mercoledì 9 ottobre 2013

I balloni di ortiche



In un borgo di campagna Villa il nano, credendosi il Messia, indisse una cena con dodici apostoli nani. Lì mangiarono delle fette di salmone a forma di libri di salmi, bisteccone a forma di grosse ostie, preti a forma di reverendi, pane e volpe, mammelle cotte e farce di trippa lessi con gelatina a forma di zampa di gallina, e poi minestrone, formaggio parmigianino, e una torta di sorbe, bevendo vino a volontà.
Il lambrusco rosellino delle bottiglie sturate ricopriva, fuoriuscendo, i colli dei fiasconi come gorgere fatte di bollicine spumose schiumose. I dodici apostoli erano chiamati o detti il Giarrettierona, l'Ufo, Campione Cappone, il Zibibbione, il Figo Fico, il Solepark, l'Annolino, il Nottambum Bambolone, ,l'Orticone, il Topone dai peli boccoli, il Mammone scrofone e il Fontanone dei mendichi.
Erano tutti autori di libri di vangeli maccheronici la cui copertina sembrava davvero a forma di maccherone e scrivevano per esempio: Campione cappone di gare di corsa di capponi, l'Annolino di maestà a forma di anolini giganti in muratura, e infine l'Orticone di una guerra vinta con balloni di ortiche lanciati contro i nemici, mentre la lingua adoperata era il sanscrito buffonesco.
Nella notte dopo il convivio Villa il nano e i dodici apostoli udirono degli schiamazzi. Villa e Scrofone Mammone videro i contadini del borgo lanciare con una catapulta delle balle, piene e gonfie di erbacce di ortiche, ai nemici assaltanti che cadevano a terra contorcendosi in preda a grossi pruriti. Poi il Mammone Scrofone fece vedere una chiave, gonfia come un maiale, che doveva scrofolare in una serratura gigante quanto lei per mostrare al nano Villa la sua abitazione. La descrisse con gloria dicendo che aveva mobili antichi. Il comodino del commediografo Plauto, il letto di Cristo, e la credenza bar del poeta Orazio, ma entrando c'erano solo arredi degni di uno schiavo nonostante fossero tutti meravigliosi come la tomana con il cuscino di velluto a forma di fragola rossa lampone, il letto di legno, con intagliate delle facce di lenoni, e la cucina il cui forno era una gigantesca mostellaria.
Invece al piano elevato c'era una torre a forma di Palazzo di Sparta dalla cui sommità si lanciavano bamboloni che venivano a trovare il mammone e rimanevano impauriti dalle sue coccole e dalla dolce e affettuosa tenerezza.
Era il giorno di San Vulvino dei casini e l'apostolo detto Fuga s'impiccò a un albero di fico mentre nel borgo passava un antenato latino di Mike Buongiorno, chiamato Mikus Bonusdies, che interrogava coloro che incontrava su quanti semi ci fossero in una cocomera e quanti pesci ci fossero nel mare. Così Villa il nano raccontò al quizologo di quando, per un suo miracolo, i mari avevano preso il posto del cielo e dei pesci volavano mentre gli uccelli planavano nei fondali dei pantani svuotati di acqua salina.

giovedì 3 ottobre 2013

La bibbia ai tempi dell'antelami










Il figliol prodigo, fuggendo da casa, aveva visto acini d'uva come minuscole vetrine illuminate di Amsterdam con dentro microscopiche prostitute. Una sera aveva fatto ritorno nel podere del padre e lo aveva trovato che stava banchettando sotto il portico. I servi portavano sul vassoio un maialone gonfiolone e cotto allo spiedo, il quale in quei giorni, in sua assenza, aveva dormito nel suo letto e piangendo lacrime, bagnando la cotenna, avevano lasciato impresso, a contatto con il lenzuolo, la propria impronta come fosse la sua sindone. Grugnendo aveva espresso di essere mangiato perché così sarebbe tornato il figliol. Alla vista del suo maiale morto chiamato Grugnolone il figliol prodigo pianse il padre che lo vide con una grande zazzera ordinò a uno dei convitati, il barbiere chiamato Felicesoiati, di fargli toletta e capelli sul momento. La scravatina terminò con una spolverata per mezzo di una spazzola fatta di setole grezze del maiale ucciso dai norcini, il quale in vita era un giullare buffone addomesticato nel podere. Una notte di giugno gli erano entrate nel deretano due lucciole che, arrivate fin dietro i cavi oculari, gli illuminarono gli occhi, per questo lo aveva soprannominato Lucciolo. Villa il nano raccontò al padre del figliol che nella chiesa di San Giovanni, buia per la notte ai tempi dell'Antelami, era entrata una lucciola gonfia,grassa, a forma di una scrofa, e illuminava a intermittenza le navate scure che un abate aveva chiamata Salume.










