Ad Attilio Bertolucci
Sognai
il piccolissimo poeta Attilio in culla come il piccolo bambino Gesù
nella mangiatoia o come un putto correggesco adagiato sulla culla,
visitato da alunni asinelli periferici e da un valletto tarchiato,
analfabeta, e somigliante a un bue che gli serviva dei tortelli di
zucca a forma di lettere.
Attilio
era il bambino dei maiali, ubriacato con gli occhi d'oro e giallo
Parma, della luce della cupola di un signore, che giurava di essere
il più piccolo, con la luna in mano dal colore che
assomigliava a quegli impasti, sfera a tratti a forma di Petitot,
color zabaione e a tratti invece come il Palazzo della Pilotta, dal
colore di un enorme biscottone al cioccolato, velato da un cirro a
forma di pecora cornigliese.
Il
bambino Attilio che all'inizio del secolo, insieme al nano di Villa
Rosario, correva in una Parma che lo guardava dagli occhi beffardi
dei camerieri sulle balaustre delle abitazioni delle famiglie nobili,
per le quali servivano e sfilavano, davanti ai due, nella notte, i
portoni intagliati grottescamente a forma del volto del burattino
Sandrone, colorato di una tempera color mousse alla fragola.
Entrarono
dentro un cortile, retro bottega di una macelleria equina, il cui
cavallaio faceva porzioni in un vassoio di un mucchio di pesto, carne
tritata posata lì e agglomerata per mezzo di uno stampo a
forma di massetere di cavallo, dopodiché fecero fuggire dei
cavalli vecchini, ormai in pensione, da calessini e frustini di
vetturini.
Al
bambino Attilio per il cui apprendistato officina poetica don
Tramaloni aveva regalato una Gerusalemme liberata, dalla copertina in
osso a forma di volto piatto del Tasso con il naso aquilino, le cui
pagine erano a forma di gorgera, un collare gonfio e ricamato in uso
nel vestiario cinquecentesco.
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