre lo sbaffarono con le salse e gli acetelli. Parma era linda e provinciale e il sole pacchianamente antico come i gialli del Parmigianino.
Prima che finissero di cenare passò la Parigianina con un amica molto checca e rideva e rideva prendendo in giro il figlio che a sua insaputa era nel locale con Villa il nano e Pisolini. Poi i risolini come tintinnii di posate d'argento si allontanarono e Mora emulò la firma dell'omonimo calciatore del Parma e Felinone il cuoco mostrò una foto autografata del giocatore e dedicata al ristorante e disse: “è uguale”.
Poi disse: “come starà giocando Bruno al Tardini e cosa staranno facendo gli animali allo stadio”. Molte volte le pantere dei gladiatori sono le loro mamme.
   

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