Il figliol prodigo, fuggendo da casa, aveva visto degli acini d'uva, simili a minuscole vetrine illuminate di Amsterdam, con dentro delle microscopiche prostitute. Una sera aveva fatto ritorno nel podere del padre e lo aveva trovato che stava banchettando sotto il portico.
I servi portavano sul vassoio un maialone gonfiolone e cotto allo spiedo, il quale, in quei giorni, in sua assenza, aveva dormito nel suo letto piangendo lacrime e, bagnando la cotenna, avevano lasciato impresso, a contatto con il lenzuolo, la propria impronta come fosse la sua sindone. Grugnendo aveva espresso di essere mangiato perché così sarebbe tornato il figliolo.
Alla vista del suo maiale morto chiamato Grugnolone il figliol prodigo pianse il padre che, vedendolo con una grande zazzera, ordinò a uno dei convitati, il barbiere chiamato Felicesoiati, di fargli toeletta e capelli sul momento.
La scravatina terminò con una spolverata per mezzo di una spazzola fatta di setole grezze del maiale ucciso dai norcini, il quale in vita era stato un giullare buffone addomesticato nel podere.
Una notte di giugno gli erano entrate nel deretano due lucciole che, arrivate fin dietro ai cavi oculari, gli illuminarono gli occhi, e per questo motivo lo avevano soprannominato Lucciolo.
Villa il nano raccontò al padre del figliol che nella chiesa di San Giovanni, buia per la notte ai tempi dell'Antelami, era entrata una lucciola gonfia e grassa, a forma di una scrofa, e illuminava a intermittenza le navate scure che un abate aveva chiamata Salume.

mercoledì 25 settembre 2013

L'abitazione ruina





A Natale, nel 1913, Villa il nano fu, insieme al Visconte del casato dei Malavazia e ai fratelli Conti di Sissa, chiamati Letamen, nel refettorio dell'Annunciata dal Don chiamato Ulcerodio Ariofagite. Insieme a tanti altri reverendi, chiamati Auroro Disi, Mortamen Predico, Gelato Gelisti, Bercigante Ampollini, Apocallisso Callisti, Predicotto Pretezamponio, Lanciodiriso Susagrassati, Papillo Sceminari e Penio Castitortelli, sorbirno degli anolini in brodo come minuscoli isolotti galleggianti e a loro li serviva l'abilissimo cameriere chiamato Diocesa Diocone.
Villa il nano portò una scodella di brodo al mendicante detto Monetina davanti alla chiesa dove era al freddo a chiedere l'elemosina.
Lontano, in Via D'Azeglio, stava giungendo il re dei barboni di Parma. Il clochard chiamato Italione Stivalone, quando giunse sul sagrato qualcuno del pubblico, gli buttò addosso delle monetine, con l'effige umbertina, e Villa il nano si mise a parlare con lui di fantini del Palio di Siena di quell'epoca quali: Mantovani (Bubbolo), Torrini Tripoli (Tripolino) e Meloni (Picino).
Il barbone prendendolo dal sacco gli regalò un souvenir del Palio di Siena realizzato all'epoca in cui, ancora ricco e rasato, era andato a Siena alloggiando nell'albergo chiamato “Tinello” pieno di fiori narcisi di plastica colore del vino Chianti.
Villa il nano ritornò dentro e piluccò delle mele, un po' vizze a forma di volti di Adamo ed Eva, contenute in una porcellana a forma di porcello, a sua volta della forma antropoformizzata del poeta maialesco e grassone Orazio.
In tempo di guerra, nello stesso refettorio, incontrò il Balilla Salò di Tacchino che l'infante Isidore Ducasse, futuro scrittore Lautreamont, sognò in una culla in una stanza, ombrata da eucalipti malefici, e poi la visione onirica continuava in una palestra vecchia e decrepita dove in migliaia di ring minuscolissimi, a forma di vulve pelose plastificate e artificiali pidocchi bulbiferi, a due per due, pupillavano tra loro con guantoni minuscolissimi di feti di pollini microscopici e scarpine sfrangiate da pugili alle zampine.
Infine, sempre in quegli anni, con il taxista detto Millemeningiti da Parma Villa il nano, in taxi, viaggiò fino a Roma dove entrò nell'abitazione, quasi ruina, del vecchissimo Conte Popòlonio Lazzari.
La casa al suo interno aveva uno scalone che in muratura riproduceva un drago gigante, verde antico, accasciato i cui denti erano gli scalini e il Conte e Villa il nano andarono a mangiare alla trattoria di Trastevere, chiamata la “Merda del caprone”, alle cui pareti erano imbrattati con defecazioni di capra e i volti di poeti antichi.
Nella bolgia mangiarono dell'ottimo caprone e Villa il nano, rimasto senza sigarette, raggiunse il diapason della gioia scoprendo che al banco del bar, dietro i vermuth, la padrona conservava dei pacchetti rari, marca dello scrittore Moravia, e ne comprò uno. Quindi mangiando della carne di capra, cucinata alla Tibullo, secondo una ricetta antica alla Tibullo, con le spezie gli intingoli di quell'epoca, mentre gli stornellatori suonavano degli stornelli romani con mandolini dalla cassa di legno bombata, a forma di papi antichi.
Lazzaria a Villa il nano parlava che voleva comprare un'abitazione nella centrale Via Cavour, il cui palazzo era a forma di leone e a sua volta di Napoleone.


