mercoledì 27 novembre 2013

L'idroscalo di Ostia









Nel 1973, allorché avevo soltanto tre anni, fui depositato, di sera, da mio padre, all'idroscalo di Ostia in un luogo posto a fianco di un campo di calcio. Era uno spazio pieno di baracche, cani latranti, discariche di rifiuti e materassi marci di seta broccata, strappata e sbiadita, a forma di volti di papi, giacigli, questi, del Vaticano.
Tranquillamente, seduto su uno di questi materassi, rimasi in attesa del poeta Pasolini che arrivò alla guida della sua Alfa in compagnia di un compagno omosessuale. Il ragazzo, Pino Pelosi, detto la Rana, appena giunti lì incominciarono a prendermi in giro soprattutto per la forma del mio naso per il quale mi soprannominarono “Il patata” e poi il “Romano di Parma”.
Chiamavo il poeta con il suo cognome Pasolini perché per me significava felicità. A quell'ora molti degli amici del poeta, abitanti nelle baraccopoli, scaricavano dei pitali di urina nella riva del mare a pochi metri. Pasolini mi portò in una trattoria gestita da una trattore chiamato Abortoli e mi invitò a mangiare carne di pecora e del formaggio pecorino al miele.

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