lunedì 4 novembre 2013

La Milano di notte










Nel 1920 Villa il nano frequentava Pontetaro, paese pullulante di villani e giardinieri che emulavano i lavori dei bisnonni, i quali tenevano la manutenzione di tutti i vivai di Maria Luigia e avevano sepolto, nascondendoli, i granducati guadagnati dalla duchessa senza che i discendenti sapessero dove li aveva nascosti.
Pontetaro perciò era la vecchia Francia e i villanelli parlavano un dialetto scurrile, ammorbidito da un accento gallico, con intonazione elegante da profumieri. Con mio nonno, da bambino, andava a leggere il foglio sportivo al bar del paese e insieme si concedevano anche qualche bicchierinino di Benevento e così andarono avanti per decenni a frequentare il locale pieno anche di mastodontici mezzadri.
Negli anni cinquanta i due leggevano un organo di stampa sportivo della Lazio calcio, dai fogli celesti, che parlava delle imprese del bomber Piola. Tutto succedeva nel paese di Pontetaro dove, dentro qualche muro, c'erano murate una secchia e una cazzuola d'oro, forse dentro un pilone del ponte.
Sempre in quegli anni con i barbieri del paese detti Gabbagobbo e Pompetta andavano a Medesano a mangiare fette di tortafritta con il salame in una trattoria alla vigilia della corsa delle scrofe nel campo sportivo.
Ogni anno per la ricorrenza dell'evento passava sul cielo di Medesano una cometa di luce a forma di salame. Villa il nano e mio nonno pernottavano alla Cornacina dal cugino di questi chiamato Bruno Costa e nel sonno pieno di visioni il nano sognava la scrofa chiamata Scrofoloni, montata dal fantino Lamoni, che di mestiere puliva la fossa settica in un prosciuttificio, vincere la corsa.
Villa il nano tornando in macchina l'indomani raccontava che aveva tifato per il maiale chiamato salumilucciolocicciolo, montato da un maialaro sbodenfio detto budello e ricordavano la leggendaria scrofa detta Scrofettetroia.
Villa il nano raccontava anche di essere stato negli Stati Uniti a Las Vegas in tempo di recessione rosweltiana in un cinema con un bambino gay chiamato Stork (cicogna), il quale aveva una pistola spara popcorn e così si raffreddava il granoturco dritto in bocca bevendo una Coca Cola.
Quando Stork venne a Parma il nano gli fece conoscere una macchietta della città. Il signor Sbrisolone che aveva la faccia piena di rughe e verruche come la superficie della torta sbrisolona dal cui nome prendeva il soprannome.
Nel 1911 con Don Donlò, prelato terribilmente maschile ma dotato di un seno peccaminoso ed osceno da donna, anticipazione delle protesi siliconate delle tette gonfie e toniche delle pornostar del duemila, Villa il nano, girovagando, andava a sorbire brodo con gli anolini facendo visita a tutte le parrocchie di Parma dove variava la ricetta e la densità del brodo.
Nella chiesa dell'orfanotrofio Don Donlò allattava neonati senza la madre facendogli pappare i capezzoli del suo seno. Infine come ultima tappa del loro giro si fermavano a dormire con Don Pratigrilli pisellone erbivorio e nel buoi della stanza il nano vedeva il Don Donlò togliersi il reggiseno e venire a letto con lui.
Una notte che pernottavano anche i reverendi Don Congo Cocconi e Don Doppone Grana dei topi fossilizzati un culturista Bronzeo chiamato Afanatico Sessudore, biondo che ai testicoli aveva peli color crauti, con un pene turgido come un wurstel, aprì degli usci per stuprarli ma fu sbranato da un leone, simbolo dell'evangelista Marco che dimorava da secoli nella chiesa.
Quella notte era caduto dall'impluvio che faceva la notte piccolina, come poi cantavano le sorelle Kessler sottilmente conosciute, un micione sbodenfissimo color castagna con macchie color capuccino e lampone che aveva in bocca un gambarone arancione, catturato nella Parma, mentre nella stanza predava topini che incautamente uscivano da un corridoio parallelo e dietro al muro come esiste nel cartone animato di Tom eJerry.
Villa il nano spulciava dalla libreria della chiesa un libro scritto in stile maccheronico da un anonimo autore, intitolato De Bello Gallinarum, che trattava dei galli da combattimento uruguagi tra i quali c'era anche qualche gallina emancipata. In un passo descriveva il poeta maledetto Rimbaud, di razza gallica, e all'incarnato color burro e gli occhi turchini, disprezzatore degli sport che lui definiva solo tic e l'autore ipotizzava la saturazione degli agonismi per la quale un maratoneta del 5000 avrebbe corso come una macchina da corsa del novecento.
Il nano si sognava un pomeriggio al circolo Anspi Arci di Via Calatafimi chiamato Club Boranga, portiere crociato, graficamente reso sulla targhetta all'ingresso con il corpo di un orango e il volto caricaturizzato e qui Villa il nano, era il 1978, aveva brindato con i vecchi soci Pavaran, Barigas, Torel, Bacchè, Marsoler, Stecchè, Calsolaiascarpè e Botas.
La notte fuori dal circolo era nera e a Villa il nano sovvenne quella del sessanta sul pullman del Milan Calcio con la comitiva dei giocatori che, arrivati in pinetina, scendevano con Rocco l'allenatore ed Eligio, il padre spirituale della squadra, che i sior ragazzi calciatori avevano mustacchi spessi e frangette da abatini.
I fotografi facevano foto con macchine a forma di scatole e i flash a forma di fette giganti di limone mandavano lampi pirici che stampavano fotografie buone a condire come melanzane nere i fogli color prosciutto cotto del Corriere Sportivo.
Villa il nano saliva su una macchina di un fotoreporter nel posteggio con il quale nella Milano di notte, dai neon turchini a forma di lettere, che pubblicizzavano l'amaro Ramazzotti, andava a depositare le foto nella sede di un giornale dove erano fatti entrare da un usciere, minuscolo omino bauscia vestito con una divisa color rosso di zuppa inglese, e vicino al giornale compravano una stecca di sigarette in un baretto chiamato Moderno che vendeva anche tabacchi, poi viaggiavano e griso Manzoni parlava delle partite della domenica con il nano lungo l'autostrada Milano-Bologna.
Villa il nano raccontava al fotografo che nel 1949 in una strada nebbiosa di Torino dalle file di palazzi liberty e dorati come gli incarti dei cioccolatini torinesi, fu salutato simpaticamente ingenuamente dal portiere Bacigalupo da un finestrino dell'apparecchio del grande Torino, prima che l'aereo si schiantasse sulla Basilica di Superga e che anni più tardi, nella città, aveva comprato al caffè San Carlo un pupazzino, riproduzione caricaturata del calciatore Gambetto dai capelli dalla riga in mezzo pieno di gianduiotti.












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