Il palazzo antico 
e rosso color bistecca fiorentina






Una notte Villa il nano tornò a casa in taxi. Durante il viaggio dormicchiò per tutto il tempo. Riaprì gli occhi passando davanti al cimitero di Viarolo, sul quale, nella notte, vide ascendere in cielo le animelline dei bambini morti chiamati Tombino Avellino e Pistino Farmacerba, inoltre vide delle guardie che sentinellavano il camposanto.
Certi detti “Tibbiabibbia” e Benevento Strego, il primo dei quali lavorava da garzone coiffeur, come Villa il nano, con pompette piene di lozione, pennello e forbice da Serafino il barbiere nella sua toiletteria. Un giorno sul taxi del taxista detto Pudding, dalla giacca di raso a strisce color rosso cherry, crema e cioccolato, in compagnia dei nani chiamati Spermamma, Sborrida e Anotruccolo, ai quali si era aggiunto il sopracitato soldato e don Clotildo Ossuore, erano giunti davanti a una pasticceria piena di cialde glassate a forma di tibie, dolcetti preparati per la festa dei morti, a ricorrenza annuale, ed entrati nel negozio ne avevano comperato uno ciascuno.
Quel giorno, Villa il nano, andò a portare i garofanini di campo sulla tomba del nonno chiamato Anataleo Gosinoninella sulla cui lapide erano scolpite due ossa incrociate. Si trattava di una leggenda in cui si raccontava che al suddetto maialaro erano volati via i maiali di sua proprietà, come muniti di alette da angioletti, diretti dal porcile sull'astro detto il Mamma Scrofa a forma di maiale palla. V
Villa il nano, uscito dal cunicolo sotterraneo delle catacombe a rivedere la notte, riconobbe il pianeta come una stella cometa splendente di luce rosata e frizzante come un minerale lassù nel cielo buio.
Villa il nano aveva visto inoltre anche la tomba del pittore seicentesco chiamato Gandino Del Grano. Nella foto posta della lapide con una gorgera a forma di formone di parmigiano-reggiano con i buchini stampati a scriverne i marchi del consorzio come le innumerevoli arnie di un alveare.
Un giorno Villa il nano era andato al cimitero di Viarolo e lì aveva incontrato le sentinelle di turno Selzanitranizzagasata, il Nefricanatico, e quello detto Profondo rosso Calamaialo. Quest'ultimo soldato aveva assistito all'omicidio di una donna per mano di un mostro di Viarolo detto il “Bettolino”, nomigliolo affibbiatogli dall'omonima trattoria che frequentava da impunito, il quale, con una lametta, aveva asportato la vulva alla donna che, sulle prime, aveva scambiato per un riccio porcospino fermo sul selciato.
I soldati e Villa il nano erano poi andati nella notte nella trattoria il “Bettolino” dove il trattorista chiamato Paradisgigiogli aveva fritto delle fette di tortafritta a forma di putti e servito della malvasia colore tempera gialla manierista.
A un tavolo sedeva il mostro di fianco a un quadretto naif del pittore detto il “Mollone del culatello” che ritraeva, in una cantina antica una miciona grassa sbodenfia e gialla color limone e selz, e accarezzava con una zampa un topo bianco, grigio e marrone, facendogli le coccole sotto il bersò illuminato da una lampadina pacchianucola.
L'allegra brigata aveva giocato a calcio balilla e Villa il nano, con la manopola, emulava i cross di Colaussi. Il trattorista poi esclamava rivolto al nano: “ti ho forse visto a Siena al palio del 1934, vinto dal fantino Corradino Meloni?”. Infatti, i due si erano visti in una cantinucola a brindare con il fantino alla sua vittoria, insieme a un allegra brigata di festaioli, e l'oste da sopra il locale aveva calato un cavatappi a forma di atleta nuotatrice le cui leve a forma di braccia, stappando il sughero del tappo, si alzavano emulando un esercizio ginnico.
A quell'ora, completamente svuotata di folla, Piazza del Campo, dentro la cui pista era stato steso giorni addietro del tufo, anche il nobile Tarquinio, indebitato fino all'osso vendeva un palazzo antico e rosso color bistecca fiorentina di muri spessissimi a una donna senese chiamata Tindara, dai capelli color finocchio e usciva dalla casa nella notte con la somma sufficiente solo per pagare i debiti perciò perduto e futuro accattone.

venerdì 20 settembre 2013

Il teatro Regio




Villa il nano serviva i clienti vestito da cameriere, con una divisa bianca da sala e dei bottoni con fetini imbalsamati di gazze bianche e nere. Svolgeva il suo lavoro nella cornetteria-latteria interna al Regio, il cui proprietario era il barista detto il Mucchino che soffiava il latte con il beccuccio a forma di gola di baritono della macchina a pressione.
Villa il nano, da servo, era detto il Villoggionee e portava il caffè sui palchi ai melomani. Serviva anche aperitivi gasandoli con il sifone e mettendo nei bicchieri cubetti di ghiaccio a forma di minuscoli Teatro Regio.
Finito il turno di lavoro uscì dal teatro davanti al quale vide degli africani dai piedi marocchi a forma di brioschone, tutti venditori di burro cacao, giunti lì da Schia e Prato Spilla, mete sciistiche dei parmigiani i quali cercavano di venderli agli spettatori che sarebbero sciamati fuori.

La chiesa di san Pietro a Parma













Quando il poeta gobbo Leopardi venne a trovare Villa il nano fu ospitato dal Don chiamato Cielumino Amenolino, nel refettorio della chiesa di San Pietro, ubicata in Piazza Garibaldi, dalla costruzione a forma di un chiavone gigantesco del Vaticano in muratura, e intonacata di un colore arancione d'oro.
Il poeta e il nano furono serviti dal cameriere chiamato Ciava che gli versò nella fondina il brodo con degli anolini galleggianti.
I due si ricordavano di aver viaggiato, in cima a un convoglio di un treno merci, su uno dei vagoni a forma di pomodoroni, specie a occhio di bue giganti, d'oro e pieni di pummarola.
Fermatosi il treno alla stazione di Napoli videro passeggiare sulla banchina della stazione una nobile matrona napoletana. Quest'ultima aveva un pizzo da uomo sul mento ed era vestita con un abito celeste dai pizzi a forma di maccheroni. Infine uscirono nella notte dalla chiesa nella Piazza Garibaldi provincialotta, con le luci dei bar aperti. Salirono su un busone color caco e andarono allo spettacolo dei burattini.
Villa il nano sgranocchiava chicchi scoppiati di granoturco perché fritti e nello stesso tempo masturbava il pene di Leopardi seduto di fianco a lui su una poltroncina del teatrino, viceversa lo zio Gosinoni, incontrato lì insieme con il nano Zanolino, scambiò il seme di sperma color gialloparma sui loro abiti per crema di cannolo o bignè.

giovedì 19 settembre 2013

I due froci








Verso quell'ora della sera, nella metropolitana di Barcellona, un omosessuale, chiamato Ranuccione, fermo ad aspettare il vagoncino, fece sesso con il culattone inglese chiamato Cheese Buchinghton. Lo fece limonandoselo e quando gli sbottonò la patta dei pantaloni e lo smutandò, per fargli un pompino, un sorcio nascosto nelle mutande a pizzi, giallo color copertine dei libri di Simenon, gli morsicò la lingua le cui gocce di sangue gli colarono sulla ghiera della pipa mentre fumava.
Nel giro di mezz'ora i due diventarono amanti. Cheese fu invitato a casa dell'altro dove c'erano dei topi, tra i quali quello simpatico detto Adolfo, il pittore, ospitati dentro gabbiettine, come piccolissimi luna parkini, con minuscole ruotone delle montagne russe e un piccolissimo ottovolante, per farli divertire.
I due mangiarono bistecche di toro ingollando porto, poi fecero del sesso ispirandosi a foto di stripter omosessuali, poco muscolosi; dei ragazzi pallidi somiglianti a ragazzine. In una stanza nel profondo di un palazzone, gigantesca caricatura in muratura del volto del dittatore Franco, fecero il bagno tutt'insieme nella vasca schiumosa del gabinetto sulla cui acqua galleggiava un minuscolo modellino di sommergibile della missione “leone marino”.
Una sera gremirono una intera gradinata di una arena e seguirono una corrida mano nella mano che lo spettacolo si evolveva. Siccome si era in epoca franchista il torero era vestito tutto di nero, dal bolero con ricami e pizzi a forma del volto di Franco, e calzava scarpine a forma del volto di Hitler con delle fibbie a forma di quello di Mussolini.
Appena ebbe inizio la corrida il torero, per sua disattenzione, fu incornato dal toro e morì dissanguato. Un bambino che stava sugli spalti si precipitò nei box dove avevano rinchiuso il toro e cominciò a palpargli le palle, taurine, come spugne.
Successivamente i corridoi dove erano situati gli spogliatoi dei picadores furono visitati da medici fascisti dell'obitorio della città, i quali misero nella bocca del torero un rosario colore del velo amaranto di cui si abitualmente si serviva per matare il toro.
Villa il nano, nella notte, su un taxi in giro per Barcellona arrivò in una via interamente ricoperta di edera. Era un luogo dove trovavano posto night e club per solo gay, le cui luminarie, fatte al neon di luci verdi color mela o rosa e color fragola, invitavano i clienti ad entrare.
All'altezza di uno dei locali chiamato il “Baffo del culo di Hitler” Villa il nano vide il topone chiamato Adolfo Hitler, pittore che era scappato. Lo raccolse e se lo mise in tasca, poi entrò nel night chiamato il “Culo fosforescente di Cristo” e gli consegnò un biglietto, da lui prontamente acquistato, da un bigliettaio parmigiano come lui chiamato Torreteli.
Subito si sedette su una poltroncina insieme a un ragazzo effeminato come fosse una ragazza. Ai due portarono champagne, fette di melanzane disegnate di aceto balsamico, come pellicole di film porno, e anolini a forma di baschi di quelli dell'Eta.
Bevve torbe giallo splendenti con cubetti di ghiaccio a forma di minuscoli orsi. Infine lo aspettava sul taxi, con il tachimetro acceso, il taxista chiamato Sibillon Aleramoz che lo scaricò nel club vicino chiamato i “Toreri morti” sempre sito sulla strada.
Nel salotto del locale notturno c'erano numerosi toreri imbalsamati tutti morti nelle corride. Due gallesi stavano lì, seduti. Erano dei ragazzoni grassoni pallidi, dai capelli color carota, e tifosi di rugby che, in un pub della loro nazione, avevano ammazzato di botte un culturista, ma erano in semi libertà.
Sempre all'interno del locale Villa il nano vide un barbiere detto il Figarotto che, in una barberia per soli froci, arrotolava i baffetti a forma di spilli al pittore Dalì servendosi di gel o di albume.

martedì 6 agosto 2013

Saffo il caprone e la lucciola





In un cottage di colore al neon, intonacato tra la tinta camomilla e il giallo delle copertine dei libri di Agatha Christie, sito in un quartiere residenziale newyorkese di villette, Villa il nano andò a trovare il ragazzo italo americano e omosessuale chiamato Cincinnatini.
Quest'ultimo era vestito con una giacca e dei pantaloni bianchi, con su stampati dei fili di spaghetti rossi colore del sugo, e una sorta di papillon verticale a forma di maccherone gigante, che si adoperò a fargli visitare la casa graziosa.
In quella occasione gli mostrò una mazza da baseball, realizzata con una pietra preziosa blue e con delle striature rosse e bianche: i colori dello stato americano, con incastonati dei diamanti simboleggianti le stelline della bandiera.
Una volta accomodatisi in cucina si misero tutt'e due a mangiare un Ice Cream molto gonfiato ed emulsionato con un cucchiaino a forma di una minuscola automobile Cadillac.
Quella notte Villa soggiornò nel villino, dal giardino senza cancello, diviso dalla strada soltanto da una siepe, da poco tagliata dal giardiniere, che si caratterizzava per la forma dei volti dei presidenti succedutisi sino a quei giorni alla Casa Bianca.
Dormicchiando con un occhio semiaperto vide posarsi sul davanzale della finestra delle minuscole navicelle extraterrestri. Alcune erano a forma di muffins, altre di carillon dall'aspetto di minuscoli pianoforti, sui quali si erano stabiliti dei microscopici jazzisti quali Ellinghton e Ferdinando Morton la Menthe che cantavano in slang americano misto a marziano. Un altro ancora aveva la forma di uno stadio di baseball, come quello della città di Cincinnati, simile a un minuscolo dadino in cui erano riprodotti gli spalti gremiti di micro spettatori, i cui boatini seguivano i movimenti di un battitore minuscolissimo che batteva un fuori campo, la cui pallina mignon bruciò la moquette della stanzetta, uscendo dal campo di gioco, ma subito sostituita da un altra pallina nella navicella come in un flipper e ritornata a farsi scagliare.
Villa il nano e Cincinnatini, in una notte fonda di un agosto torrido, uscirono in giro per la città con la Limousine. Per la strada scorsero file di trans dai coscioni giganti di cui uno indossava una gonna a forma di mela di seta.
Caricarono sulla macchina un altro ragazzo italo americano, chiamato Pommarolanio Maccheronighton, vestito con un abito dalle sete colore del basilico cucite con delle foglie, che li portò dall'ambulante Murphi, presso un distributore di Ice Cream dove erogava il gelato, sopra a un vassoio minuscolo simile alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
Villa il nano ricordò una notte degli anni sessanta (di tintarella di luna) in cui percorse in taxi, guidato da un conducente che indossava guanti neri, i cui passadita erano anguille vuote imbalsamate e cucite sul lungo mare dei sette lidi di Comacchio.
In uno dei numerosi stabilimenti balneari scorse l'omosessuale Rimpertone, dal busto simile a quello di un gorillone, che aveva un ciuffo di peli bianchi insieme a Pommorolanio e a Elvis Spriscilloni, i due italo americani conosciuti da Cincinnatini, i quali, con il servo di Riapertone, erano coricati sopra un lettino a sdraio, come un triclinio, a bere drinkoloni mentre le radioline degli altoparlanti dei club dei bagnanti trasmettevano la canzone di Fredo Buongusto che cantava uno swing ironico “Spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè.” a cui fecero seguito anche arie della pestifera cantante Rita Pavone.
Quella notte stessa, con il servo Coma, ottimo barcarolo, navigavano su una battana in un canalone nel centro di Comacchio e arrivarono sotto un palazzo in una galleria, con archetti al soffitto, alla quale era appesa una lanterna accesa. Scendendo, appoggiandosi a tre scalini a forma di tre tombone di marmo a fior d'acqua, entrarono in una abitazione dove li aspettava Rimperto, giunto già lì, che aveva preparato un profilattico fatto di pelle d'anguilla, essiccata ed imbalsamata, con la testa del goldone adeguato alla propria cappella, che gli sarebbe servita per fare sesso con loro, perlomeno non prima di averli portati nella cantina dove organizzava gare di volo di zanzare al cui udito parevano simili al verso di un pianto di neonate.
Il luogo sotterraneo aveva un oblò con una grata da cui si potevano vedere le anguille, poste sul fondale, e su dei tubetti di latta conservanti pesci marinati depositati sugli scaffali. Lì sotto, all'umido, erano attaccate delle figurine pacchiane della “Tramezzini” raffiguranti degli assi del football quali: Suarez, Anguiletti e Pizzul e una vecchissima nobile del paese detta la Macchio Zanzaron Pettegolettava del profilattico animalesco di Rimperto.
Negli anni ottanta a Villa il nano, viaggiando in auto con Morgan il poeta, l'architetto sbodenfio Ponga-Italo americano e lo scrittore omosessuale e americano David Leavitt, gli capitò di vedere delle cavie bianche, fuggite dai furgoni dei distretti della vivisezione, che avevano invaso a migliaia una Avenue di New York.
Leavitt aveva sul cruscotto un libro del poeta Allen Ginsberg che, in una poesia del 1967, descriveva l'astronave Apollo 4 come un big cockerel (gigante pollastro) che saliva sulla luna e dalla forma di una gallina luminosa che, al contatto con la navicella, questa partoriva un ovone gigante dal quale usciva un militare vestito da donna.
In quegli anni, in cui le colonne sonore in voga erano le canzoni cantate dai Beatles, i quattro giovani di Liverpool dalle frangette fuoriuscenti, nascoste sotto le bombette di cartapesta a forma di scarafaggi giganti color neri lucidi, Villa il nano, a un concerto tra tante ragazzine britanniche isteriche fans e pettinate con il caschetto, vide Pommarolanio.
Ritornando alla cantina sotterranea di Comacchio Villa il nano, agli astanti, raccontava di una cena a Roma nella trattoria di Trastevere chiamata “Saffo il caprone e la lucciola”. La larva intermittente di luce era disegnata come una minuscolissima lanterna, nell'insegna del locale, in cui lui aveva mangiato montone e abbacchio, in compagnia dello scrittore Moravia quando erano ancora freschi i suoi racconti romani, e a un tavolo di fianco al loro una poetessa lesbica di haiku mangiava con una ragazza eterosessuale dai polpacci gonfi, tondi e pallidi come calve di teschi, che si supponeva avesse corrotto Moravia Albero soprannominato Roserle da Villa il nano. Siccome quest'ultimo era parmigiano raccontava, ridendo come un matto, che i topi del pittore Mazzola, travestiti da cocotte, con vesti a pizzi e ricami, erano emigrati a Roma per rosicchiare forme di pecorino a forma di teste di papi e barberini.
Villa il nano in quegli anni aveva fatto il garzone da barbiere coadiuvato dal coiffeur detto Schiumo nel negozio di toletta gestito da Taglatelo il barbiere, sito in Via Condotti a Roma.
In più di una occasione sentì dei pettegoli, fatti da certi Erciofi e Mammolo, dire maldicenze sul poeta Leopardi, insinuazioni sui suoi presunti rapporti sessuali con il conte Ranieri e sul suo sexy papillon, cravatta a forma di Basilica di San Pietro, minuscola di seta, nella cui fodera il poeta teneva un osso di cane a forma di chiavona del Vaticano, con cui si dava da fare con prestazioni sessuali con il napoletano.
I nobili romani si erano trasmessi, di padre in figlio, notizie sul soggiorno romano di Giacomo. In un appartamento romano Villa il nano, su un letto a forma di orso gigante dalla peluria color miele sgargiante, la cui lingua ne era il materasso di gomma piuma foderato di raso dal colore di gengive, si sognò il poeta Leopardi. Quest'ultimo compariva su un vagone intento a partire alla volta di Roma, vestito di raso nero lucido, ed era intento a fumare una sigaretta inserita in un osso lungo di scheletro di gamba a modo di bocchino.
Il poeta era indicato come un poeta culattone infantile dai ragazzi di Napoli, dai cappelli sormontati da bambolotti a forma di Maradona, vestito in abito da calciatore, e questi erano affacciati al finestrino di fianco piena di bucato.
Quando arrivò sulla banchina un barista ambulante, vestito di bianco con stampate alla divisa di cameriere tazzine e caffettiere, il poeta donava a Villa il nano, che faceva la sua comparsa nel sogno, una monetina e lo mandava giù dal treno a comprare un napoletano e un bignè glassato con un'aureola rosa di pasta zuccherina.
Prima di partire Leopardi e Villa il nano avevano acquistato delle sigarette da un contrabbandiere, detto La Smorfia, il quale gli aveva raccontato che la notte precedente aveva sognato che il Napoli calcio, con un calciatore detto il piede d'oro, avrebbe vinto lo scudetto nel 1988.
A Roma i due si erano portati da Napoli una borraccia d'acqua per farsi il napoletano. Leopardi poi aveva in tasca delle mosche di gomma che, telecomandate, gli sarebbero servite a fare muovere le sempre immobili e in posa guardie svizzere davanti alla porte del Vaticano, cosa che lo divertiva molto.
Ritornando al negozio di toiletteria, cui andava a sbarbarsi, un certo Rinoauldo Candelonte, il quale un giorno si era messo un canarino all'occhiello per andare alla sagra di Mirandola. Siccome era nativo di Modena, nelle profonde campagne della Bassa, aveva mangiato insieme allo scrittore Delfini. Lo aveva fatto con delle posate pacchiane, color cedro, marcio dai manici a forma di canarini e bigodini come riccioli di burro ma d'oro.
Agli inizi degli anni sessanta lo scrittore Antonio, detto il duca di Modena, vestito di una giacca dandy azzurra con dipinto sulla stoffa dietro un delfino araldo, andò con Villa il nano, percorrendo in automobile le profonde campagne modenesi, illuminate da lampioni dalle lampadine a forma di canarini.
In un borgo nel profondo centro di Parma, in una trattoria dove servivano camerieri in livrea bianca con per bottoni dei feti di piccoli di gazza imbalsamati, infilzati alle asole, andò a un incontro galante con la signora Bovini dagli occhi blu come cerulee gocce d'inchiostro, dal viso grazioso, ma dal corpo possente da tora, il cui busto era gigante come una mezzana di vitello e vestito con un abito con l'uccellino da miglio.
Delfini incontrava la Bovini o Bovari o Bovinelli per una sorta di sfida amorosa. sfida che vinse lei perché lo scrittore morì a causa della sua possenza che gli aveva fatto inceppare le vene.
Quella sera Delfini indossava una giacchetta bianca con dei bottoni, canarini imbalsamati alle asole dal piumaggio giallini misto a macchie color lambrusco ed aceto balsamico, specialità delle sue terre. I pettegoli del suo paese, al gran e dorato caffè Roma di Forte dei Marmi, dove lui arrivava con la moto rombante, malignavano sul suo conto dicendo: “Al duca di Modena sono scoppiate le vene per la signora Bove”.

Una sera, in una trattoria nelle profonde campagne modenesi, Villa il nano e lo scrittore Delfini, andati lì a mangiare il cotechino allo zabaione, rividero i due vecchi incontrati al caffè Roma di Forte dei Marmi. Erano certi panzoni e comici dai nasi rossi e rubinozzoli come patate bugnose, vestiti di giacche gialle, con sul tessuto dietro alla schiena effigiato come stemma araldico, simbolo di Modena e della loro nobiltà zana, uno scrofo piumato di piume color giallo cedro sulla coteca rosata, e a forma di canarino grassone e sbodenfio con il grugno a forma di becco.
Villa il nano li incolpò di essere stati invidiosi e boriosi nei confronti dello scrittore perché a Antonio Delfini il padre aveva lasciato un podere, una zollona di terra e una moto.

Durante l''inverno Villa il nano andava a pattinare con la bambina Martorano e il bambino chiamato Tumoroso Macchiato, reso scuro in tutta la carnagione del corpo da un tumore per le tantissime sigarette fumate, che aveva a modi ricami cuciti a uncinetto, uguali alle loro forme su un vestitino verde pistacchio sul laghetto ghiacciato del Parco Ducale, che una ditta di profumi aveva riempito sino all'orlo di un afrore Marialuigesco, poi gelato, che aveva un colore lilla con la barbetta della brina più rosata in superficie, tinte che risaltavano con il colore scuro dei tronchi dell'isolotto.
Villa il nano era stato invitato in un'antica villa a forma in maratura di elefante gigantesco con in groppa una torretta e la proboscide in calce era l'andito della cantina all'interno dell'abitazione.
Tutto succedeva a Siena mentre partecipava ad un festino tra fantini tra i quali c'erano: Meloni, De Gortes, Canapetta, Saragiolo, Magnani e Tarquini che vestiva la casacca del Nicchio e sul retro della stoffa turchina aveva effigiata una capesanta a forma di minuscolo palazzo di convento da cui faceva capolino appena, non rispettando la clausura, un midollo di mollusco marino a forma di volto minuscolo di Santa Caterina da Siena rosato e con gli occhi turchini.
La notte dopo il festino Villa il nano pernottò davvero in un convento di clausura dormendo nel lettone con le suore chiamate Utera e Cuterina che avevano gabbiette alle vulve, attaccate alle cintole, e chiuse con un lucchetto per rendersi impenetrabili. In quel frangente sognava di essere con lo scrittore Proust nella sua stanza dalla finestra foderata di tappi di sughero, espediente usato per attutire i rumori del boulevard dove volavano, vicino all'abitazione, navicelle extraterrestriche a forma di bottiglie di chiantinello dal vino rosso fosforescente l'etichetta raffigurante un maiale selvaggio maremmano, mentre la stanza sapeva del gusto acre e acidulo dei resti di vino sui sugheri.
Un giorno assolato, di sole dai raggi color cedro, ci furono urla di panico di bambini e mamme, arrivate dalle spiagge, alle orecchie di pommarolanio dentro la sua abitazione in Florida al quale poi riferirono che il bambino Cakeo Meringatelli, che abitava nel cottage color latte condensato di fianco alla sua villetta, era stato sbranato da uno squalo.